L’antipapa
L’articolo dell’Espresso non si risparmia certo in ironia: Cristo, quanti errori.
Gli errori in questione sarebbero quelli di Ratzinger, nel suo libro “Gesù di Nazareth”, che il giornalista elenca puntigliosamente. Errori gravi, se non gravissimi: roba come la confusione tra il monte Moria e il monte Oreb, o l’uso della parola ebraica sukkot al maschile invece che al femminile, oppure addirittura il vocativo epistàta al posto del nominativo epistàtes. Capite? Horremus! L’articolo ci assicura che “dagli esegeti arrivano stroncature impietose, segnalazioni di errori che L’espresso ha raccolto con l’assicurazione dell’anonimato”. Me li immagino, gli esegeti che impugnano la matita rossa e blu con mano tremante, implorando la protezione dell’anonimato per paura delle terribili vendicative ritorsioni papali…
In realtà, l’impressione che si ricava da questa stroncatura è che quelli dell’Espresso siano andati a cercare col lanternino qualcosa purchessia, qualunque straccio di difetto o refuso, su cui poter malignamente gongolare. Qualche cosa, qualsiasi cosa, da offrire al livore anticattolico dei lettori che godono a pensar male di Ratzinger. Si rimprovera perfino al papa di aver scritto che Gesù entrò a Gerusalemme durante la domenica delle palme; “ma si tratta di un evidente anacronismo: la domenica delle Palme, come è ovvio, all’epoca era una festività inesistente”. Come è ovvio: ma verosimilmente il papa l’ha dimenticato e ha pensato che il giorno in cui Gesù entrò a Gerusalemme, il giorno che in futuro sarebbe stato ricordato come domenica delle palme, ci fossero già dei cristiani battezzati che festeggiavano la domenica delle palme…
Dove l’articolo diventa davvero sleale, però, è nella seconda parte. Viene infatti chiamata una dotta auctoritas per demolire il libro di Ratzinger: il cartinale Martini.
“Alla caccia all’errore nel testo del professor Ratzinger si è aggregato un lettore d’eccezione: Carlo Maria Martini. Recensendo il libro del papa nella sede dell’Unesco il cardinale gesuita, ex rettore dell’Università Gregoriana, raffinato studioso delle Scritture, ha soavemente scagliato qualche bel pietrone” … “Poi si è dedicato a gettare un’ombra sulla preparazione dell’autore” …
“In ballo c’è il metodo storico-critico di interpretazione dei Vangeli, che si è affermato nel secolo scorso ed è considerato essenziale dai principali esegeti. Mentre Benedetto XVI lo elegge a suo bersaglio polemico, lo smantella fin dall’introduzione, lo accusa addirittura di essere tra i principali responsabili dell’indebolimento della fede cristiana negli ultimi decenni. ‘Chi legge alcune ricostruzioni’, scrive il papa, ‘può constatare che esse sono molto più fotografie degli autori e dei loro ideali che non la messa a nudo di un’icona fattasi sbiadita. In conseguenza di ciò, la figura di Cristo si è ancora più allontanata da noi’. E così mezzo secolo di ricerche sui testi evangelici e sulla storicità di Gesù sono serviti. Martini ha preferito sorvolare sull’attacco. Ma nella presentazione parigina ha declassato il testo del papa al rango di meditazione personale” …
“il successo popolare del testo ratzingeriano? ‘Tutto sommato non è un indice particolarmente significativo del valore del libro’, ha concluso Martini. E questa suona come la più perfida delle critiche”.
Ma è davvero così? Quel che Martini ha detto a Parigi lo si può leggere qui, sul sito del Corriere della Sera. Va detto che anche quelli del Corriere sanno il fatto loro: l’articolo è titolato come “Ammiro il Gesù di Ratzinger, ma non è l’unico”, oltretutto virgolettato sì da far intendere al lettore che esso sia una citazione dal testo di Martini. Ma nel testo quelle parole non ci sono: al Corriere se le sono inventate, applicando il solito trucchetto giornalistico della “interpretazione creativa”. Perdipiù, a leggere per intero il discorso di Martini, si scopre che in realtà è un alto elogio del libro di Ratzinger:
“il metodo dell’opera si oppone fermamente a quello che recentemente è stato chiamato, in particolare nelle opere del mondoanglosassone americano, «l’imperialismo del metodo storico-critico». Egli riconosce che tale metodo è importante, tuttavia corre il rischio di frantumare il testo come sezionandolo” …
“nel pensiero dell’autore, ragione e fede siano implicate e «reciprocamente intrecciate», ciascuna con i suoi diritti e il proprio statuto, senza confusione né cattiva intenzione dell’una verso l’altra. Egli rifiuta la contrapposizione tra fede e storia, convinto che il Gesù dei Vangeli sia una figura storica e che la fede della Chiesa non possa fare a meno di una certa base storica.” ….
“Questa opera è quindi una grande e ardente testimonianza su Gesù di Nazareth e sul suo significato per la storia dell’umanità e per la percezione della vera figura di Dio. E’ sempre confortante leggere testimonianze come questa. A mio avviso, il libro è bellissimo, si legge con una certa facilità e ci fa capire meglio Gesù Figlio di Dio” …
“Pensavo anch’io, verso la fine della mia vita, di scrivere un libro su Gesù come conclusione dei lavori che ho svolto sui testi del Nuovo Testamento. Ora, mi sembra che questa opera di Joseph Ratzinger corrisponda ai miei desideri e alle mie attese, e sono molto contento che lo abbia scritto. Auguro a molti la gioia che ho provato io nel leggerlo”.
Conclusione? Non è la prima volta che certa stampa “laica” cerca di cucire addosso a Martini i panni dell’antipapa, di rappresentare una contrapposizione tra la Chiesa “buona” e quella “cattiva”. Contrapposizione di solito campata per aria, perché, se è vero che Martini e Ratzinger hanno approcci diversi, è altrettanto vero che i due si stimano e si rispettano, e che le cose in cui la pensano allo stesso modo sono immensamente di più, e non potrebbe essere altrimenti, delle cose in cui hanno opinioni diverse. Ma questo, a quelli dell’Espresso (e sovente anche a quelli del Corriere), evidentemente non conviene farlo sapere ai propri lettori.
P.S. quanto sopra trae spunto e occasione da questo post, tributiamo all’autore un affettuoso (anche se è ateo relativista e anima nera) special thanks…
10 giugno 2007 at 12:41
> Me li immagino, gli esegeti che impugnano la matita rossa e blu con mano tremante, implorando la protezione dell’anonimato per paura delle terribili vendicative ritorsioni papali <
Caro Claudio, ti assicuro che il clima dell’ambiente, almeno nelle università statali, è esattamente quello. Credo che ciò accada più per ingenuità che per malafede: attaccare il libro del papa, che è effettivamente una “meditazione personale” (lui stesso si è peritato di definirla così), procura a certi studiosi il brivido dell'”eresia”. Come se oggi non fosse più eroico il contrario (ricorderai certamente le pagine di Chesterton sull’argomento). Ma si sa che gli intellettuali raramente brillano per coraggio e lucidità.
Allora si bisbiglia, si insinua, ci si accappona su una riga, si grida festosamente all’errore… Come se questo non accadesse ogni volta che si legge un qualunque altro libro sull’argomento (a me capita spesso). Solo che questa volta l’ha scritto il papa, vuoi mettere la gioia di poterlo confutare? Così, come bimbi, ci si getta sul balocco, ben sapendo però come funziona il balocco.
