Un nuovo corpo, lo stesso corpo

Un nuovo corpo, lo stesso corpo

 

          

Un libro.

Supponiamo che esista un libro. Un libro sgualcito, con qualche pagina accartocciata, la copertina bisunta. Supponiamo pure che esista qualcuno che lo legge, lo ama, lo impara a memoria. Ad un certo punto il libro brucia: ciò che prima era carta e inchiostro diventa cenere e polvere. Tuttavia il libro non è perduto, perché esiste ancora come informazione nella mente di colui che l’ha letto. E potrebbe anche bastare così. Ma questo ipotetico lettore non si accontenta. Lui vuole che il libro torni ad avere una sua concretezza, che sia fatto di pagine da sfogliare che frusciano sotto i polpastrelli, che odori di quel buon odore che ha la carta appena stampata. La materia è cosa buona, il corpo è cosa buona. E allora questo lettore (che supponiamo avere ingenti mezzi a sua disposizione) riproduce il libro, con una carta più pregiata, illustrazioni più nitide, un formato più grande, una copertina più robusta.

Ora, questo libro ristampato è un altro libro o lo stesso libro? Al livello puramente materiale dobbiamo constatare che la carta è cambiata, l’inchiostro è cambiato. Ma ad un livello superiore dobbiamo egualmente constatare che l’informazione comunicata è immutata, la struttura del libro è la medesima: uguale disposizione delle pagine, uguali particolarità tipografiche, uguale corrispondenza tra testo e figure, uguale ordine. Il libro è lo stesso, ed è stato rinnovato.

           

L’esempio non è perfettamente calzante (nessun esempio lo sarebbe). Una persona è una persona, un libro è un libro. Ma spero di aver reso l’idea. Noi abbiamo un corpo (noi siamo un corpo) i cui atomi vengono sostituiti ad ogni istante: inspiriamo, espiriamo, mangiamo, beviamo, oriniamo, defechiamo, assorbiamo, sudiamo e così via. In questo senso ha ragione Eraclito, non ci si bagna due volte nello stesso fiume, eppure in questo divenire continuo c’è una stabilità costante. Cronologicamente tutto scorre, ontologicamente tutto persiste. Io sono il ragazzo che sono stato ieri, sono il bambino che ero, sono l’embrione che fui nell’utero di mia madre; io sono l’uomo che sarò domani, sono l’anziano che (forse) sarò in futuro, sono il cadavere che sarò dopo la morte.

Ma quel cadavere non sarà più rappresentativo del mio intero essere, perché sarà stato radicalmente scisso dalla mia anima. Io sarò diviso e separato. Come anima sarò altrove (dove, chissà). Come cadavere imputridirò, mi farò livido e verde, diventerò carne marcia e nude ossa, e infine sarò polvere e cenere. Mi sta bene, mi va benissimo. A volte penso che mi piacerebbe essere seppellito nella terra, nel terriccio di campagna, senza nessuna bara. Che i vermi possano avere il loro lauto pasto, che i vegetali possano succhiare le sostanze di cui hanno bisogno. Che questo corpo sia mangiato e bevuto. Che cosa accade di peggio ai cadaveri nelle bare? In che condizioni sono i corpi di coloro che vissero mille anni fa?

Ma non pensiate che dietro tutto ciò ci sia una qualche comunione con la natura di tipo panteistico. All’opposto: io so che il mio corpo è mio, solo mio, so che io sono il mio corpo, e so che il mio corpo è immortale. Mangiato, imputridito, incenerito, annichilito in epoche di decomposizione, possa avvenire qualsiasi cosa: è immortale. Cambieranno pure gli atomi, ma verrà ripristinata la loro disposizione, quella particolare struttura che costituisce me e nessun altro.

       

Risorgeremo con questo corpo. Sarà lo stesso corpo, e sarà un corpo nuovo e glorioso. Risorgeremo, e saremo dei libri bellissimi.


21 responses to “Un nuovo corpo, lo stesso corpo

  • ago86

    Alla faccia della reincarnazione new age.

