Il centro del cerchio

Il centro del cerchio

 

 

 

 

 

 

1. Il disegno (inizio)

 

Il disegno, quella fu la prima cosa che S. notò. L’ultima volta che era stato in quella stanza non c’era, e se ci fosse stato sarebbe risultato difficile non notarlo: si estendeva per uno spazio considerevole, almeno un metro di larghezza per un metro e mezzo circa d’altezza, sul muro bianco della stanza da letto di C.

Il quale, al vedere l’espressione sorpresa e sconcertata del suo amico, lo accolse con una domanda e un sorriso stanco sovrastato da due occhiaie profonde.

“E allora, che te ne pare?”

S. restò a guardare la figura per qualche secondo, poi domandò perplesso:

“Ehm. Congratulazioni. Quando sei entrato nella loggia? Si regalano confetti e compassi in questi casi?”

C. non si era aspettato precisamente quella reazione. “Cosa?”

“Cosa è quel che ti domando io. Cos’è questo, un occhio su un triangolo? Sei diventato massone? Ok, amici come sempre e tutto il resto, però è mio dovere farti notare che…”

“Ma no”, disse C. scuotendo la testa e sbuffando, “Come ti è venuta quest’idea? Passi che mi scambi il cerchio per un occhio, però pensavo fosse chiaro che quello non è un triangolo ma un cono. Non sono un grande disegnatore, ma ho fatto del mio meglio per rendere la prospettiva… Pensavo fosse chiaro.”

S. si avvicinò e guardò da vicino l’immagine sul muro. “Ah. Sì, ora vedo meglio. Capisco. Ma spero che ci sia un valido motivo per cui tu hai sentito il bisogno di disegnare (con esito incerto) un cerchio e un cono sul muro della tua stanza da letto, e poi di prima mattina mi hai ordinato di venire in fretta a casa tua a vederli.”

“Altrochè se c’è un valido motivo”, rispose C. soffocando uno sbadiglio, “li ho sognati. Sono stato tutta la notte in piedi a disegnarli. Vieni, andiamo a fare colazione.”

2. Il sogno

 

Quella mattina S., poco dopo essersi svegliato, aveva trovato sul suo telefonino un messaggio dell’amico del seguente tenore:

Buongiorno. Vieni subito a casa mia, devo farti vedere una cosa. Non perdere tempo. Puoi fare colazione da me. Sbrigati. C.

Il messaggio risultava essere stato inviato alle ore 04.42. C. era notoriamente mattiniero, ma di solito non fino a quel punto. La cosa era fuori dall’ordinario, quanto bastava per incuriosire S.; il quale ora, davanti a una tazza di latte e cornflakes gentilmente offerta dal suo ospite (che invece si stava facendo un abbondante caffé), lo incalzava di domande a proposito dello strano disegno.

“Che cosa significa, allora?”

“Aspetta, non te lo spiego subito. Voglio prima descriverti” e qui C. si era fatto serio, assumendo un’aria assorta e quasi solenne “il contenuto del mio sogno”.

S. si mise comodo sulla sedia, e poichè conosceva l’indole verbosa dell’amico prevedeva che non se la sarebbe cavata in un paio di minuti. Probabilmente avrebbe dovuto dire addio alla mattinata di studio che aveva programmato, ma sperava che ne valesse la pena. Dopotutto la cosa cominciava a farsi interessante.

“Ho sognato” cominciò C. “innanzitutto il cerchio. Era buio, e poi è comparso il cerchio. Anzi no… il cerchio c’era sempre stato, solo che prima non riuscivo a vederlo. Anzi no… non c’era un prima, perché il sogno è cominciato con il cerchio…”

“Sei sicuro di sapere cosa hai sognato?”

“Sì… sì, lo so cosa ho sognato! Ma è difficile trovare le parole per spiegarlo. Prima c’era il cerchio, poi è cominciato il sogno. Il cerchio c’era già.”

“Scusa? Come fai a dire che nel tuo sogno c’era un cerchio prima del sogno? Un sogno prima del sogno? Un sogno pre-onirico? Che cosa, esattamente, stai cercando di dire?”

“Sto cercando di dire che… il cerchio c’era già. Ecco.”

“Va bene” si arrese S. alzando le mani, “lasciamo perdere. Il cerchio c’era già, prima che tu cominciassi a sognarlo. Non capisco dove potesse essere, ma mi va bene così. Continua. Che cos’è successo?”

“C’era solo il cerchio, nient’altro, solo il cerchio luminoso. Risplendeva nel buio del mio sogno e quasi mi accecava…”

“Perché? Tu dov’eri?”

“Io non c’ero, non fisicamente.”

“Beh, ci credo. È un sogno.”

“No. Intendo dire che io non ero nel sogno, se non in termini di pura coscienza, soggetto osservatore. Guardavo e basta. Capisci?”

“No.”

“Peggio per te. Ascolta e non interrompermi più. Descrivere è già difficile così, senza le tue domande. Allora, il cerchio era luminoso. A un certo punto mi sono reso conto che quella luce non era tutta uguale. La natura della luce era la stessa, l’intensità era la stessa, il colore era lo stesso… eppure…” a questo punto C. fece ruotare l’indice della mano sinistra nell’aria “la circonferenza mi appariva in qualche modo diversa. Riuscivo a distinguerla rispetto all’area interna del cerchio, anche se non so dire come.”

“Sei bravissimo a descrivere, sul serio. Meglio di come disegni.”

C. non fece caso al commento sarcastico, tutto concentrato nello sforzo di rievocare quello che aveva visto. “La circonferenza di quel cerchio luminoso era…” si interruppe, cercando le parole adatte, e infine disse “era un abbraccio”, muovendo le braccia di conseguenza.

“Ah?”

“Sì. Un abbraccio, ti dico. Era una promessa d’affetto e di protezione. Era qualcosa che amava. Fuori da quella linea circolare non c’era niente, solo buio e freddo e silenzio. Ma al suo interno, c’era…” C. allargò le braccia, guardandosi intorno, “c’era tutto ciò che di buono può esistere nell’universo.”

S. fischiò impressionato. “Tutto contenuto in quel cerchio?”

“Sì. E a quel punto mi accorsi che all’interno, in risposta alla luce della circonferenza, il centro del cerchio brillava a sua volta. La luce proveniva dalla circonferenza, e il centro la rifletteva rimandandola a sua volta verso la circonferenza. E questa luce era amore. Quel punto era amato. Era come…”

“Sembra un embrione”, disse S., cercando di sopperire alla deficiente capacità descrittiva dell’amico. E poi, di fronte al suo sconcerto: “Mi sembra che stai descrivendo un embrione nell’utero materno. Un piccolo agglomerato cellulare quasi puntiforme, appena generato, che…”

La reazione di C. fu entusiastica.

“Già! È vero. Non ci avevo pensato. Un embrione nell’utero materno. Sì. Sì, direi che si attaglia abbastanza. Più di quanto tu adesso possa pensare, e dopo ti dirò il perché.”

“Oh, ma allora vuoi proprio tenermi sulle spine.”

“Dunque”, proseguì C., “una circonferenza e un punto centrale. La luce partiva dall’esterno e raggiungeva il centro. Ogni raggio del cerchio era un raggio di luce. E il centro li rifletteva tutti, capisci? Faceva propria questa luce e la riverberava all’esterno verso la circonferenza stessa. E lo spazio tra queste due fonti di luce, l’area del cerchio, era luce pura.  Una luce che, in un qualche modo che non riuscivo a capire, vibrava…”

“Ma non c’era uno spazio privo di luce?”

“No.”

“Allora, scusa, non capisco. Come facevi a distinguere il centro, l’area e la circonferenza?”