Poi qualcuno, come hai segnalato molto opportunamente, sfrutta la situazione a proprio vantaggio.
Una riprova: Martini, in questo caso, torna comodo, ma hai mai visto qualche esegeta o storico del cristianesimo scagliarsi con zelo sulle meditazioni del cardinale? Eppure, ce ne sarebbero di cose da dire. Ma in quel caso, chissà perché, tutti si stanno zitti, e danno per scontata la differenza che c’è tra un testo di riflessione spirituale, che può anche avvalersi delle metodologie storiche (quanto diverse, fra loro, poi!), e uno studio pubblicato in una rivista scientifica.
Oltetutto, hai mai visto due “speciliasti” d’accordo su tutto?
Il libro del papa, ne sono sicuro, obbedisce ad altri scopi, si rivolge a un diverso uditorio da quello degli specialisti. Ed è evidente che gli specialisti potranno criticarlo, su questo o quel punto. Il problema è: perché lo fanno, e come? Non si è mai troppo critici sulla critica.
L’altro giorno, un tipo che conosco mi ha detto: “il libro del papa è un disastro! Pensa che si basa tutto su Giovanni, che, tra i vangeli canonici, è il più teologico e il più tardo etc.”, dove l’etc. sta per una sfilza di luoghi comuni (per me) sul vangelo di Giovanni “meno ebraico degli altri”, e così via.
Il tipo, a farla breve, voleva in questo modo farmi intendere che sì, lui ne sapeva un po’ dell’argomento, che lui “aveva letto” e poteva parlare con cognizione di causa. Già. Ma ignorava del tutto il fatto che ormai nessuno pensa più a “ellenismo e giudaismo” come a una polarizzazione storicamente efficace (per il I sec.), che Gv d’altronde è valutato come un vangelo profondamente imbevuto di concetti giudaici, che alcuni studiosi ne datano la composizione di alcune parti addirittura prima del 70, che la ricostruzione delle tradizioni riportate in esso ne evidenzia una grande puntualità storica, che anche gli altri vangeli hanno una “teologia” forte, altrettanto forte. Insomma, cos’era successo? Evidentemente, il nostro aveva sentito pontificare qualche “specialista”… Magari su Focus…
Un saluto, e perdona la lunghezza del commento.
10 giugno 2007 at 13:01
criticare la critica[..] Non si è mai troppo critici, sulla critica. Se a qualcuno interessa, ho scritto un commento a quest’ottimo post di De Libero Arbitrio, dedicato alle critiche “eccellenti” al libro del papa su Gesù. Ora però torno [..]
10 giugno 2007 at 20:07
Magister riporta una dettagliata risposta a Damilano da parte di don Silvio Barbaglia, biblista e assistente della FUCI di Novara.
Io sto leggendo la versione inglese del libro di Ratzinger e alcuni dei presunti errori non appaiono. Ad esempio ‘malkut’ viene definito ‘word’ ossia parola e non radice. Quindi Piero Stefani fa bene a prendersela con i curatori italiani, piuttosto che con l’autore. Inoltre, per ovvie ragioni linguistiche, non c’e’ nessuno scambio di genere riguardante la parola ‘sukkot’.
10 giugno 2007 at 21:45
Credo che le nostre analisi siano un tantino diverse perché si concentrano su due aspetti diversi della faccenda. Cerchi l’oggettività nella stampa? Ma davvero? Be’, auguri 😛
Il fatto è che i due articoli sottolineano due cose diverse, ma il succo è quello: il libro non rispetta il filone della critica storico-filologica, ma a Martini è piaciuto. Ora, onestamente a me frega poco dei gusti letterari di Martini.
Approfondiamo piuttosto il primo tema: come si può essere teologi senza essere esegeti? Come si può studiare una disciplina senza consultarne le fonti? Sarebbe possibile in un solo caso: se la verità storico-filologica cozzasse in qualche modo con quella teologica e di fede. È così?
10 giugno 2007 at 21:47
E comunque sono offeso perché mi aspettavo un riconoscimento, un passo di “special thanks” per aver ispirato il post 😛
10 giugno 2007 at 22:34
bel post!
E’ la prima volta che capito qui, tornerò.
11 giugno 2007 at 08:49
alcuni studiosi ne datano la composizione di alcune parti addirittura prima del 70, che la ricostruzione delle tradizioni riportate in esso ne evidenzia una grande puntualità storica
Insomma… dubito che un’opera partorita nell’arco di 30-50 anni possa avere rigore storico, soprattutto considerando il fatto che, a sua volta, l’autore del Vangelo di Giovanni si rifà non ad una, ma a molte fonti, la maggior parte delle quali tramandate oralmente.
Ma questo vale più o meno per tutti i testi evangelici, da Marco a Tommaso, passando per gli altri sinottici che avrebbero (ipotesi) un’unica fonte in comune. I Fatti passano attraverso il filtro delle Persone e vengono stravolti. È normale. Nessuno dice che gli evangelisti hanno volontariamente omesso e aggiunto brani per creare un’immagine fittizia. Erano semplicemente uomini.
11 giugno 2007 at 10:17
Il mio commento non è in nessun modo scientifico. Non potrei, occupandomi di legge, nè saprei perchè inconfutabile è la preparazione di questo Papa e dunque chi si ponga con occhio critico alla lettura dei suoi scritti non può che essere persona di elevata preparazione.
Ho acquistato il libro il girono stesso della sua uscita. E’ un’abitudine che avevo preso con i libri di Giovanni Paolo e l’ho conservata anche per questo testo. Già ad un primo sguardo ho capito che era però qualcosa di diverso e che, di divulgativo, non c’era molto. Si trattava di un testo da leggere con impegno ed anzi mi ero proposto di leggerne una ventina di pagine al giorno, armato di matita per sottolineare e di spirito analogo a quello con cui si studia.
Purtroppo, alla fine, il libro è rimasto lì sulla scrivania, a far bella mostra delle intenzioni, ma è mancato il coraggio per intraprendere il percorso che richiede e che, probabilmente, merita davvero di essere fatto.
In questo senso, temo, il successo editoriale del libro non è significativo. Non mi ritengo un lettore pasrticolarmente intelligente nè particolarmente colto, eppure sono un lettore abituato a testi (di studio o di diletto) di un certo spessore (nel senso proprio fisico del concetto).Eppure, il libro mi ha subito spaventato. Temo così che moltissimi degli acquirenti entusiasti del libro del Papa, siano rimasti poi alla quarta di copertina, senza riuscire a permeare la complessa trama elaborata. Insomma, non so se fosse un libro da pubblicare con Rizzoli o Mondadori.
Ho letto il commento del Cardinal Martini. Non vi ho letto nessuna stroncatura. Anzi. Mi pare piuttosto dotato di una virtù che i laici abbinano difficilmente ai prelati, ma di cui questi ultimi sono spesso molto più dotati dei bigotti che li ascoltano: l’ironia. Ci ho letto, cioè, lo sguardo bonario di un collega studioso, che si diverta, in un certo senso, a dare del secchione a qualcuno che sa essere, come sempre, molto preparato.
11 giugno 2007 at 10:25
> “I Fatti passano attraverso il filtro delle Persone e vengono stravolti”.