  • ClaudioLXXXI

    La new age la considero poco più di una moda. È solo una manifestazione contingente dell’eterno pensiero gnostico che miscela nel frullatore del sincretismo tutte le verità essoteriche per trarne un cocktail esoterico, appagante ma approssimativo: l’altro ieri il manicheismo, ieri la teosofia, oggi la new age, domani la next age e poi chissà che altro…
    Ho invece molto più rispetto per le religioni orientali, in cui la reincarnazione è inserita in un sistema coerente e rigoroso (per quanto naturalmente si tratti di una visione agli antipodi delle religioni monoteistiche).

  • Cuoredipizza

    «Adesso c’è la Settimana Santa; se uno il Giovedì Santo, il Venerdì Santo, il Sabato Santo, la Pasqua, in questi quattro giorni va dentro senza guardare in faccia Cristo e basta, ma con la preoccupazione dei peccati o della perfezione oppure delle cose da meditarci su, viene fuori stanco e riprende le cose come prima…»
    [Don Giussani]

    Buona Settimana Santa, Claudio!
    Cuoredipizza

  • ago86

    Io rispetto le religioni orientali, ma la reincarnazione mi e’ sempre parsa una specie di scappatoia per non affrontare il problema del male e dell’inferno; infatti la dannazione eterna e’ estranea a tali culti, ma al suo posto vi e’ una ripetizione della vita in forme piu’ o meno “nobili”, ma mi verrebbe da chiedere come un essere umano reincarnato in un animale possa conservare la coscienza umana e il discernimento del bene e del male, necessario per poter aspirare ad una futura vita migliore. Qui si evita anche una domanda semplice: se qualcosa e’ male, come esiste il male in se’? Cio’ e’ aggirrato. La reincarnazione ha anche un altro aspetto, questo pero’ negativo: poiche’ questa e’ solo una delle tante vite, l’omicidio non e’ poi cosi’ brutto, poiche’ si vivra’ sempre un’altra vita, e poiche’ l’essere delle persone e’ visto solo come un passaggio verso livelli di esistenza superiore, allora questa non e’ la migliore esistenza possibile, dunque si toglie la dignita’ dell’essere umano. In ultimo: se l’anima e’ tutto cio’ che siamo, come puo’ il corpo esserle adiaforo? Esso costituirebbe qualcosa di esterno ad essa.

  • ClaudioLXXXI

    Beh, nella visione buddista il male in sé è l’attaccamento all’io, esistono degli inferni “di transizione” tra una vita e l’altra, il paradiso è l’annichilimento nirvanico finale. Il passaggio in una vita animale inferiore è visto come purificazione, bisognerà passare per tot vite da verme/insetto/eccetera prima di tornare a forma umana e poter di nuovo progredire nel karma. Comunque c’è indubbiamente un senso di sacralità della vita che rende cattivo l’omicidio, anzi si tiene in fortissima considerazione proprio per questi motivi anche la vita animale.
    Il corpo… ecco questo mi sembra il punto dolente. Mentre nelle religioni monoteistiche c’è corrispondenza biunivoca tra corpo e anima, per loro il corpo è come un vestito che l’anima cambia ad ogni nuova stagione. In un certo senso noi siamo “individualisti”, perché ognuno è un irripetibile unicum distinto e separato dagli altri, mentre per loro esiste un certo numero di anime che si avvicendano nella storia fino a perdersi e fondersi l’un l’altra nel Nirvana.
    Insomma è una visione molto diversa dalla nostra che considero assai rispettabile, e dico pure affascinante, ma ho ben presente i motivi per cui è radicalmente sbagliata.