“Te l’ho già detto: non lo so. Nel mio disegno sul muro, se ci fai caso, ho usato tre diverse gradazioni di giallo. Per forza. Però nel mio sogno la luce era unica. D’altra parte, in ogni cerchio che tu possa concepire con la tua immaginazione, sono sempre presenti la circonferenza e il centro e l’area, no? Anche se l’occhio non se ne accorge per l’uniformità di colore, la loro distinzione è comunque una necessità geometrica. Ecco, io nel mio sogno riuscivo a percepire in qualche modo questa differenza nell’uguaglianza, per la ben nota capacità dei sogni di oltrepassare i limiti che impone la realtà.”

“D’accordo, basta. Ti credo. Il tuo sogno inizia con il cerchio. E poi?”

“Allora. Ti ho detto che all’inizio il cerchio era l’unica cosa che vedevo, il resto era solo un buio vuoto e silenzioso. Ma poi all’improvviso il cerchio emanò un fascio di luce. Quell’energia, che prima restava limitata a quella specie di moto convettivo circonferenza-centro-circonferenza, si catalizzò nel centro del cerchio e infine da lì proruppe all’esterno. Fu come un fanale che nella notte più buia d’improvviso illuminasse a giorno ogni cosa. Ma in realtà non si trattava solo di questo, perché quella luce non illuminava, bensì creava.”

A questo punto S. aggrottò le sopracciglia.

“Un momento… forse ho capito quello che vuoi dire. Stai dicendo che la luce era…”

“Aspetta. Fammi finire di descrivere quello che ho visto, e poi possiamo rifletterci su. Bene, c’era stato questo incommensurabile sbalzo energetico, giusto? Ora c’era qualcos’altro oltre al cerchio nel mio sogno. Fuori da esso, ovvero in basso (perché dal mio punto di osservazione il centro era all’apice), c’era questa figura informe dai contorni ondeggianti e indefiniti. Sembrava stesse cercando di stabilire la sua forma. E poi successe qualcosa. Qualcosa di brutto, forse un incidente… perché cominciò a squagliarsi, sgocciolare, a colare in basso.”

“Dalla faccia che fai, non sembra certo una cosa graziosa e carina.”

“Infatti no, era disgustoso. Una volta in un film dell’orrore ho visto un uomo che si scioglieva, e questo era cento volte peggio. Osservarlo mi dava la nausea. Era una massa informe che si afflosciava su sé stessa, una specie di blob. Gocce puntiformi di quella cosa si staccavano e cadevano verso il basso, verso il buio, come se ci fosse una spaventosa forza di gravità. E mi parve addirittura che alcuni di quei punti cadessero con voluttà, con un moto proprio che si aggiungeva all’attrazione dell’abisso e rendeva ancor più veloce la caduta. In realtà mi fu presto chiaro che quella cosa non era un tutto unico e indiviso, perché se una parte tendeva a una direzione, c’era pure una parte che tendeva alla direzione opposta. C’erano anche dei fili che crescevano e andavano verso l’alto, quasi come tentacoli, come alberi che hanno bisogno del sole, come la braccia di un uomo che sta annegando e chiede aiuto. Cercavano di aggrapparsi al cerchio, ma non ci riuscivano. Alcuni arrivavano a una certa altezza, e riuscivano anche a riflettere un po’ di quella luce, ma poi alla fine seccavano e restavano come pietrificati. Oppure, peggio, si rattrappivano e ricadevano in basso. Il più grosso e robusto era proprio al centro, ed era quello a cui avrei dato più speranze. Sembrava una specie di piattaforma rialzata, un altopiano, un giardino pensile… ma a un certo punto anche quello smise di crescere.”

“E poi?”

“E poi non so come sarebbe finita, forse tutto sarebbe sprofondato nell’oscurità, se a un certo punto non fosse successa una cosa straordinaria: fu il centro stesso del cerchio a scendere. Ancora una volta, non so spiegarlo bene: c’era già stata un’emanazione sfolgorante di luce, quando il cerchio aveva creato quell’agglomerato, ma ora fu una cosa… settoriale, specifica. Ci fu questo singolo e intensissimo raggio di luce che calò, in perpendicolare, proprio verso la materia che era lì sotto. Arrivò proprio al centro della cosa, su quell’altopiano che ti avevo detto prima, e ci si piantò dentro come un seme.”

“Il seme che porta molto frutto.”

“Altrochè.” Per sottolineare meglio il concetto, C. si piantò l’indice della mano sinistra nel palmo della mano destra. “Il punto rimase per un po’ di tempo all’interno di quella materia, nascondendo la sua luminescenza, e per un po’ sembrò non fosse cambiato nulla. Ma poi cominciò a brillare. Sempre più intensamente. Ora c’era un filo diretto di luce pura che univa il cerchio in alto e quel punto in basso. E a questo punto…” e qui, tanto per essere più chiaro, C. chiuse ad artiglio la mano destra sull’indice della mano sinistra, “quella materia cercò di oscurare quella luce che le rifulgeva dall’interno, addensandosi su quel punto, per schiacciarlo. Come se si volesse coprire una lucerna con un velo, un muro, una montagna. Quella specie di blob molle e cadente si ribellava a tutta quella luce. E d’un tratto sembrò che ci fosse davvero riuscito, perché il punto all’improvviso smise di brillare. Completamente spento. Off.”

“Ma questa, naturalmente, non fu la fine.”

“Naturalmente no”, disse C. aprendo di colpo entrambe le mani. “Nient’affatto. D’improvviso quel punto si riaccese, più luminoso che mai, e risalì al centro del cerchio da cui si era calato; e nella sua ascesa portò con sé quella materia che ormai si era inestricabilmente unita a lui, agganciata come un pesce all’amo del pescatore. E così avvenne una trasformazione radicale per quella figura senza forma, che diventava sempre meno informe man mano che il punto luminoso saliva e la tirava in alto, e alla fine assunse l’aspetto che ho disegnato sul muro: un cono, un cono perfetto.”

Ormai C. e S. avevano finito di fare colazione, ed erano tornati nella stanza da letto di C. Il quale andò verso il disegno sulla parete e puntò il dito proprio su quel punto, che era assieme l’apice del cono ed il centro del cerchio, intersezione di entrambe le figure. E poi riprese a parlare:

“Ma non era ancora finita. Dopo questa trasformazione, altri raggi luminosi discesero dal cerchio verso il cono. Ricordi che ti avevo detto come l’area del cerchio sembrasse in qualche modo vibrare? Ora quella vibrazione si era fatta più intensa. Sembrava pulsare e palpitare. E infine tutta quella luce, quell’energia che procedeva dalla circonferenza al centro e viceversa, si riversò in basso. Dapprima solo nella zona del cono più alta, quella più vicina al centro; successivamente quell’irradiazione si estese sempre di più, e infine arrivò anche alle estremità laterali del cono, alla sua circonferenza di base. Man mano che si allontanava dal centro, e perciò correlativamente aumentava la distanza tra il cerchio e il cono, la luminosità di quel flusso discendente si affievoliva; eppure non svaniva mai del tutto. Ho cercato di rendere questa gradazione con quei cerchi concentrici che vedi… quella colonna interna, quella rappresenta un “salto discreto” d’intensità luminosa… beh, dopo ne parliamo. Alla fine, il cono era completamente illuminato. Ogni punto dell’area interna del cerchio generava una proiezione perpendicolare sul cono, e in ogni proiezione era un segmento in cui si muoveva un punto: la distanza tra questi due punti era direttamente proporzionale alla distanza di ciascuno dal centro dall’asse centrale, e inversamente proporzionale alla luminosità di questa proiezione…”

“Adesso stai diventando troppo complicato.”