Per fortuna che qualcuno è arrivato a dirci come sono andate realmente le cose! Mi sento risollevato. Magari Stark86 potrà chiarirci i punti oscuri nelle vite dei Cesari, o lo svolgimento esatto – chessò – del controverso affare delle Arginuse. Senza il minimo ricorso a Svetonio o a Tucidide, beninteso, dato che questi hanno ovviamente stravolto i fatti, hanno scritto nell’arco di molti anni e si sono pure avvalsi (orrore!) di varie fonti, molte delle quali addirittura (addirittura!) orali. Per fortuna ci sono gli storici contemporanei, ma no che dico, gli Stark86: loro sì, che sono senza filtri! Ci hanno la “verità storico-filologica”, mica cazzi.
11 giugno 2007 at 11:28
Per fortuna che qualcuno è arrivato a dirci come sono andate realmente le cose! Mi sento risollevato.
Riabbassati.
Io, invece, sto dicendo che nessuno può dire come sono andate davvero le cose. Si può scavare, scavare, scavare, tendendo asintoticamente alla verità storica, ma non la si raggiunge. Mai. Anche perché lo stesso storico è un uomo, che a sua volta guarda l’evento da [b]una o più[/b] prospettive, a seconda della cultura della quale è imbevuto, ma non certo da [b]tutte[/b] le prospettive.
11 giugno 2007 at 11:30
Va be’, i tag andavano coi segni di , non con le parentesi quadre.
Ma si capisce lo stesso la sottolineatura, spero 😛
11 giugno 2007 at 12:15
Posso far notare che “tendere asintoticamente alla verità storica” significa escludere la verità storica dal novero delle verità conseguibili tout court? Parimenti, il fatto di non avere tutte le prospettive relative ad un evento storico non ne inficia la riconoscibilità.
Più semplicemente: la resurrezione di Cristo non è verità asintoticamente, cioè mai del tutto, conseguibile, perchè viziata dalla parzialità dei testimoni. E’ verità punto. Cristo risorse, non serve avere tutte le prospettive prive di imbibizioni culturali per saperlo, bastano le testimonianze storiche acclarate.
Anche Giulio Cesare morì pugnalato, e non servono tutte le prospettive dei congiurati per saperlo.
Con i criteri del panprospettivisimo culturalmente puro non puoi avere neppure la certezza della tua esistenza reale qui ed ora.
..e ancora, il cosiddetto inquinamento culturale di una prospettiva, leggi fonte, è una benedizione per lo storico, il quale ha così la possibilità di ricostruire oltre all’evento la collocazione storico-culturale dello stesso, il suo sitz im leben come usa dire tra i crucchi. Insomma: la prospettiva culturalmente filtrata è la moneta corrente del discorso storico, lungi dall’essere l’ostacolo che tu dici per il conseguimento della verità.
Ma forse occorrerebbe intendersi su cosa sia la verità, a questo punto, prima che la verità storica.
Saluti
11 giugno 2007 at 14:03
Anch’io è la prima volta che capito qui, ma vale la pena di seguirti!
Complimenti!
La mia amica Nihil Alieno mi ha lanciato un’ottima dritta!
Ciao!
Elisabetta
11 giugno 2007 at 17:16
Posso far notare che “tendere asintoticamente alla verità storica” significa escludere la verità storica dal novero delle verità conseguibili tout court?
Esatto, in parte.
Aggiungerei che non ci sono affatto verità conseguibili tout court. Quella storica non fa certo eccezione.
E’ verità punto. Cristo risorse, non serve avere tutte le prospettive prive di imbibizioni culturali per saperlo, bastano le testimonianze storiche acclarate.
“È verità punto” non esiste, mi spiace. Testimoni non ce ne sono. E se le profezie di resurrezione dell’Antico Testamento non si avverano, che succede? E che succede se gli autori dei testi si trovano a scrivere in un periodo storico particolare, quando la loro terra è occupata e il loro “Tempio” in pericolo? Si costruiscono, in toto o parzialmente, immagini suggestive miranti a rinvigorire la fede. “Se Cristo non è risorto, vana è la vostra fede e voi siete ancora nei vostri peccati” (Paolo, Prima lettera ai Corinzi): le prima comunità cristiane non davano questa sottolineatura importante alla resurrezione. Non vi insospettisce nemmeno un po’ questo fatto?
Con i criteri del panprospettivisimo culturalmente puro non puoi avere neppure la certezza della tua esistenza reale qui ed ora.
Questo viene lasciato alla coscienza e alla buona fede di ciuscuno storico. Ovviamente è sempre opportuno – appello a tutti i lettori – confrontare le ipotesi e, per chi ha conoscenze linguistiche adeguate, incrociare in prima persona tutte le fonti.
la prospettiva culturalmente filtrata è la moneta corrente del discorso storico, lungi dall’essere l’ostacolo che tu dici per il conseguimento della verità.
Ma non voglio affatto dire che è un ostacolo.
Ricapitolo: si è detto che il libro di Ratzinger “si basa tutto su Giovanni”. Questo, a prescindere dal valore storico attribuito al Vangelo di Giovanni, è concettualmente errato. Errato almeno per me, che non concepisco uno studio basato su un corpus letterario così ridotto. Almeno si prendano in considerazione i 4 canonici, se proprio non si vuol toccare gli “apocrifi”.
Io studio lettere, ed è come se mi si presentasse L’Iliade rivista da Baricco (che pure ha un suo valore, se opportunamente inserita nel [b]nostro[/b] contesto culturale) come una semplice traduzione e resa in prosa di quella di Omero. Qui sì che griderei: “ORRORE!”
11 giugno 2007 at 17:59
E’ verità punto. Cristo risorse, non serve avere tutte le prospettive prive di imbibizioni culturali per saperlo, bastano le testimonianze storiche acclarate.
Se la trattazione storica parte da un tale presupposto, non c’è molto margine di discussione.
Io posso accettare che un credente creda, appunto, alla resurrezione di Cristo, ma mai potrò prendere in considerazione seria chi me la spaccia come verità storica.
Il papa è teologo e non esegeta, va bene, non possiamo pretendere che possa essere conoscitore a tutto tondo (anche se dal pontefice questo sarebbe legittimo attenderlo) di ogni fonte, ma che almeno queste vangano vagliate nella loro interezza sarebbe auspicabile.
11 giugno 2007 at 18:03
Capisco, ho frainteso. Pensavo ci si movesse all’interno di un comune orizzonte di fede, mentre ora realizzo che così non è. Se l’avessi saputo subito, non avrei usato quegli argomenti.
Posso comunque muovere alcuni rilievi alla tua replica.
Che non esistano verità conseguibili è un pregiudizio indimostrato. Anzi, si può dire di più, è un pregiudizio che si contraddice nel momento stesso in cui viene pronunziato. Sarebbe comunque una pretesa verità l’asserzione per la quale non esisterebbero verità conseguibili… con buona pace della coerenza logica. Insomma è una posizione gorgiana questa dell’inconseguibilità della verità, a cui Platone prima e Aristotele poi risposero definitivamente.
Quanto alla resurrezione di Cristo, posso dire, che i testimoni ci furono e furono molteplici, ne narrano i vangeli sulla cui storicità esistono pochi dubbi scientificamente fondati, esiste poi tutta una serie di dubbi che non hanno però radice scientifica ma pregiudiziale, come quelli di coloro i quali ideologicamente escludono il soprannaturale dal novero delle testimonianze affidabili.
Sono tutte da dimostrare le ipotesi che tu ventili sulla “autosuggestione” presunta degli evangelisti. Se noti, lo spazio letterario dedicato alla Passione, rispetto a quello dedicato alla Resurrezione è decisamente più ampio. Questo si concilia decisamente poco con una intenzione tesa a dare una “immagine suggestiva mirante a rinvigorire la fede”.