  • frodolives

    ciao Claudio. Hai una scrittura sempre forbita, eccezionale. Devo finire di leggeer L’appuntamento, mi è piaciuto molto fin dove l’ho letto. Ti darò il commento finale una volta letto tutto. Riguardo al buddismo. La reincarnazione è sicuramente una cosa che affascina e al tempo stesso sconvolge. Siamo secondo me noi occidentali troppo collegati al nostro corpo, lo crediamo troppo importante, per i cattolici noi nel giudizio finale risorgeremo pure col nostro corpo, lì mi sembra strano mi sono anche chiesto a che età il buon Dio ci farà risorgere dalle tombe. E poi, secondo me il corpo ha in sé una identità sessuale molto ben definita. Esisterà dunque il sesso dopo il Regno dei Cieli in terra? Sono domande.
    Il Nirvana non lo vedrei come l’annichilimento delle anime. Il Nirvana è uno stato di estasi senza fine. E’ la comprensione del Tutto.
    E’ fondersi con i Tre Gioielli, con una unità tra tutti gli spiriti disincarnati. E’ un raggiungere uno stadio di evoluzione superiore. E’ trascendere la carnalità, la mortalità, è incontrare la nostra natura divina.
    Io vorrei che ci fosse anche qui la volontà di unire le religioni. Non di dire “questa sbaglia, questa invece è corretta”, perché io credo che tra le più importanti religioni ci si debba sforzare per trovare i punti di contatto. Io credo che anche gli indiani d’america, nel loro credere a Manitu, abbiano lo stesso diritto alla loro dignità di credere in un Essere Superiore.
    Già che ci siamo, Claudio, come si pone la Chiesa Cattolica per quei bimbi di due o tre anni che muoiono per qualsiasi causa naturale (ahimé)?
    Che libero arbitrio possono avere espletato per sapere se possono andare in Paradiso?
    Io considero questo mondo una forgia, dove le nostre anime si evolvono, di vita in vita, si spera sempre umana. Ma questo dipende dalle nostre azioni. Nel buddismo la nostra attuale condizione umana è una specie di benedizione in sé. Possiamo conoscere il Trascendente, possiamo agire per il bene degli altri esseri senzienti.
    Unire, ecco.

  • ClaudioLXXXI

    Invece unire le religioni è scorretto, perchè se i presupposti sono inconciliabili si fa violenza all’una o all’altra se le si vuole frullare assieme in un minestrone appagante ma approssimativo.
    Odio il sincretismo perchè è irrispettoso delle religioni (tutte), le snatura, le trasforma in qualcosa che non sono.
    Sul Nirvana, qua dipende forse da quale delle tre scuole di pensiero del buddismo si segue (piccolo veicolo, grande veicolo, veicolo di diamante)… ma questa fusione tra spiriti per me è già un annichilimento dell’individuale. Nel Paradiso cristiano non c’è “fusione”, c’è “armonia”. Gli individui restano tali, compresa la loro identità sessuale. Sembrano sfumature inutili, ma hanno molta importanza.

    Comunque è piacevole che tu dica che il pensiero occidentale dà troppa importanza al corpo, considerato che l’accusa rivolta al cristianesimo dal mondo “moderno” è di aver svalutato il corpo e disprezzato la carne. E’ purtroppo vero che c’è stata una cultura cristiana troppo spiritualista, angosciata dal mondo; eppure il cristianesimo correttamente inteso ha della materia una considerazione altissima.
    Perchè il Verbo si è fatto Carne.

  • frodolives

    uhm…
    però non hai detto come dobbiamo comportarci per i bambini che muoiono in pochi mesi o anni. Dove vanno?
    Altra cosa. Allora secondo te il famoso incontro di Assisi fra tutte le più grandi religioni è stato un errore?
    Oppure va visto come un incontro mantenendo l’idea che ognuna è la sola strada che porta alla “liberazione”?
    Cioé come mi devo porre nell’incontro di Assisi tra tutte le religioni? Tante strade che non si devono incontrare parallele ma che non si intersecano?

  • ClaudioLXXXI

    Dove vanno i bambini piccoli? Beh, in Cielo, suppongo. L’idea del Limbo non mi ha mai convinto troppo e sono contento che si stia effettuando un ripensamento teologico generale nella Chiesa.