“Scusa. Tra poco passo a spiegare tutto. Ma prima lasciami dire che il cono, così trasformato, era pervaso da continui movimenti. I punti al suo interno… e di nuovo, non chiedermi come facevo a vedere i punti dentro una figura solida, li vedevo e basta… quei punti si muovevano continuamente. Alcuni continuavano a cadere verso il basso, verso quell’ombra spaventosa sotto il cono; ora però c’erano altri punti che si muovevano verso l’alto, risalendo in quei raggi di luce che univano il cono al cerchio, per poi arrivare infine all’interno del cerchio stesso. L’area del cerchio cominciò a essere abitata da questi punti, dapprima rari poi sempre più numerosi, come le stelle nel firmamento… salvo che in questo caso, ripeto, le stelle erano dello stesso colore del firmamento, stessa luce, stessa intensità.” 

“E questo è quello che hai disegnato”, concluse S. avvicinandosi all’affresco sul muro: seguì col dito le spesse linee gialle che salivano, le linee tratteggiate interne al cono, le linee punteggiate che scendevano. “E poi?”

“E poi niente. Sono rimasto a guardare, non saprei dire per quanto tempo… ed essendo un sogno, il quando della mia visione onirica è del tutto indeterminabile e direi anche irrilevante… finché mi sono svegliato. Neanche me n’ero accorto all’inizio, avevo ancora davanti agli occhi questa figura. Poi ho realizzato che ero nel mio letto. Mi sono alzato e ho guardato l’orologio: erano le 1:08 di notte. Ho provato a riaddormentarmi, mi sarebbe piaciuto sognare ancora quella figura, ma non ci sono riuscito. Ormai ero sveglio e il mio cervello era entrato in stato di febbricitante attività, perchè cominciavo a riflettere su quello che avevo visto e ne valutavo tutti i significati metaforico-geometrici. Poi ho avuto paura di dimenticare i dettagli della mia visione e ho sentito il bisogno fisico di fissarla da qualche parte. Ho preso carta e matita, ho tracciato qualche linea, poi mi sono lasciato trascinare dall’entusiasmo e ho disegnato tutto quanto sul muro. Ho finito che erano passate le quattro e mezza del mattino. A quel punto ti ho mandato un messaggio, perchè avevo bisogno di parlarne con qualcuno.”

“Onoratissimo”, disse S., e per un po’ nessuno dei due disse una parola. Rimasero in silenzio a guardare quell’insieme di punti e linee. Alla fine, C. prese la parola.

“Tu ormai hai capito che cosa significa, vero?”

 

3. Il significato

“Direi che tutto sommato non è poi così oscuro come sembrava all’inizio”, disse S., “perlomeno nell’insieme generale, anche se alcune cose ancora mi sfuggono. Innanzitutto, è ovviamente palese che il cerchio rappresenta Dio.”

“Ovviamente”, annuì C.

“Per la precisione, i tre elementi geometrici che hai individuato corrispondono alle tre ipostasi trinitarie: circonferenza = Padre, centro = Figlio, area = Spirito Santo.”

“Esatto.”

“Il cerchio è uno, naturalmente, assolutamente unico; non ce ne sono altri. Ma la sua unità non è contraddetta da un’articolazione interna in tre elementi che sono geometricamente necessari affinché si abbia un vero e proprio cerchio: impossibile concepire un circolo senza circonferenza, o senza centro, o senza l’area (in quest’ultimo caso il cerchio si ridurrebbe in realtà a un singolo punto). E d’altra parte ognuno di essi è tale proprio e soltanto nella sua relazione di opposizione agli altri: perchè la circonferenza è circonferenza in quanto c’è qualcosa che essa circonda, e il centro è tale perchè è il punto equidistante da ogni punto della circonferenza, e l’area è determinata dall’essere lo spazio circondato dalla circonferenza al cui interno è sempre possibile individuare un centro. Perciò, per tutti questi motivi, il cerchio rappresenta geometricamente la perfetta Unità e Trinità divina.”

“Perfetto. Beccati questa, Ario.”

“Inoltre, e qui cito a memoria dal libro di Sant’Agostino sull’argomento, la Trinità esiste perchè esiste l’amore. Dio è amore, l’amore come principio fondante e costitutivo dell’Essere, e in quanto tale è necessariamente uno e trino: poiché l’amore esiste solo e proprio in quanto esistono 1) un soggetto amante 2) un soggetto amato (nonché, se l’amore è reciproco dunque perfetto e perfetto in quanto reciproco, ri-amante) 3) l’amore che procede da entrambi e congiunge entrambi. Perciò le persone divine sono necessariamente tre, non una di meno e non una di più: il Padre come amante, il Figlio come amato, lo Spirito come amare. Mancasse uno solo di questi tre elementi, non ci sarebbe amore – amore che peraltro, osserviamo, è comunque unico nella sua essenza, proprio come il cerchio da te descritto.”

“Ottimo. Agostino redivivo.”

“Adesso non esageriamo. Io ho avuto una vita meno movimentata della sua, specie a proposito di donne. Piuttosto, ci sono un paio di cose del tuo disegno che mi rendono perplesso.”

“Sentiamo.”

“Innanzitutto: prima, quando mi parlavi del centro del cerchio, ho notato en passant che la tua descrizione pareva quasi quella di un embrione in utero. Sei diventato entusiasta – ci credo, visto che stavi parlando proprio del Figlio. La metafora geometrica calza sempre di più… salvo che per un particolare.”

“Ohibò. E quale?”

“Che questo Padre, in effetti… descritto così, sembra più una Madre.”

C. restò a riflettere qualche momento, guardando le linee sul muro, e poi rispose a colpo sicuro.

“Non ci vedo nulla di particolarmente sconvolgente. Non dimenticare che quando noi parliamo della prima persona della trinità, chiamandola Padre, non intendiamo in alcun modo connotarla sessualmente. La chiamiamo così per esprimere il suo amore di genitore, di sorgente creativa, di fonte di vita… per tanti motivi, ma sicuramente non perchè sia più padre che madre. Dio-Padre non è né maschio né donna, ovvero volendo si può anche dire che comprende al tempo stesso la paternità e la maternità, proprio perchè in realtà non ha molto senso applicare le umane categorie sessuali a qualcosa che trascende completamente l’umano. Quando Papa Giovanni Paolo I disse che Dio è anche Madre, un sacco di gente si scandalizzò e si sorprese… senza alcun motivo.”

“Già, è vero. Ma allora pensi che potremmo anche far entrare nell’uso comune espressioni come Dio-Madre? Gli anglicani hanno deciso di cambiare le parole al Padre Nostro…”

“Beh, no. Questa mi pare una mossa controproducente, per due motivi. Uno, perchè ormai c’è una tradizione linguistica bimillenaria che non è saggio cambiare per motivi di poco conto: per duemila anni le persone con sale in zucca hanno sempre saputo che Dio-Padre non è più padre che madre, e continuerebbero a saperlo anche se il Padre Nostro restasse intatto e introdotto per i prossimi duemila anni. Due, perchè così si rischia di fare confusione con la nuova ondata gnostica… new age e paccottiglia varia… che quando parla di Grande Madre e affini vuole davvero, essa sì, intendere in qualche modo una connotazione sessuale della divinità. Come se non avessimo già abbastanza problemi di confusione oggigiorno.”

“D’accordo”, disse S. alzando le mani, “ma ho una seconda osservazione da fare. Se Dio è infinito, com’è che il tuo cerchio è finito? Ha un raggio di una certa misura, mettiamo x; un diametro che è 2x; una superficie di ampiezza x2p… l’area del cerchio dovrebbe essere infinita, perché rappresenta lo Spirito che è l’amore (in quanto actus amandi) di Dio stesso. Non puoi limitare l’amore divino.”

Stavolta C. pensò più a lungo prima di rispondere.

“Hai ragione”, ammise alla fine, “in questo la mia metafora geometrica è carente. Mica potevo pretendere di disegnare veramente Dio, dopotutto. Però il cerchio non può essere comunque infinito.”

“E perché no?”