Non vedo il nesso tra la citazione di Paolo e una presunta lateralità della Resurrezione. Il passo citato, al contrario, mi pare suggerire il contrario.
Il controllo delle fonti, storiograficamente parlando, è certo un valore. La possibilità di avere a disposizione tutte le prospettive, invece, è un’impossibilità reale, prima ancora che storiografica.
Il vantaggio nostro, di lettori del Vangelo del XXI secolo, è quello di poter considerare quegli scritti in controluce, per così dire, ossia li possiamo leggere alla luce della critica di XX secoli di storia, per valutarne la tenuta storica. Pochi documenti, anzi credo proprio nessun altro, sono stati posti sotto il vaglio dell’acribia storico-filologica come i vangeli, che sono emersi sempre più forti e autorevoli da questi confronti.
Non ho ancora letto attentamente il Libro di Papa Benedetto, l’ho solo scorso rapidamente, e il taglio che mi pare gli abbia voluto imprimere giustifica, a mio avviso, la predilezione della versione giovannea. Non voleva essere uno studio filologico il Suo, quanto piuttosto una considerazione ad ampio raggio sulla natura di Cristo, operazione per la quale il vangelo di Giovanni dà molti più spunti che gli altri.
Chi conosce anche sommariamente la storia delle redazioni testamentarie, peraltro, sa bene Giovanni non essere un “outsider” rispetto ai sinottici, e sa altrettanto bene quanto il lavoro redazionale di questo evangelista, che spesso integra la catechesi dei precedenti evangelisti, presupponga quello dei suoi predecessori. Soffermarsi su Giovanni implica e presuppone lo studio dei sinottici, certo non li esclude.
Resta poi inteso che i vangeli non a caso noti come apocrifi, in quanto non ritenuti affidabili, siano fonti dalle quali tendenzialmente diffidare, volendo imbastire un discorso sulla natura di Cristo.
Ciao
11 giugno 2007 at 18:19
il mio precedente intervento rispondeva a Stark86, mi scuso non l’ho specificato.
Quanto ai rilievi di LadyMAchbet, replicherei che i Vangeli, dove si tratta della resurrezione di Cristo, sono documenti storici. Il credente, che non crede con una imprecisata ghiandola pineale, ma adopera appunto la propria ragione, per compiere l’atto di fede, trova storicamente credibili quei documenti anche sulla scorta di solidi argomenti razionali.
Il Papa, proprio in questo Suo testo, e forse proprio in ciò sta il merito di questo Suo studio, rigetta la scansione di eredità storico-critica tra Cristo storico e Cristo della fede. Eliminare questa divisione, frutto adulterato di una cattiva teologia, significa anche sfumare molto la scansione tra teologo ed esegeta, quasi le due discipline fossero inconciliabili, o, peggio ancora, in contraddizione l’un l’altra. Con questa premessa, pur fatto salvo il valore di tanta esegesi, si lateralizza, finalmente mi verrebbe da dire, il peso da attribuirsi a tutte le fonti, come se il discorso poi fosse limitato ad una delimitazione epistemologica di campo, e non avesse, come invece ha, un respiro molto più ampio di natura teologica ma prima ancora di fede.
Se il Cristo storico è lo stesso nel quale crediamo, allora è certo importante ciò che la storia ha da dirci a riguardo, ma lo è altrettanto ciò che la fede ed il suo depositum ci propongono. Papa Benedetto ha ribadito questa verità, molto opportunamente.
11 giugno 2007 at 19:22
Sarebbe comunque una pretesa verità l’asserzione per la quale non esisterebbero verità conseguibili… con buona pace della coerenza logica.
Sarei milionario se mi avessero pagato 1 centesimo ogni volta che mi si ribatte in questo modo 😛
Mettiamola così: l’unica verità è “non ci sono verità”. Ho semplificato, perché in realtà quello che a me preme è la ricerca, che è il vero compito dell’Uomo. Ora, capisci bene che di fronte a verità insidacabili non potremmo fare altro che annuire e accettare, spesso senza nemmeno avere la possibilità di capire (la maggior parte delle volte le verità universali sono inspiegabili per l’Uomo… chissà perché ^_^).
Quindi anche se ci fosse “uno comune orizzonte di fede”, temo che sarei la pecora nera della congrega 😛
Per vostra fortuna, invece, sono ateo 😛
Insomma è una posizione gorgiana questa dell’inconseguibilità della verità, a cui Platone prima e Aristotele poi risposero definitivamente.
Be’, non mi sembra il caso di ripescare filosofi greci come Platone (idee e iperuranio) e Aristotele (unità di spazio e tempo) che hanno basato tutta la loro filosofia sulla difesa degli universali.
Se noti, lo spazio letterario dedicato alla Passione, rispetto a quello dedicato alla Resurrezione è decisamente più ampio. Questo si concilia decisamente poco con una intenzione tesa a dare una “immagine suggestiva mirante a rinvigorire la fede”.
Vero, per quanto riguarda i vangeli. Hai ragione su questo punto, e direi che la scelta di far predominare la Passione sulla Resurrezione è stata fatta dagli evangelisti su basi ideologiche che mi sembrano storicamente errate. E ci tengo a sottolineare, ancora una volta, che è una cosa normalissima, soprattutto se teniamo presente il fatto che erano convinti di scrivere su ispirazione.
Perché basi storiche errate, quindi? Be’, spiegatemi un po’ com’è che Pilato, che ha sempre preso decisioni impopolari (eufemismo: ne ha ammazzati di ebrei…) improvvisamente decide di ascoltare il popolo che chiede la morte di Gesù e la liberazione di Barabba. Lo stesso Giovanni (lo sto leggendo proprio in questi giorni) dipinge Pilato come uno che crede nell’innocenza di Gesù: che fine ha fatto, quindi, la regola “in dubio pro reo”? Di nuovo: non vi puzza?
Pochi documenti, anzi credo proprio nessun altro, sono stati posti sotto il vaglio dell’acribia storico-filologica come i vangeli, che sono emersi sempre più forti e autorevoli da questi confronti.
Perché non considerarli tutti, allora?
Resta poi inteso che i vangeli non a caso noti come apocrifi, in quanto non ritenuti affidabili, siano fonti dalle quali tendenzialmente diffidare, volendo imbastire un discorso sulla natura di Cristo.
Non affidabili perché tardi? Ripeto che non è una discriminante valida. Anzi, stando al tuo ragionamento, se l’autore del Vangelo di Giovanni (che potrebbe NON essere Giovanni ^_^) ha avuto il privilegio di poter attingere da fonti precedenti, a maggior ragione lo si potrebbe dire per gli apocrifi.
Ma ovviamente non è questo il metodo che si deve utilizzare. Se una fonte è in contrasto con un’altra, si procede per incroci e comparazioni, non la si liquida semplicemente come non attendibile.
Voglio dire, in fondo nessuna fonte è attendibile (sottinteso: “al 100%”): a questo punto buttiamo tutto e amen 😛
C’è bisogno che insinui che gli apocrifi siano tali solo per le istituzioni e non per la Storia? ^__^
11 giugno 2007 at 19:34
Se il Cristo storico è lo stesso nel quale crediamo, allora è certo importante ciò che la storia ha da dirci a riguardo, ma lo è altrettanto ciò che la fede ed il suo depositum ci propongono. Papa Benedetto ha ribadito questa verità, molto opportunamente.