    L’incontro di Assisi è stato un bellissimo evento, un momento molto toccante, il cui significato è stato spesso travisato e falsificato dalla stampa internazionale. Assisi è stata una grande preghiera multireligiosa, non interreligiosa. Nella preghiera multireligiosa, persone di confessioni diverse pregano nello stesso contesto per un fine comune, ma in modo separato. Nella preghiera interreligiosa c’è maggiore coesione, ma proprio per questo sono necessari alcuni presupposti di base. Un cristiano e un buddista non possono fare assieme preghiera interreligiosa perchè concepiscono lo stesso atto del “pregare” in modo molto diverso (nel buddismo non c’è alcun sommo Dio a cui rivolgersi, come tu saprai bene, ma solo una Legge impersonale). Possono pregare l’uno accanto all’altro, ed è un gesto molto bello di reciproca tolleranza, ma non possono pregare insieme perchè non c’è fondamento comune (e fare i salti mortali teorici per fingere che ci sia significherebbe snaturare l’una o l’altra religione).
    Naturalmente i giornali in genere non hanno affatto parlato di questa delicata distinzione, e hanno presentato l’incontro di Assisi come se il Papa avesse detto “ma sì, volemosebbene, in fondo la pensiamo tutti allo stesso modo, una religione vale l’altra”. Sincretismo, appunto. Bleah.

  • stark86

    Mi è capitato di leggere il titolo di questo post tra quelli inseriti nella colonnina laterale, così l’ho ripreso (non l’avevo mai letto, in realtà: mi sono perso diverse cose in questo blog).

    Però mi pare di ricordare di aver letto un altro commento (quello in cui rispondevi alla mia citazione da “L’etica protestante e lo spirito del capitalismo” di Weber) in cui affermavi che il cristianesimo non comporta il crogiolarsi su questa terra in attesa dell’altra Vita.
    Ebbene, può anche essere vero, ma rimane comunque un grande senso consolatorio.
    Io so che dopo finisce tutto. E quello che ho è bellissimo proprio per questo motivo.

  • ClaudioLXXXI

    Sì, è vero. Non posso non ammettere che esiste un rispettabile coraggio nell’ateismo: percepire la fede nell’aldilà come un Vicodin spirituale, un bastone dell’anima, e decidere di farne a meno e andare avanti comunque, zoppicanti e doloranti ma puliti.
    (si capisce che mi accingo a vedere Dr. House?)
    E si tratta di una posizione tanto più coraggiosa quanto più è legata ad una deontologia rigorosa: se tu kantianamente rispetti l’imperativo categorico della morale, anche se credi che dopo non c’è nessun premio per i buoni nè punizione per i cattivi, questo ti fa onore e io ti faccio tanto di cappello. Chapeau. Gesù fa dell’ateo buono il protagonista di una parabola (il buon samaritano), pensa un po’.

    Ma c’è un ma. Hai mai pensato che il ragionamento si può anche rovesciare? Che può essere comodo credere che tutto finisca con la morte? Pensa che bello: possiamo spassarcela come vogliamo, fare tutto quello che possiamo finchè possiamo, e poi non dobbiamo rendere conto a nessuno. Pensa che bello! Ce la siamo goduta, è stato bello finchè è durato, magari a qualcuno è andata peggio che a qualcun altro ma alla fine chissenefrega, e l’oblio eterno impedirà ogni sofferenza e/o senso di colpa.
    Chi crede nell’aldilà, invece, ha una prospettiva diversa. Noi non potremo mai dire “alla fine chissenefrega”. Noi dovremo fare i conti con le nostre azioni, e con le conseguenze delle nostre azioni, e perfino con l’inevitabile compagnia di noi stessi, non per cinquanta o settanta o cent’anni soltanto: nossignore, per sempre.
    Potrebbe essere terribile.
    E allora, non sarebbe meglio il grande senso consolatorio di chi sa che dopo finisce tutto?