“Perché un cerchio infinito non ha limite, non ha circonferenza; e nel mio disegno la circonferenza è necessaria perché rappresenta Dio-Padre. D’altra parte, se non c’è limite, non c’è neanche il punto equidistante da ogni limite che è il centro: in un cerchio infinito il centro è qualsiasi punto, ovvero è del tutto indeterminato. E se non c’è il centro non c’è Dio-Figlio, non c’è Cristo, non c’è il punto preciso verso cui tende tutta l’umanità: l’apice del cono, che è anche centro del cerchio. Mi sembra che fosse Giordano Bruno a descrivere Dio come ‘una sfera infinita il cui limite è inaccessibile e il cui centro è in ogni luogo’ – e infatti la metafora andava bene per la sua visione della divinità, confusa e panteista, non certo per la mia. Perciò il cerchio del mio disegno ha necessariamente, e non potrebbe non avere, un limite.”

“Va bene”, disse S. “Siamo arrivati a parlare di Cristo, e questo ci porta alla seconda metà del tuo disegno: come il cerchio rappresenta Dio, così il cono rappresenta l’umanità”.

“Facile.”

“Insomma… è chiaro che la dinamica che hai visto nel tuo sogno, dalla creazione della massa informe fino alla sua trasformazione (come una seconda creazione) in una precisa figura geometrica, rappresenta la storia dell’umanità fino all’Incarnazione. Da questo momento il centro del cerchio è anche il vertice del cono: la doppia appartenenza all’una e all’altra figura di questo punto, in sé comunque unico, esprime la duplice natura dell’unica persona di Cristo che è vero Dio e vero Uomo. D’ora in poi Cristo è davvero il vertice dell’umanità, colui che sale in alto e attira a sé tutte le genti, il Capo di quel Corpo di cui parla San Paolo. Questo, almeno, mi è chiaro. Ma da qui in poi devi continuare tu. Io capisco che le linee gialle che scendono dall’area del cerchio rappresentano l’azione dello Spirito Santo; e capisco benissimo cosa significano quelle linee nere che scendono dal cono verso quella orribile macchia scura in basso, quella specie di Abisso; ma cosa significhino quelle linee interne al cono che hai tracciato, quei cerchi concentrici, proprio non lo so. Adesso tocca a te parlare.”

“D’accordo.” C. si avvicinò al muro, seguendo con l’indice le linee che aveva disegnato nella sua notte insonne. “Il cono rappresenta l’umanità, l’insieme di tutti gli uomini; il vertice del cono è Cristo; questi segmenti punteggiati verticali che vedi – io ne ho disegnati alcuni, come esempi, ma tu tieni presente che l’intero cono è composto da essi – rappresentano la tensione etica di ogni essere umano verso Dio.”

“La tensione? Che vuoi dire? Ogni segmento è una persona?”

“Non esattamente: ogni persona è un punto x che si trova all’interno del segmento X. La posizione del punto, il suo essere più in alto o più in basso, rappresenta quanto quella persona è vicina a Dio e quanto ne è lontana. La lunghezza del segmento rappresenta… come dire… la grazia ‘a disposizione’ di qualcuno: quanto quella persona ha la possibilità di avvicinarsi a Dio. Se il punto è all’apice del suo segmento, quella persona è nel suo relativo stato di grazia, senza colpe e al massimo di dove può arrivare in relazione alla attuale situazione; il peccato ci fa scendere, il pentimento ci fa risalire…”

“Aspetta. Voglio capire meglio cosa intendi per attuale situazione. Mi sembra di capire che non tutti gli stati di grazia sono uguali… infatti, poiché stiamo parlando di un cono, l’altezza del limite superiore diminuisce man mano che ci spostiamo dal centro verso l’esterno.”

“Esatto. Vedi, il cono comprende tutta l’umanità, tutte le persone: e perciò anche tutte le religioni, tutte le confessioni, tutte le filosofie e le ideologie – tutte le dottrine, insomma, usando questa parola nel senso più ampio del termine, rappresentate da quei cerchi concentrici orizzontali che si trovano nel cono. Più ci si avvicina all’asse centrale del cono, più cresce la possibilità di salire verso il cerchio.”

“E chi c’è nell’asse centrale?”

“C’è il Papa, naturalmente.”

“Il Papa?”

“Certo: il Vicario di Cristo, il Cristo in terra, il capo visibile della Chiesa. Quella del Papa è una grazia di stato assolutamente speciale, dato il suo ruolo di rappresentante in terra di Cristo; perciò nel mio disegno il successore di Pietro è proprio nell’asse centrale, quello che fa capo a Cristo stesso.”

“Perciò dici che il Papa è l’essere umano più vicino a Dio?”

“No. Un momento,” disse C. alzando le mani e scuotendo la testa, “adesso non scadiamo nell’idolatria di cui ci accusa qualcuno. La cosa non è così immediata. Può esserlo, ma non è detto che lo sia. Ho detto che ogni essere umano è un punto che si muove in alto o in basso sul suo asse: la sua posizione potenziale dipende dalla grazia divina che Dio gli dona, ma la sua posizione effettiva dipende dalla sua libertà. Un Papa è un essere umano, peccatore pure lui. Se è, come dire, al suo massimo, allora può essere… come dire… praticamente ‘sotto’ Cristo. Ma questo dipende sempre da lui, dal suo libero arbitrio.”

S. si avvicinò al muro e indicò con il dito: “questi segmenti spezzettati, che dal fondo del cono scendono verso l’abisso, suppongo siano la dannazione delle anime. Ne hai disegnato uno proprio al centro del cono…”

“Sì. Pur senza farci ingannare dalle colossali balle fabbricate dalla propaganda anticristiana, a una serena e obiettiva osservazione storica della Chiesa appare chiaro che non tutto è leggenda nera. Pontefici non all’altezza del ruolo – espressione in caso assolutamente appropriata – ce ne sono stati. Dio non toglie a nessuno la libertà di dannarsi, nemmeno al suo più alto rappresentante in terra.”

“Insomma, a una maggiore estensione del segmento non corrisponde necessariamente una maggiore altezza del punto, cioè una maggiore vicinanza a Dio…”

“Proprio così: essere all’interno del cono ti garantisce la possibilità di salire di più, ma non è detto che tu effettivamente la userai, mentre magari all’esterno del cono c’è chi è più in alto di te anche se il suo segmento è meno esteso. Prendiamo il caso di un segmento X che si trova nella Chiesa, di lunghezza… uso unità di misura del tutto immaginarie, ovviamente, solo per dare un’idea di massima… lunghezza, diciamo, X90; al suo interno il punto x però è abbastanza in basso, perché questo cattolico è davvero un incallito peccatore, diciamo che è in x10. Ora prendiamo un segmento Y che si trova verso l’esterno, diciamo nella fascia del buddismo, di lunghezza Y40; ma al suo interno il punto y è in y30, perché questo buddista è davvero una gran brava persona…”

“Stai diventando assurdamente e inutilmente complicato, eppure in qualche modo riesco a seguirti. Ma, se dobbiamo fare paragoni tra le varie dottrine, come le disponi all’interno del cono? Questo cilindro centrale, dai contorni neri…”

“Quello è il cristianesimo: l’insieme dei battezzati che credono in Cristo, riconoscono la sua natura di Figlio di Dio e vertice dell’umanità. Nota che all’interno del cristianesimo ho distinto ulteriormente: al centro la Chiesa cattolica, poi gli ortodossi che dottrinalmente non sono molto distanti da noi, e poi tutta la galassia protestante che non mi perito neppure di disegnare in dettaglio perché ho la minima idea di quante confessioni e conventicole siano.”

“E fuori dal cristianesimo?”