Be’, ma allora ha ragione Martini (o l’autore dell’articolo, ora non è ben chiaro di chi siano quelle parole): bel Cristo, ma non è l’unico. E alla faccia di una frantumazione dei confini di teologia ed analisi esegetica, questa cosa alza un muro di Berlino tra i due approcci. Uno è aperto ad idee opposte (anche se non a tutte, vedi la Resurrezione) e le prende in considerazione per costruire un puzzle che sia il più completo possibile; mentre l’altro procede a testa bassa rivolgendosi solo ai fedeli, a scapito di qualche “piccolo” particolare storico.
11 giugno 2007 at 21:23
Beh, non avevo la pretesa di controargomentare in maniera originale, palesando la contraddizione dell’affermazione attestante l’assenza della verità, mi bastava la replica fosse pertinente 😉
Se si ammette, come dici, che vi è almeno una verità, resta smentito il pregiudizio della sua inconseguibilità.
Io capisco il rischio a cui ti riferisci quando paventi una verità che, in quanto categoricamente asserita, inibirebbe il prosieguo di ogni ricerca. Solo non credo si renda il dovuto servigio alla ricerca umana, dicendo che il ricercato non
esiste, o esiste solo in via negativa (affermando per esempio la verità dell’assenza di verità). Penso, invece, si contemperino le due istanze (la logica esistenza della verità, e la naturale proprensione umana alla ricerca) riconoscendo l’esistenza di una Verità infinita, Dio per chi scrive, a fronte di una ragione umana finita, la quale mai potrà completamente esaurire le pieghe del vero.
Per questo non vedo il pericolo di cui tu scrivi, che mi pare anzi molto più sotteso ad una posizione di nichilismo veritativo.
Quanto al ripescaggio degli antichi, comunque mai fuori moda, permettimi di far notare che il primo a recuperare l’argomento sofista fosti tu, dal che a me seguì giusto l’onere della replica. Per inciso, la filosofia è la mia disciplina, ridurre Platone a idee e iperuranio, Aristotele all’unità di spazio e di tempo (???) e dire che entrambi abbiano basato la propria speculazione sulla difesa degli universali (che come tali non esistono nella lettera plato-aristotelica)… è un po’ come voler esaurire Dante nel de monarchia.
Che Pilato malvolentieri si movesse nella direzione data dal sinedrio è registrato anche negli altri Vangeli, e, come dici giustamente tu, è del resto storicamente più che verosimile.
Non è improvvisa la decisione di “ascoltare” la vox populi, opportunamente sobillata dai sinedriti. Come avrai letto, Pilato si muove nel più ampio rispetto della prassi allora vigente, tanto da mandare da Erode Gesù perchè Lo giudicasse lui, avendo riconosciuto durante l’istruttoria la Sua provenienza. Al procuratore romano dovette ripugnare parecchio quella condanna, che da tutti i vangeli si legge estortagli. Tentò in ogni modo di evitarla, perchè insensata per lo jus romanum, ma ogni tentativo naufragò contro l’insistenza ebraica. Pilato non era solo il procuratore, ma anche il responsabile dell’ordine di quella regione, e il sinedrio giocò abilmente le proprie carte su quel tema, paventando l’agitazione della folla in caso di risoluzione negativa.
Ma andiamo con ordine.
Il capo d’accusa in forza del quale gli ebrei consegnano a Pilato Gesù è di tipo politico; viceversa l’accusa che il sinedrio Gli mosse fu di tipo teologico (il reato di bestemmia). Diranno costoro “noi troviamo che costui perturba la nazione e impedisce di dar tibuti a Cesare […]” (Lu. 23,2). Si presenta Gesù come rivoluzionario. (Noto qui come per ironia Lo si accusò di ciò per cui Lo si sarebbe voluto, loro aspettavano un Messia di tal fatta, un Messia politico). L’interrogatorio di Pilato procede dunque nel capire di che messianismo sia portatore Gesù, se politico, dunque colpevole, o spirituale, dunque non colpevole. Gesù scioglie il dubbio, proclamandosi sì re, ma non di questo mondo.
Pilato riferisce dunque al sinedrio di non trovare colpa in Lui. Lo rimanda dunque a Erode, in quanto Galileo, e con questa mossa ricompone un rapporto prima teso. Si dice che da quel giorno Erode e Pilato divennero amici. Nè Pilato nè Erode trovano validi capi d’accusa, ma per sedare la sempre più incontenibile piazza si propone la famosa scelta tra Barabba e Gesù.. sappiamo come andò, e sappiamo pure cosa disse e fece Pilato, una volta chiesto che cosa avrebbero dunque voluto si facesse di Gesù. Lui disse: ” sono innocente di questo sangue! Voi ve la vedrete!”. Dopo averLo fatto flagellare, Lo ricondusse alla folla, ribadendo che lui non vedeva colpa in Lui. Gli ebrei a questo punto replicano che Gesù deve morire perchè: ” abbiamo una legge secondo la quale deve morire perchè si fece figlio di Dio”. Spostano dunque il capo d’accusa dal piano politico iniziale a quello religioso. Pilato vien detto impaurirsi qui, non volendo passare per favoreggiatore di sacrileghi.
Di fatto a questo punto l’accusa confonde la proclamazione della regalità di Cristo in senso spirituale con una pretesa regalità politica, che, ancorchè non condivisa (gli ebrei giureranno di non aver altro re che Cesare, e con questo bestemmiarono realmente la Torah) veniva attribuita a Gesù. Pilato fu dunque costretto dall’accusa a trattare Gesù da sobillatore politico, consegnandoNe la sorte ai suoi accusatori, e prestando la “manodopera” romana per la bisogna.
Insomma, da tutta la vicenda si ricava una perfetta aderenza a quello che era il diritto romano nelle nazioni occupate, tutto rientra benissimo nel quadro della riscostruzione storica della provincia romana dell’anno 3334 D.C.
riprendo in altro post.
11 giugno 2007 at 21:40
Scusandomi per la lunghezza, ma sono temi difficili a trattarsi i spazi da blog, continuo.
Gli apocrifi sono stati riconosciuti come tali per diverse ragioni, non solo la loro distanza temporale, del resto non così ininfluente, se pensi che il vangelo di Giuda è del III secolo, capisci cosa intendo.. sarebbe come se oggi ci rifacessimo a delle cronache attuali per definire il corso della rivoluzione americana… nessuno storico ci darebbe credito, giustamente. Altre ragioni di inammissibilità degli apocrifi sono intrinseche alla loro incongruenza rispetto a quanto affermato. E’ proprio il terreno filologico, quello degli incroci e delle comparazioni, che non rende accettabili quei documenti, aventi per lo più, anche se si dovrebbe fare un discorso a parte per ognuno di quelli, un chiaro sttofondo gnostico, del tutto estraneo all’annuncio evangelico.
E’ la storia, e le sue categorie, ad aver riconosciuto gli apocrifi per quel che sono. Dei documenti posticci cioè, programmatici ad un discorso filosofico, non certo religioso.