  • stark86

    Certo che ci ho pensato, ma da un punto di vista particolare, però. Ovvero, mi metto nei panni di chi riceve, ad esempio, una “buona azione” da qualcuno che la commette, non dico perché si aspetta la vita eterna così facendo, ma per un principio di carità cristiana (e non devo nemmeno faticare molto, visto che erano i miei panni di qualche anno fa). Personalmente (e ci tengo a sottolinearlo, lungi da me voler far fallire tutte le beneficenze parrocchiali e simili) questa cosa mi mette tristezza e mi fa arrabbiare. Perché io, da beneficiario, pretendo solo una cosa: che l’azione caritatevole (che brutto termine, poi) mi sia rivolta perché si tratta di me e di te che ti offri, non deve arrivare lo stimolo esterno che ti fa scattare la molla. Altrimenti preferisco essere preso a calci, piuttosto che essere aiutato da qualcuno che “riceve l’ordine” di farlo. In alternativa, mi trovo costretto a pagarti (anche qui, panni facili, una seconda pelle).

    Perché, poi, l’ateo dev’essere per forza brutto sporco e cattivo? Perché non ha la catena invisibile che lo tiene legato al Cielo? Io preferisco la legge morale che ci viene dall’interno (esatto, kantiana), qualunque essa sia: a me interessa che sia spontanea, non che sia buona.

  • stark86

    decidere di farne a meno e andare avanti comunque, zoppicanti e doloranti ma puliti.
    (si capisce che mi accingo a vedere Dr. House?)

    Se ci metti “ma puliti” no, non si capisce 😛

  • utente anonimo

    hai fatto molto bene a mettere le virgolette a “riceve l’ordine”, non perché non sia vero, ma perché la carità cristiana non è frutto di costrizione

  • stark86

    Certo, non intendevo parlare di costrizione. Come le vogliamo chiamare? Indicazioni? Linea editoriale? 😛

  • utente anonimo

    forse gratitudine
    l’amore può essere un comandamento perché prima è un dono

  • ClaudioLXXXI

    Perché, poi, l’ateo dev’essere per forza brutto sporco e cattivo?
    Forse c’è stato un misunderstanding: io ho detto proprio che l’ateo NON è per forza brutto sporco e cattivo, anzi può essere nobile e coraggioso se decide di fare il bene pur pensando che dopo non c’è nè premio per i buoni nè punizione per i cattivi.
    E la cosa che ti fa intristire e arrabbiare è una cosa che dispiace anche a me, quella di vivere il cristianesimo solo come una morale. Fai le cose non perchè “vuoi” farle, ma perchè “devi”. Sono due anni che da questo blog ripeto che il comportamento esteriore senza la volontà interiore, serve a ben poco. Tanto per parlare in termini kantiani: il vero cattolico, con il suo libero arbitrio, trasforma la morale eteronoma (= voluta da qualcun altro) in morale autonoma (= voluta da lui stesso).

    Però il riferimento che fai a Kant non regge tanto. Perchè per Kant la legge morale è comunque unica, perchè deriva dalla ragione che è unica per tutti. L’individuo capisce razionalmente la morale e poi sceglie di adeguarsi: ogni individuo razionale, nella stessa situazione, fa la stessa cosa. Non “qualunque” morale, ma la morale razionale.

    Tu invece insisti sulla “spontaneità” della morale, il che è più nicciano e relativista che kantiano. E io insisto a dire che la tua posizione è buona solo per la torre d’avorio: puoi permetterti di dire “ciascuno segua la sua spontanea morale”, solo perchè non sei costretto a subirne le conseguenze, perchè vivi in una società ordinata che ti protegge dalla prepotenza dell’anarchia.
    Tanto per ricollegarci all’altro post, non sei costretto a fare da solo i conti con i “gatti”: se venissero a radere al suolo la tua casa, violentare e ammazzare il parentado, ti voglio proprio vedere a dire “ma io preferisco comunque la vostra morale spontanea che viene dall’interno”.

  • stark86

    il vero cattolico, con il suo libero arbitrio, trasforma la morale eteronoma (= voluta da qualcun altro) in morale autonoma (= voluta da lui stesso).

    Mi stai dicendo che sono cattolico? ^_^

    Io cerco sempre di capire: se qualcuno mi dà una motivazione che ai miei occhi è valida, posso assolverlo dall’efferatezza commessa. Ovviamente, ripeto, è a livello del tutto personale, un sistema giuridico non può basarsi su criteri così soggettivi.

  • Atlantide 2.0 « de libero arbitrio

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