“Beh, io credo che il nostro immediato vicino sia naturalmente l’ebraismo. Sono i nostri fratelli maggiori. Penso che questo sia un dato implicito della nostra fede. Per quanto riguarda le altre religioni, invece, qua siamo nel campo dell’opinabile…”

“E allora opiniamo”, disse S. fregandosi le mani. La cosa cominciava a diventare davvero interessante. “Personalmente penso che più oltre dovrebbe esserci l’islam, con il quale pur tra tante differenze si condivide la fede nel Dio Unico.”

“Io non ne sono così sicuro.”

“Va beh, ora non perdiamoci in una digressione islamica. Poi vengono altri culti monoteistici, per esempio…”

“L’Essere Supremo degli illuministi. Il Grande Architetto della massoneria.”

“Beh, no, aspetta. La massoneria e tutte le forme gnostiche sono un discorso a parte, credo. La gnosi non è una religione: è una mentalità-virus che si adatta a ogni religione e la trasforma dall’interno, svuotandola dei suoi contenuti sostanziali e lasciando solo l’apparenza.”

“Sì, ma questo ora non rileva. È comunque, in senso lato, una dottrina.”

“Però non è detto che debba assumere per forza la forma del monoteismo, anzi neppure del teismo… Certa new age o next age parla di divinità in termini panteistici, o addirittura semplicemente simbolici.”

“Uhm. Beh, in questi casi ci spostiamo verso l’esterno del cono… qui ci sono le religioni politeistiche, i panteismi, o addirittura le religioni senza divinità come il giainismo o certe forme radicali di buddismo.”

“E più oltre ancora? Gli agnostici e gli atei fanno comunque parte del cono?”

“Naturalmente. Io credo che la penultima fascia del cono comprenda quelli che possiamo chiamare buoni samaritani, le persone che hanno una morale senza dio e senza religione…”

“Veramente si potrebbe fare una bella discussione sul punto, se sia realmente possibile una morale senza religione. Se Dio non c’è, chi fonda i valori fondanti?”

“Si fondano da soli, suppongo, ovvero sono essi stessi una sorta di dio implicito. Pensa a Kant, con il suo imperativo categorico: la sua legge morale universale è in un certo senso essa stessa una divinità, per quanto abbastanza lontana tanto dal Dio unico dei monoteismi quanto dal pantheon politeistico o dalla divinità impersonale delle religioni orientali.”

“Mah. Se ne potrebbe parlare, ma andiamo avanti. Hai detto che le morali non religiose sono nella penultima fascia: e che c’è nell’ultima?”

“C’è l’orrore”, disse C. aggrottando le sopracciglia. “Le antiche religioni con i sacrifici umani. Il nazismo, il marxismo, le ideologie in cui le tracce di bene sono davvero fievoli e remote – quelle che Chesterton e Maritain chiamavano le verità impazzite. In questi casi siamo proprio ai margini ultimi del cerchio.”

“Però nel tuo disegno, anche queste fanno parte del cono. Anche le ideologie del male…”

“Sì. Il male esiste come fatto morale, ma non come realtà ontologica – non è una forza autonoma, equipotente e simmetrica al bene. Il male è l’assenza di bene: perciò il male assoluto è il Non-Essere, ovvero non esiste.”

“Capisco, però mi risulta difficile pensare al nazismo in termini diversi da quelli di male assoluto.”

“Capisco pure io, ma un discorso preciso e rigoroso non può rassegnarsi a seguire le regole della retorica, o peggio del politicamente corretto. Una dottrina che fosse Male Assoluto dovrebbe essere qualcosa che si proponesse il puro Non-Essere, cioè la trasformazione dell’Essere in Nulla: la distruzione dell’intero universo, niente di meno. Ma una simile dottrina non è mai esistita nella storia dell’umanità…”

“C’è qualche esempio nella letteratura e nel cinema. Il lupo Gmork della Storia Infinita. Il demone Azael in quella commedia di Kevin Smith, Dogma… e poi mi sembra che qualche gnostico l’auspicasse davvero, la fine di tutto l’universo.”

“Insomma. Gli gnostici di cui parli desideravano la fine del mondo, della materia schifosa e cattiva… ma soltanto dopo che loro, quei pochi eletti e fortunati, l’avevano abbandonato ed erano saliti al pleroma o quello che era – che però era… come dire? Una continuazione dell’Essere con altri mezzi. Invece il vero Nulla dovrebbe essere la fine di tutto, ma proprio Tutto. E gli esempi che hai fatto sono appunto finzione e immaginazione: non è né storia né dato di fede. Neppure Satana persegue la distruzione di tutto ciò che esiste compreso sé stesso, perciò neppure Satana – e questa è la sua grande sconfitta, la ragione ultima della sua inferiorità intrinseca – neppure Satana è il Male Assoluto… per quanto, suppongo, goda a farsi adorare come tale dai suoi tenebrosi adepti.”

“Cosa c’entrano i demoni ora? I demoni, se ho colto il senso del tuo disegno, non sono nel cono. La dimora dei demoni è in quell’ombra oscura sotto il cono, quel buco nero dove sarebbe finita la massa informe se il centro del cerchio non fosse disceso a salvarla…”

“Hai ragione. Mi sono lasciato prendere la mano. Ma era per ribadire che il Male Assoluto non esiste, che Nulla è Male Assoluto – cioè il Male Assoluto è proprio il Nulla, che per definizione non è.”

“Basta con questi grovigli ontologici”, disse S. scuotendo la testa. “Torniamo a dov’eravamo rimasti. Allora: tutti gli uomini sono nel cono, nessuno escluso. Se qualcuno fosse escluso, questa persona sarebbe irraggiungibile dalla grazia divina, totalmente incapace di bene, ma nessun essere umano è così. Le persone sono punti che si muovono su assi verticali all’interno del cerchio, più o meno vicini all’asse centrale a seconda della dottrina che professano. Ora ho ben chiaro il modello del tuo disegno, per quanto riguarda il rapporto tra cristianesimo e altre religioni. Non è esclusivista, perché non esclude nessun essere umano dalla possibilità di salvezza. Non è relativista, perché non dice che una religione vale l’altra. Piuttosto è inclusivista: tutti sono sotto il cerchio, ma più ci si allontana dal centro e meno si può salire verso l’alto.”

“Proprio così.”

“Allora deduco che tu non sei d’accordo con il detto Extra Ecclesia Nulla Salus, con chi dice che non c’è salvezza fuori dalla Chiesa.”

“Io? Ma anzi, al contrario, io sono perfettamente d’accordo!” esclamò C. “Solo che bisogna capire bene il significato di quella frase. Non c’è salvezza fuori dalla Chiesa proprio perché tutti coloro che si salvano sono nella Chiesa, da qualsiasi parte del cerchio provengano. Gandhi, Buddha, Maometto, Mosè Maimonide, Socrate… se sono salvi – e io non mi pronuncio, non posso pronunciarmi in alcun modo al riguardo, come la Chiesa che non si pronuncia neppure su Giuda – allora sono nella Chiesa: la Chiesa trionfante che vive nell’eternità e guarda Dio faccia a faccia, oppure la Chiesa purgante che è ancora nella dimensione del tempo e si prepara a quella visione; ma sono comunque nella Chiesa, la stessa Chiesa di cui siamo parte anche noi, Chiesa militante in terra che vive nel tempo come seme del Regno di Dio. Ogni non cattolico che si salva diventa ipso facto, proprio perché si salva, un cattolico. E questo è il suo battesimo: un battesimo nell’ultimo e supremo istante, nell’attimo del salto ontologico dal qui all’oltre.”

“In effetti noto che nel tuo disegno non c’è il limbo.”

“No, non c’è, e mi compiaccio molto che quell’ipotesi teologica legata a una visione della salvezza troppo legalistica sia stata finalmente superata. Dove la Chiesa non ha potuto battezzare, per circostanze contingenti o per l’opposizione di una libertà umana che però nell’ultimo istante cambia idea, battezza Dio stesso – che del resto è sempre, in ogni Sacramento, la fonte unica di grazia e salvezza. Dio non è assoggettato ai nostri limiti e lo Spirito soffia dove vuole. Vedi quelle linee gialle verticali?”