Dal protestantesimo in poi, attraverso il cavallo di Troia del libero esame, più o meno ognuno si è sagomato il Cristo che voleva, a questa deriva ha contribuito anche il già segnalato metodo storico-critico.. di demitologizzazione in demitologizzazione si è arrivati a dire tutto e il proprio contrario su Gesù. Da qui la giusta riconsiderazione delle due fonti in armonia, e non in contrasto. Cristo è unico, Lo si può incontrare nel terreno della fede, e Lo si può studiare su quello della storia, le due direzioni non si escludono, anzi si integrano. La supposta apertura alle idee opposte del metodo storico-critico, storicamente, ha portato all’evidenza dell’insufficienza di detto metodo, portandolo a contraddirsi pressochè ovunque. L’altro approccio, lungi dall’essere rivolto ai soli fedeli, il terzo capitolo del libro è addirittura una risposta al libro di un rabbino, consente anzi un dialogo fecondo con chi prenda sul serio la lettera evangelica, senza edulcorarla dal proprio intento salvifico e dalla sua contestualizzazione storica.
Ciao
12 giugno 2007 at 16:59
Solo non credo si renda il dovuto servigio alla ricerca umana, dicendo che il ricercato non
esiste, o esiste solo in via negativa (affermando per esempio la verità dell’assenza di verità).
Be’, sarei cieco se non riconoscessi l’esistenza della verità storica (almeno quella!). Forse urge fare un passo indietro, purtroppo mi spiego sempre dando per scontato qualcosa.
Un esempio che faccio sempre, eccolo. Hai letto “1984”? Ed in particolare il finale, in cui il protagonista si convince (non “con-vince”, come direbbe Claudio) che 2+2 fa cinque. In questo caso (letterario, ma validissimo come esempio) la verità esiste, è empirica e scientifica, ma al di fuori del soggetto. Per il soggetto 2+2 fa 5, non 4.
La conclusione è che, in realtà, essendo la verità sempre al di fuori di noi (né tu né io abbiamo vissuto con Gesù), essa non esiste.
Questo è il senso (cartesiano, se vogliamo).
Penso, invece, si contemperino le due istanze (la logica esistenza della verità, e la naturale proprensione umana alla ricerca) riconoscendo l’esistenza di una Verità infinita, Dio per chi scrive, a fronte di una ragione umana finita, la quale mai potrà completamente esaurire le pieghe del vero.
Ah, fantastico, se l’avessi letto prima mi sarei risparmiato la citazione e l’esempio 😛
Sono parecchio d’accordo, a parte l’idea di Dio e quella di Verità infinita (vedi su).
Per inciso, la filosofia è la mia disciplina
Bene, è anche quella di LadyMachbet: sono certo che instaurerete un bel dialogo 😛
Per conto mio, mi limito a segnalare il primo capitolo de “Le origini del romanzo borghese”, di Ian Watt.
Pilato non era solo il procuratore, ma anche il responsabile dell’ordine di quella regione, e il sinedrio giocò abilmente le proprie carte su quel tema, paventando l’agitazione della folla in caso di risoluzione negativa.
Bello, proprio la tesi che ho letto stamattina (cfr. “Inchiesta su Gesù”, Augias-Pesce).
Il prof. Pesce si chiede quanti possano essere effettivamente gli ebrei che chiesero la morte di Gesù: non certo “tutto il popolo”. Ma io punterei su un dubbio, più che su un’incongruenza di poca importanza come quella della folla sotto Pilato: e se l’immagine di un Pilato riluttante fosse stata inserita per ringraziarsi le autorità romane? Dopotutto il cristianesimo è “Chiesa di Roma”, doveva trovare un punto di incontro con i romani, una volta uscito dai confini natii (ammesso che Gesù volesse davvero far espandere in questo modo il suo messaggio).
Questo è un dubbio (e magari fosse l’unico), che rimane e non ha soluzione. Entriamo nel campo delle pure ipotesi (la tua e la mia).
Gesù scioglie il dubbio, proclamandosi sì re, ma non di questo mondo.
Vero, probabilmente anche nelle intenzioni. Ma mi sembra assurdo negare che alcune azioni di Gesù abbiano avuto anche significato politico. Magari non intenzionalmente pensate come politiche, ma che sfociavano inevitabilmente nella politica, a causa del sottile confine che la separava dalla religione.
E’ proprio il terreno filologico, quello degli incroci e delle comparazioni, che non rende accettabili quei documenti
No su, dagli incroci emergono punti di incontro e di divergenza… presenti però già tra i primi quattro vangeli, anche se in diverso numero e di diversa natura. Avendo punti di convergenza, c’è già la prova che contengono una loro dose di verità. E poi… Ehm, ma per fare gli incroci li prendi in considerazione, scusa 😀
Quindi se il Gesù storico corrispondesse a quello religioso non ci dovrebbe essere differenza tra i due metodi d’indagine e gli apocrifi dovrebbero essere considerati anche dal punto di vista religioso.
Dal protestantesimo in poi, attraverso il cavallo di Troia del libero esame, più o meno ognuno si è sagomato il Cristo che voleva
Questo è sempre successo, basta vedere le differenze tra le prime comunità cristiane e quelle ormai radicate del III secolo.
a questa deriva ha contribuito anche il già segnalato metodo storico-critico.. di demitologizzazione in demitologizzazione si è arrivati a dire tutto e il proprio contrario su Gesù.
Hai proprio centrato il punto: la demitologizzazione. Credo sia compito morale ed “essenziale” dell’Uomo, quello di distruggere miti. E in questo abbiamo avuto grandi filosofi, penso a Nietzsche, a Freud, a Schopenhauer e Marx, o alla stessa lettura filosofica di Leopardi e Montale (due poeti che NON è possibile analizzare sul semplice aspetto formale e storico, al quale si deve affiancare necessariamente quello filosofico). Purtroppo tutti questi personaggi hanno distrutto un mito per crearne un altro, si sono resi conto, più o meno inconsciamente, che l’Uomo non può sopravvivere senza una speranza di unità, un’immagine più o meno reale che risolva tutte le divisioni interne al mondo (ià, basta vedere che combina quel matto di Hegel, strutture triadiche una su l’altra… era MOLTO più folle di Nietzsche :P). Forse proprio Nietzsche è stato il filosofo che più si è avvicinato ad una distruzione totale, ma per metterla in atto ha bisogno di creare l’utopia dell’Oltreuomo come ricostruttore dell’ordine morale.
Per quanto mi riguarda, credo che la demitologizzazione serva proprio a mettere in luce i contrasti presenti nella realtà. Non ha senso distruggere miti (anche se io parlerei di “abbassarli”, non di distruggerli) se poi si ha paura della realtà nuda e cruda, è un controsenso.
La supposta apertura alle idee opposte del metodo storico-critico, storicamente, ha portato all’evidenza dell’insufficienza di detto metodo, portandolo a contraddirsi pressochè ovunque.
Ma questo è un problema di studiosi, non di studi. Sono gli studiosi a contraddirsi, i fatti storici rimangono lì e nessuno li tocca.
Faticaccia, ma credo ne sia valsa la pena :))
Ciao.
13 giugno 2007 at 17:24
Ringraziandoti per la faticaccia operata, so bene il tempo e l’energia richiesti per la compilazione di post come questi, procedo volentieri nel confronto.