“Quelle che dall’area del cerchio discendono perpendicolarmente sul cono?”

“Sì, proprio quelle. Geometricamente si chiamano proiezioni. Nel mio disegno hanno un duplice significato: dall’alto verso il basso, rappresentano l’azione dello Spirito Santo sugli uomini, su tutti gli uomini…”

“Insomma, come diceva San Tommaso, ogni verità da chiunque sia detta proviene sempre dallo Spirito Santo.”

“Esatto, la questione pneumatologica. Dal basso verso l’alto, invece, quelle linee gialle rappresentano la salvezza: quando muoiono, le persone escono dal cono e salgono verso l’alto – oppure, purtroppo per loro, scendono verso il basso. Comunque per ogni segmento, cioè per ogni persona, la distanza tra il bordo superiore del cono e l’area del cerchio è la distanza che va colmata per accedere al Regno di Dio. Alcuni la traversano in un attimo, e sono santi: sono in Paradiso. Altri la colmano gradualmente, ciascuno al suo ritmo, e sono nel Purgatorio.”

“E ovviamente la distanza in verticale da colmare è tanto minore, quanto minore è la distanza in orizzontale dal centro del cono…”

“E certo. Perché, sia ben chiaro, il fatto che non ci sia limbo e che nessuno sia escluso, non mica vuol dire che possiamo anche non battezzare, prendiamocela comoda, tanto poi ci pensa Dio all’ultimo istante. Ma proprio per niente. Più si è vicini al vertice del cono, più si ha la possibilità di salire in alto e avvicinarsi al cerchio – che, non dimentichiamo, significa anche vivere meglio la vita, se è vero come è vero che il cristianesimo è vero.”

“Questo mi fa venire in mente un altro interrogativo”, disse S., “l’ultimo, credo, perché per il resto mi è tutto chiaro (insomma). Abbiamo visto che le persone, cioè i punti all’interno del cono, possono muoversi in verticale lungo il proprio segmento, in una sinergia tra grazia divina e libertà umana.”

“Sì, esatto.”

“Ma oltre a questo, possono anche muoversi in orizzontale…”

S. s’interruppe, restando in silenzio per qualche momento a pensare; dopodichè prese un foglio di carta dalla scrivania, e vi disegnò sopra un cerchio:

 

“Proviamo a immaginare come può sembrare il cono visto dall’alto… accidenti, ci stiamo veramente mettendo dal punto di vista di Dio. Staremo mica esagerando?”

“Non lo so, te lo saprò dire quando avrai completato il discorso. Prosegui.”

“D’accordo. Allora, diciamo che questo cerchio non rappresenta tutto il cono, ma soltanto la Chiesa: la colonna centrale, il nucleo del cono che è il Corpo Mistico del Vertice, lì dove svettano più alti i segmenti che s’innalzano alle altezze celesti del cerchio dello Spirito. Fuori c’è il resto dell’umanità, ma adesso m’interessa fare un discorso specificamente intraecclesiale e perciò consideriamo solo questo… pilastro interno.”

S. calcò con cura la circonferenza del cerchio, che rappresentava i bordi della colonna-Chiesa. Poi disegnò al centro del cerchio un punto giallo molto grande, e continuò.

 

“Allora: al centro ovviamente Cristo, apice del cono; sotto di lui, il suo Vicario… che questo disegno non può mostrare, perché è la proiezione bidimensionale di una realtà tridimensionale. Mi segui?”

“Ti seguo”, disse C., un po’ colto di sorpresa per quell’improvviso capovolgimento di ruoli.

“Bene. Ora, ogni punto di questo cerchio corrisponde a un segmento verticale del cono, al cui interno si muove il punto-persona. Noi non possiamo qui disegnare il movimento verticale del punto, per la ragione che ho detto poco fa, così adesso concentriamoci sui movimenti orizzontali delle persone.”

S. disegnò vari raggi che univano il centro alla circonferenza, e su alcuni di essi calcò dei punti neri.

 

“Una persona, cioè il suo segmento (che qui vediamo come un punto), può spostarsi orizzontalmente nel cono. Io vedo due tipi di questo spostamento. C’è innanzitutto uno spostamento che avvicina o allontana al centro, lungo i raggi…”

“Il battesimo”, disse C., “la conversione, o all’opposto l’apostasia. Quando una persona si converte – ma anche, direi, quando lo Spirito agisce con una grazia speciale: penso per esempio ai Sacramenti – il suo segmento si sposta verso l’interno del cono.”

“Proprio così. Ma adesso arriviamo al discorso che m’interessa: esiste anche un secondo tipo di spostamento orizzontale, che implica un movimento… come dire… rotatorio. La distanza dal centro resta immutata, ma cambia il suo orientamento nella ‘bussola’ che ho appena disegnato”.

S. disegnò all’interno del cerchio esterno altri cerchi, minori e concentrici, aggiungendo ulteriori punti neri su di essi.

 

“Sembra il bersaglio di un tiro a segno”, ironizzò C.

“Simpatico. Il disegno è rozzo, lo ammetto, ma credo che riesca comunque a simbolizzare bene un altro particolare aspetto del cattolicesimo, cioè il fatto che all’interno della Chiesa ci sono molte vie. C’è la vita contemplativa e la vita attiva. C’è chi vive fuori dal mondo, e chi vive immerso nel mondo cercando comunque di non essere del mondo (cioè mondano). C’è chi vive la rigorosa povertà materiale, e c’è chi usa il denaro cercando di non farsi usare dal denaro. Ci sono ordini ecclesiastici e ci sono associazioni laicali. Ci sono perfino i cattolici di destra e di sinistra, per quanto il pluralismo politico sia l’aspetto che ora mi interessa di meno. Ma soprattutto ci sono tantissime persone sante, di tutti i tempi e di tutti i luoghi e di tutte le condizioni sociali, e tutti hanno incarnato e reso esplicito un particolare modo di vivere il cristianesimo che era già in nuce nell’esempio primigenio di Cristo… perché geometricamente è dal centro che si propagano i raggi; il centro è il luogo in cui tutti i raggi s’incrociano, s’incontrano, sono in comunione.”

“L’unità nella varietà, la varietà nell’unità.”

“E tutti questi raggi sono, ciascuno a suo modo, necessari a completare il cerchio che è il Corpo mistico del centro. E allora è profondamente dannoso l’atteggiamento anti-universale, perciò di fondo anti-cattolico, di chi svilisce ogni raggio che sia diverso dal suo se non addirittura opposto. Io credo davvero che la Chiesa abbia bisogno tanto delle cattedrali immense e bellissime quanto delle chiesette semplici e spoglie, tanto dei riti solenni e maestosi in latino quanto delle celebrazioni dove c’è spontaneità e festosità. Il tradizionalismo e il modernismo sono due fesserie uguali e opposte, perché ciascuno vede solo la sua metà del cerchio ed è irreparabilmente miope riguardo all’altra metà.”

“Però, attenzione a non aprirsi troppo. L’universalismo cattolico non può andare oltre un certo punto. Perché quel cerchio che hai disegnato ha un limite.”

“Certo. Il limite, la circonferenza del cerchio-Chiesa, segna il confine tra l’ortodossia e l’eterodossia. Chi segue il suo personale raggio, dimenticandosi della comunione con tutti gli altri, si allontana dal centro del cerchio,  ovvero da Cristo. Oltre il limite della Chiesa c’è l’eresia, che come dice l’etimologia della parola è proprio la condizione di chi ha separato un particolare aspetto della verità dall’insieme di tutta la verità, cioè dalla Verità, cioè da Cristo.”

“E nella Chiesa c’è qualcuno che, tra le altre cose, ha il compito di fare chiarezza sul confine tra ortodossia ed eresia… misurare, come dire, il limite del raggio del cerchio e l’ampiezza della circonferenza.”

“Certo. I successori degli apostoli, che esercitano il Magistero, e si trovano nella fascia più interna del cerchio.”

“Come, scusa?” chiese C., inarcando le sopracciglia. “La fascia più interna del cerchio?”

“Beh, sì”, disse S., e calcò il cerchio minore all’interno del cerchio.

“Aspetta un momento”, disse C., “io questo non lo darei per scontato. La funzione speciale dei sacerdoti non vuol dire necessariamente che loro siano i più vicini al centro del cerchio, che se vuoi avvicinarti al centro devi per forza essere sacerdote. No, guarda, io piuttosto la metterei in questi termini:

 

“Ma dai”, rispose S., “sei stato proprio tu a mettere il Papa proprio sotto il centro, direttamente sotto Cristo.”

“Sì, ma lui è Vicario di Cristo. Rappresenta Cristo in terra – la proiezione del vertice del cono all’interno del cono, per dirla geometricamente. È una funzione molto speciale.”

“D’accordo, ma non è che i pontefici facciano tutto da soli: c’è la collegialità ecclesiale”, replicò S. picchiettando il dito sul disegno che aveva fatto sul foglio. “E poi tutti i preti rappresentano Cristo, difatti quando amministrano i sacramenti agiscono in persona Christi.”

“Senz’altro, ma questo non è ancora un motivo sufficiente per ‘riservare’ al clero la fascia interna del cerchio. Così rischiamo di tornare a una visione della Chiesa un po’ superata, anteriore al Concilio Vaticano II, precedente anche alla riflessione di San Josemaria Escrivà sul ruolo dei laici nella Chiesa – che non sono cattolici di serie B, come si tendeva a pensare in passato, quando c’era una mentalità del tipo ‘se vuoi avere una vita davvero santa, prendi i voti’. Dopotutto…”

“Ma chi dice che siano cattolici di serie B?”, sbottò S. “Sei stato proprio tu, prima, a puntualizzare che essere orizzontalmente vicini al centro non garantisce automaticamente l’essere verticalmente vicini al cerchio. In questo disegno noi stiamo considerando solo la dimensione orizzontale, l’allocazione del segmento in cui si muove ogni punto-persona… la dimensione verticale ora ci sfugge, perché stiamo ragionando bidimensionalmente. Insomma, io non sto affatto dicendo che un prete è per forza più buono e più santo di un non-prete. Ma il sacramento dell’Ordine lo pone comunque…”

“Il disegno l’ho sognato io!”, esclamò C., con l’aria di chi sfodera il classico argomento che taglia la testa al toro.

“Embè? E allora?”, replicò perentoriamente S. “Non vuol dire niente. Tu hai fatto il sogno, ma esso non ti appartiene. Questa figura non è una cosa che hai inventato tu: è il tentativo di simbolizzare geometricamente una realtà oggettiva, spirituale ma assolutamente concreta nella sua autonomia, che né tu né io né nessun altro può modificare a piacere.”

Stettero per un momento a guardarsi quasi in cagnesco. Poi C. alzò le mani.

“Basta”, disse sventolando un’ideale bandiera di pace. “Io resto della mia idea, cioè che la situazione dei sacerdoti è diversa per funzione ma non per qualità,  e tu resti della tua idea. Non ne verremo a capo stamattina, questi sono discorsi che si fanno da decenni se non secoli.”

“Stamattina? È mezzogiorno passato da un pezzo. Per me è quasi ora di pranzo.”

“Hai ragione. Mettiamo da parte la teologia e andiamo in cucina a mangiare qualcosa.”

“Sì, ma aspetta. C’è ancora qualcosa che non abbiamo esaminato”, disse S.

“E cosa?”

“La fine. Questo cono, a differenza del cerchio, non è eterno. Un giorno, non sappiamo quando, succederà qualcosa… tu non hai visto niente al riguardo, nel tuo sogno?”

“No. Mi sono svegliato prima. Ma in effetti non è difficile, alla luce di tutto quello che abbiamo detto, immaginare geometricamente cosa accadrà.” C. si avvicinò al disegno sul muro, seguendo ancora una volta le linee con le dita. “Ci saranno sconvolgimenti terribili, sentiremo suonare le sette trombe e vedremo i quattro cavalieri, eccetera. Quel cono sarà scosso, profondamente scosso, e al momento della distruzione finale si dissolverà. Una parte di coloro che si trovano nel cono purtroppo sprofonderà in basso, giù in quell’abisso nero e senza fondo. Un’altra parte salirà in alto: alcuni aderiranno subito al cerchio, altri invece per un certo periodo di tempo – il tempo dell’attesa e della purificazione – graviteranno nella sua orbita, avvicinandosi sempre di più. E quando anche l’ultimo purgante avrà completato questo processo transitorio…” e restò in silenzio per qualche secondo.

“In effetti”, proseguì, “c’è un argomento che è molto diffuso, ovvero la divinizzazione dell’uomo. La promessa del serpente: diventerete come Dio. Questo concetto è inteso in vari modi.

1) Secondo certe filosofie atee, Dio non esiste e proprio per questo l’uomo può mettersi al suo posto, occupare un trono che ora è vuoto, diventando in terra una specie di divinità onnipotente. Questo era il nazismo, era il comunismo, e attualmente è una certa mentalità scientista che vuole ricreare l’umanità e il mondo con le biotecnologie. In questi casi va invariabilmente a finire che a diventare dio in terra non è l’uomo genericamente inteso, ma una ristretta casta di eletti che fagocitano potere e schiacciano gli altri uomini.

2) Poi ci sono svariate gnosi, la new age e la next age e tutto il ciarpame cabalistico moderno, e perfino la filosofia di Hegel che sotto sotto aveva un retrogusto di gnosticismo di cui stranamente si sono accorti in pochi. In questi casi a volte Dio c’è, altre volte non c’è, altre ancora non si capisce bene, ma in realtà la cosa non ha poi tutta questa importanza fondamentale perché quello che veramente conta è che l’uomo ha una scintilla divina dentro di sé, cioè il Sé, e insomma l’uomo è in sé il suo proprio dio, per cui quando alla fine ha raggiunto la conoscenza salvifica – che sia Keter cioè l’ultima sephira dell’Albero Della Vita, oppure la sintesi finale dell’ultima triade hegeliana, alla fin fine non cambia moltissimo – insomma il risultato è sempre quello: diventare dio.

3) Poi ancora c’è il misticismo dell’Oriente. In quei sistemi l’uomo è divino perché è una parte dell’immensa e assoluta divinità, che poi dietro le apparenze sarebbe l’universo stesso. L’Uno è il Tutto, Atman è Brahman. Peraltro questa divinità è impersonale, non ha un Io che possa generare volontà e passioni – e infatti la legge morale del Dharma non deriva dalla volontà divina, che non c’è, ma dalla natura stessa del mondo. Alla fine del Samsara, cioè dopo tutto il ciclo di nascite e rinascite con cui si migliora il proprio karma, si raggiunge il Nirvana ovvero la beatitudine suprema, la liberazione dal proprio io portatore di passioni dolorose. A questo punto l’uomo diventa pienamente parte di dio, ma perde il proprio io: ovvero il suo io, come l’io di tutti gli altri uomini – e a questo punto non c’è proprio più nessuna differenza tra sé e gli altri – diventa proprio l’assoluta divinità impersonale che esiste e non vuole.