Una risposta alla domanda sulla composizione etnica della folla accusatrice di Gesù la si può ricavare dal contesto storico in cui è collocata la vicenda. Siamo nella Gerusalemme di 2000 anni fa, durante la Parasceve della Pasqua, la più importante festa religiosa, quindi nazionale, del popolo ebraico. Da testimonianze anche extra-testamentarie è noto quale afflusso di ebrei si avesse in Gerusalemme a proposito di tale festività, così da essere più che verosimile la composizione giudaica della folla. Folla che viene detta diretta dalle proprie guide spirituali, sulle quali tecnicamente ricade la maggior responsabilità dell’accusa. Rimane il fatto che detta folla consegna Gesù ai romani dopo il processo regolarmente celebrato da Sinedrio, che era composto legalmente e pertanto era espressivo del popolo ebraico. Senza voler con questo sollevare revanscismi anti-giudaici, ma a Cesare quel che di Cesare e a Giuda quel che di Giuda…
E del resto nello stesso vangelo viene narrato che la folla, all’affermazione di Pilato secondo la quale loro e solo loro sono responsabili di sangue innocente, replica dicendo: “ il sangue di Lui sia sopra di noi e sopra i nostri figli”, assumendosi cioè la piena responsabilità giuridico morale dell’azione. Questo fa sì che quella fosse veramente vox populi, ancorché malguidata dai propri capi. Questo è tanto vero che 19 secoli dopo nel 1933 a Gerusalemme un tribunale ufficioso composto da 5 insigni israeliti ricelebrò il famoso processo, riconoscendo che tale sentenza andasse ritrattata: “perché l’innocenza dell’imputato era dimostrata, la sua condanna era stata uno dei più terribili errori che gli uomini abbiano commesso […]” (Cfr. relazione apparsa nella rivista parigina JErusalem, 1933, maggio-giugno p.464).
Quanto alla supposta captatio benevolentiae dell’ambiente romano, va detto che il protocristianesimo, pur trovando senz’altro miglior accoglienza tra i pagani che non tra gli ebrei, fu ben lungi per più di qualche secolo dall’essere latino. All’epoca della stesura dei vangeli, solo per fare un esempio, fu dal regno di Tiberio che venne proclamato il senatoconsulto dichiarante il cristianesimo superstitio illecita, istanza in forza della quale Nerone comincerà le prime persecuzioni. Un ambiente tutt’altro che amico, dunque, quello romano. Questo quanto al clima di Roma, quanto alla vicenda di Pilato, invece, il quadro si configura più che verosimile, se lo si osserva secondo la lente della storia. Un Procuratore con responsabilità governative in una delle più turbolente province, se non la peggiore da quel profilo, dell’impero, che cerca di mantenere la calma nel rispetto delle leggi e delle tradizioni romane. L’atteggiamento romano in materia di religioni all’estero è sempre stato improntato al maggior rispetto possibile. Fu proprio su quello che giocarono i sinedriti, impostando l’accusa dapprima sul piano politico, per poi farla slittare, una volta imbastito il processo, su quello religioso, ventilando i moti di piazza. Moti più che frequenti in quella regione, da sempre attraversata da ciclici tumulti di matrice “religiosa”.
Se t’interessasse su questi argomenti la bibliografia è oggi ormai abbastanza ampia, posso fornirtela.
E’ certo vero che le parole di Gesù possono avere, come a tutt’oggi hanno, ricadute politiche, ma quello fu proprio il punto approfondito da Pilato, e sul quale non trovò in Gesù alcuna colpa. Quello fu il punto, invece, inaccettabile per i suoi connazionali, Giuda compreso, i quali aspettavano e volevano un Messia politico.
Io non nego vi sia una certa sovrapponibilità tra gli apocrifi e i canonici, e del resto se così non fosse, neppure di direbbero vangeli, sostengo invece che la sostanza complessiva delle loro trattazioni è del tutto eterogenea rispetto al messaggio evangelico. In essi è assente, per lo più, la componente salvifica della, non a caso detta, buona novella. Quei testi possono, come per lo più sono, secondo la maggioranza degli studi in materia, un’operazione filosofica successiva, di conio squisitamente umano. Manca l’aspetto della trascendenza, quello appunto che qualifica i vangeli in quanto tali. Poi, ovviamente, per ognuno occorrerebbe fare un discorso a parte. Essi fanno parte, se vogliamo, della storia della ricezione, meglio a dirsi, fraintendimento, del cristianesimo. Certo quindi che vanno presi in considerazione, come vanno prese in considerazione le eresie, aiutano a ricostruire il quadro storico in cui operò il Cristianesimo delle origini, e a capire la portata del suo messaggio. Certo questo non vuol dire essi dicessero il vero sulla vita di Cristo.
La differenza tra le eresie dei primi secoli e il protestantesimo è che queste non si sognarono quasi mai di porre la coscienza, a parte alcune gnosi, come ultimo tribunale di verità…ma questo è un discorso complesso, e andrebbe articolato maggiormente.
La demitologizzazione ha avuto circa un secolo di attività, nel campo teologico, per rivelarsi inconsistente. Anche in campo filosofico oggi non gode più di buona salute. Il cuore del messaggio cristiano è proprio l’antitesi del mito. Gesù Cristo è una Persona, non un racconto. Tutto il testo evangelico insiste su questo punto, volerlo “demitologizzare” significa filologicamente volerlo pervertire usque medullas, e infatti lì si arrivò con quel procedimento. Quanto all’esigenza umana di avere un centro di unità, esigenza reale del resto, non è con i miti che la si appaga, ma con la verità, e il portato dell’ultimo secolo ci dovrebbe avere insegnato che le fantasie/utopie umane non possono vicariare il ruolo di quella, quando ci si prova, l’effetto sono milioni di morti… troppo umano in fondo. L’uomo, non è né uber né ipo, è capax Dei, da sempre, non ha in sé il proprio compimento, con buona pace degli gnostici.
Alla prossima
13 giugno 2007 at 19:28
sostengo invece che la sostanza complessiva delle loro trattazioni è del tutto eterogenea rispetto al messaggio evangelico
Be’, ma questo riguarda esclusivamente il credente.
Quei testi possono, come per lo più sono, secondo la maggioranza degli studi in materia, un’operazione filosofica successiva, di conio squisitamente umano.
Ok, se lo scopo era quello di metterli in cattiva luce, mi sento di avvisarti che l’effetto che stai ottenendo è quello opposto 😀
Il cuore del messaggio cristiano è proprio l’antitesi del mito. Gesù Cristo è una Persona, non un racconto.Gesù è una persona la cui vita ci è stata raccontata. la linea di confine è debolissima.
Quanto all’esigenza umana di avere un centro di unità, esigenza reale del resto, non è con i miti che la si appaga, ma con la verità, e il portato dell’ultimo secolo ci dovrebbe avere insegnato che le fantasie/utopie umane non possono vicariare il ruolo di quella, quando ci si prova, l’effetto sono milioni di morti… troppo umano in fondo.
Io non seguo la vostra verità, eppure non mi sembra di aver ucciso nessuno
Penso che siamo arrivati ad un puto di sbocco, in cui si delineano le differenze tra credente e non credente 🙂
Grazie per l’offerta della bibliografia, però non saprei come affrontare in prima persona uno studio del genere, non mi occupo di storia.
13 giugno 2007 at 20:56
Ringrazio tutti per i commenti interessanti, e chiedo scusa per non aver seguito il dibattito. Comunque noto con curiosità che il discorso nei commenti ha preso una direzione diversa da quella che mi sarei aspettato, perchè io non intendevo tanto focalizzarmi sul libro di Ratzinger (che non ho ancora letto) o sulla storicità dei vangeli, quanto sull’abilità che ha un certo giornalismo nel manipolare
– la figura di Martini in particolare
– la realtà in generale
Comunque, per rispondere a un’osservazione iniziale di stark (#4), io non cerco l’oggettività nella stampa: non esiste una roba del genere. Ogni giornale, ogni grande o piccolo potere editoriale, dall’impero di Murdoch al gazzettino scolastico,
a) ha un un punto di vista soggettivo su un argomento;
b) lo reputa coincidente con la realtà oggettiva (per favore, non ci dilunghiamo nell’ennesima immensa controversia ontologica…*);
c) cerca di convincere i lettori/spettatori/etc. che il suo punto di vista è esatto.
Questo procedimento in astratto è legittimo, in concreto bisogna vedere (oltre che la questione ulteriore se quel punto di vista sia veramente esatto) quali mezzi usa il giornale per convincere i lettori. Io posso anche difendere una tesi giusta, ma se lo faccio con mezzi sbagliati sono comunque dalla parte del torto.
Nel nostro caso l’articolo dell’Espresso è sbagliato perchè, a prescindere dalla questione se Gesù è davvero risorto o se il metodo storico-critico funziona, semplicemente l’articolo bara. E’ sleale. Fa delle citazioni taglia-e-cuci dal discorso di Martini, funzionali alla tesi dell’Espresso, omettendo completamente quei passi dove invece M. parla bene di R. Questo non è neanche convincere, questo è imbrogliare. Diverso sarebbe stato se l’articolo avesse citato anche quei passi, e poi avesse detto “nonostante queste belle parole, il succo del discorso è che Martini attacca il libro di Ratzinger”. Questa sarebbe stata una tesi interpretativa, sbagliata a mio avviso nel merito, ma corretta nel suo modo di porsi all’uditorio.
Invece all’Espresso la correttezza se la sono messa sotto i piedi: anzi, parlando di carta, diciamo che ci si sono puliti il culo.
* a proposito, è morto Richard Rorty.
13 giugno 2007 at 21:23
Be’, sì, inizialmente ho impostato io il discorso in questi termini, perché, ripeto, a me delle persone importa poco. Che sia Martini o Ratzinger, li reputo tutti su uno stesso livello e non sarà certo un articolo di giornale a farmi cambiare idea. Ho sempre detto, e lo ripeto, che io guardo alla stampa come uno stimolatore di riflessioni, non come un calderone di opinioni dal quale prendere quella che più ci piace.
13 giugno 2007 at 23:05
Eh già, siamo un po’ usciti dal seminato, ma sempre ad maiorem Dei gloriam 😉
Stark, l’eterogeneità degli apocrifi rispetto ai canonici è rilevabile da strumenti meramente filologici, non occorre lo sguardo della fede per vederla. E del resto è operazione squisitamente intellettuale quella del vaglio delle fonti.
Chiaramente lo scopo non era nè è quello di dissuaderti dalla lettura di quelli, anzi, quanto piuttosto quello di suggerire la loro collocazione storica e dunque il loro valore. Sono senz’altro documenti utilissimi alla ricostruzione della temperie storico-culturale delle epoche nelle quali sono stati scritti, solo non sono affidabili come biografie di Gesù.
Quanto al rapporto Gesù/mito non mi pare così debole la linea di demarcazione tra una persona di cui si scrive, e lo scritto stesso… a meno di dire che il mezzo è il m(a)ssaggio, sulla scorta di McLuhan, poi però torna in mente Flaiano che ci avverte di stare attenti e non leggere il postino…
Battute a parte, qui lo sguardo della fede potrebbe spendere più argomenti, suggerendo la presenza reale di Cristo nella storia, tutta la storia, ma non volendo/potendo utilizzare questo strumento, si può sempre replicare che, restando alla lettera evangelica, tutta la struttura dei testi non ha la fisionomia del racconto mitologico, tutt’al più si trova quella del reportage, volendo confrontare gli stili. Ben strana un’operazione di mitopoiesi che ignorasse i ben noti canoni della stessa.
Lungi da me l’intenzione di volerti addebitare i malanni del secolo scorso, volevo indicare lo sbocco storico delle gnosi moderne, i tentativi di deificare l’uomo nelle proprie attività o espressioni, assolutizzando ora la razza, ora la classe, oggi il capitale.. portano tutti inesorabilmente ad un unico sbocco.
Lieto di averti avuto come interlocutore ti auguro ogni bene. In bocca al lupo per il tuo cammino accademico!
Mi scusi il proprietario del blog per il torrenziale off-topic, il tema era parimenti interessante, e, purtroppo, moneta corrente. Il giornalismo d’oggi, molto più che in passato, ha il valore del rotolo di cui si scrisse.
Saluti
14 giugno 2007 at 16:16
#4
#25
Che l’oggettività della stampa sia un’utopia, non lo scopriamo certamente oggi
Che poi, dato per scontato che essa non può esistere, vi siano comunque testate più sleali di altre, dalla faziosità molto più marcata, o per meglio dire dalla smaccata disonestà, anche questo credo sia nè più nè meno che la scoperta dell’acqua calda.
Che l’Espresso appartenga, non certo da oggi, a questo secondo, folto novero, dovrebbe essere cosa risaputa, e quindi non scandalizzare o sorprendere più di tanto. Chi nasce quadrato non muore tondo, recita un vecchio adagio genovese.
Mi hai però offerto un ottimo spunto per un post: l’ennesimo episodio che dimostra una cosa che sospetto da tempo: lo sfascio della scuola italiana non è casuale, nè figlio dei tempi, almeno non solo. E’ voluto, da almeno un trentennio a questa parte, da chi ha perfettamente compreso che l’ignoranza, e l’ignoranza sola, permette di controllare, pilotare, gestire le cosiddette “masse”.
A confutare le teorie sballate e tendenziose dell’Espresso, in questa situazione specifica, basterebbe leggere attentamente l’articolo di Martini. Senza entrare in merito di questioni puramente teologiche, che come precisa giustamente Claudio non sono oggetto specifico del post, mi domando se tra tanti che avranno sogghignato di soddisfazione leggendo l’articolo dell’Espresso, quanti siano coloro che si saranno presi la briga di verificare, non fosse altro che per formarsi un’opinione autonoma e per non limitarsi a ingurgitare bovinamente l’ennesimo, predigerito boccone altrui.
16 giugno 2007 at 17:34
mi domando se tra tanti che avranno sogghignato di soddisfazione leggendo l’articolo dell’Espresso, quanti siano coloro che si saranno presi la briga di verificare, non fosse altro che per formarsi un’opinione autonoma e per non limitarsi a ingurgitare bovinamente l’ennesimo, predigerito boccone altrui
Grazie, questo mi fa venire in mente un argomento per un altro post (per non so quando, tempus fugit).
26 giugno 2007 at 22:13
Io il volumetto l’ho bello e comprato per la mamy e a fine lettura sua inizierà la mia, ma anche senza leggerlo dagli appigli delle critiche se ne dovrebbe dedurre che vale per molto di più e di meglio..
Non so perchè, ma mi viene in mente quel “Voi che filtrate i moscerini e ingoiate i cammelli..”
Di chi era? Ah, uno che tentano di far fuori da 2000 anni..già ..già.. 😉
Ce la farà anche contro Augias e l’Espresso.. 😉
27 giugno 2007 at 06:02
“Voi che filtrate i moscerini e ingoiate i cammelli..”
E qui non c’è proprio errore di traduzione che tenga, pare Zarathustra *___*
uno che tentano di far fuori da 2000 anni
“Jesus Christ Superstar,
Do you think you’re what they say you are?” ^_^