4) Ebbene, in realtà anche nel cristianesimo c’è quest’idea della la divinizzazione dell’uomo – può sembrare paradossale, visto che era proprio questa la promessa del serpente da cui sono cominciati tutti i guai, ma è proprio così. Però c’è una differenza fondamentale: per il cristianesimo l’uomo è infine divinizzato non perché si mette al posto di Dio, come intendeva il serpente, ma perché è incorporato in Dio. Diventa parte di Dio, ma a differenza di quanto si dice nell’Oriente, lo fa conservando la propria individualità e identità. Così ogni io si relaziona agli altri e, come i punti costituiscono l’area del cerchio, così tutti i beati con il proprio corpo – perché alla fine il corpo risorge – concorrono a costituire il corpo di Dio: nella città celeste non c’è nessun tempio, perché già l’intera città con tutti i suoi abitanti è tempio dello Spirito Santo. Al posto della confusione indistinta e uniformante del Nirvana, c’è la precisa articolazione di entità nell’entità: nell’Unità di Dio è contenuta la coesistenza eterna delle tre Persone, e nello Spirito Santo – nell’area del cerchio – sono contenuti i beati ascesi al cielo, che sono infine in Dio e Dio è tutto in tutti e così in conclusione ex pluribus unum.”

4. Il disegno (fine)

Per circa un’ora, C. e S. non pensarono più al disegno e a tutti i suoi significati. Prepararono un bel po’ di roba da mangiare, perché la teologia gli aveva messo appetito, e se la mangiarono con gran soddisfazione. Parlarono di altre cose: libri, film, musica, sport, ragazze, fatti e aneddoti del cosiddetto mondo reale. Alla fine concordarono sul fatto che entrambi avevano passato una mattinata interessante, ma che il pomeriggio doveva essere dedicato ad altre faccende.

“D’accordo, io me ne torno a casa” disse S. “ma prima posso usare il tuo bagno?”

“Sì, conosci la strada” rispose C., che ora sembrava un po’ assorto e pensieroso.

Quando S. uscì dal bagno un quarto d’ora dopo, ebbe una forte sorpresa. C. era nella sua stanza e aveva occultato il disegno sul muro: aveva spostato tutta quella quantità di poster, locandine, poesie, un sacco di roba decorativa che teneva attaccata sulle pareti, con una notevole quantità di nastro adesivo l’aveva trasferita sul disegno fino a coprirlo completamente.

S., quasi sconvolto, non trovò niente di meglio da dire che semplicemente:

“Perché?”

C. si prese un po’ di tempo per pensare alla risposta, e alla fine disse:

“Vuoi sapere una cosa? Adesso mi sembra di capire un po’ quello che fece San Tommaso alla fine della sua vita. Chiudersi nel silenzio, stimare poco e quasi niente tutto quello che aveva scritto…”

“Oh, andiamo, è ridicolo. Vuoi forse paragonare…?”

“Ma no, figuriamoci. Sarebbe come paragonare un sasso a un pianeta. Quello che sto dicendo è che mi sono reso conto che nessuno schema, per quanto preciso, per quanto complicato, potrà mai avvicinarsi abbastanza a descrivere l’essenza di Dio. È qualcosa che semplicemente sta oltre. Tu e io stamattina magari abbiamo fatto della buona teologia, ma forse ci siamo montati e la testa e ci siamo spinti troppo in là. Resta comunque il fatto che tutto questo è… fondamentalmente…”, calcò con cura le parole, “troppo poco.”

“Ma fammi il piacere! E sei arrivato a questa brillante conclusione mentre io ero di là nel tuo bagno?”

“Già, proprio così.”

“Che follia. E io adesso che dovrei fare, insistere per non farti seppellire quel disegno dietro tutta quella roba? Dovrei essere il tuo Reginaldo e fare di nascosto qualche copia?”

“Ma smettila di dire assurdità. Semplicemente, ho deciso che ho fatto uno sbaglio a disegnare quest’insieme di punti e linee sul muro della mia stanza. Palea est, davvero.”

S. lo guardò torvo, guardò il muro, guardò di nuovo il suo ostinato amico. Fece un sospiro, scosse la testa, e menò il fendente:

“Guarda, vuoi saperla tu una cosa? Quello che hai appena detto è interessante. È anche importante. Anzi, magari è perfino vero.”

“…”

“Ma io non penso che sia quello che tu pensi veramente. Credo in verità che tu abbia qualche altro motivo, un po’ meno nobile, un po’ più egoistico, per nascondere ai tuoi occhi quella roba che sei stato alzato tutta la notte per disegnare.”

“Ma che cosa stai…”

“Intendiamoci, riguardo all’argomento ‘come possiamo pretendere di capire Dio?’, non è che tu stia dicendo assurdità. Ma da come parli sembri quasi più pessimista dell’ultimo San Tommaso, che poi secondo me non si trattava tanto di pessimismo, neanche si fosse trasformato in una specie di brutta copia di Eckhart, quanto semplicemente Tommaso aveva capito di aver ormai detto tutto quello che aveva da dire. In effetti noi non possiamo sperare di comprendere la divinità, ma neppure si può dire che Dio è totalmente inintelligibile. Guarda, ti conio per l’occasione un paradigma gnoseologico, che peraltro sicuramente qualcun altro avrà già espresso in termini migliori: noi conosciamo Dio per approssimazione funzionale. Cioè, noi capiamo poco o pochissimo di Dio, molto ma molto approssimativamente e limitatamente; però capiamo proprio quel tanto che basta, proprio quel tanto che ci serve. In realtà io non credo che la conoscenza, nessun tipo di conoscenza, abbia valore e significato in sé stessa. Il noumeno è irraggiungibile? E chi se ne frega, sta bene dove sta, non ne ho bisogno. Se io mi devo sedere su una sedia, non m’interessa sapere il numero esatto di atomi di cui è composta o come si chiamava quello che l’ha costruita o quella cosa misteriosa che sarebbe l’essenza della sedia in sé e per sé: a me interessa solo sapere se quella sedia reggerà il mio peso quando ci poserò sopra il fondoschiena. Al massimo può anche interessarmi se quella sedia s’intona con l’arredamento, ma solo alla lontana e solo per occasioni e ospiti particolari. Se un libro mi piace, m’interessa sapere cosa pensava l’autore, magari cosa ne pensano gli altri, ma non mi metto a contare tutte le righe o a fare l’analisi grammaticale parola per parola. Se una ragazza mi ama, non voglio sapere in quali zone del suo cervello avvengono quelle complicate reazioni biochimiche in cui consistono fisicamente i suoi pensieri, non mi metto a farle l’EEG …”

“A una ragazza così folle da amarti, qualcuno dovrebbe farlo.”

“Ah, sei simpatico adesso. Ma a me non interessa farle la biopsia cerebrale, m’interessa sapere se è proprio vero che mi ama e magari perfino le ragioni per cui mi ama, ammesso che noi esseri umani possiamo davvero capire precisamente perché c’innamoriamo di qualcuno e non di qualcun altro, cosa di cui in effetti dubito fortemente. Ed ecco, fatte le debite proporzioni, per Dio è la stessa cosa. A me serve capire di Dio quel tanto che basta per una precisa funzione, ovvero adorarlo e amarlo. Non capisco e non capirò mai il come: come fanno le tre Persone a essere una sola Unità, come fa il vino a diventare sangue nella sostanza conservando l’apparenza del vino, cosa succede alle leggi della fisica quando accadono i miracoli, eccetera eccetera. Tutte queste cose sono al di là delle possibilità del mio cervello, e sia. A me interessa sapere il perché: qual è il significato del fatto che Dio è uno e tre, perché ha deciso di istituire un sacramento con cui il pane diventa il suo corpo e il vino diventa il suo sangue e noi ne possiamo mangiare e bere, e tutto il resto. Qual è il senso? Qual è lo scopo? Ecco, questo è quello che m’interessa davvero, e il cattolicesimo me lo spiega, per cui alla fin fine si scopre che essere cattolici non è poi così folle come poteva sembrare all’inizio. E in effetti, se quel groviglio di punti e linee là disegnato può essere d’aiuto a qualcuno in qualche minimo modo, ben venga.

Ma la verità, in fondo in fondo, è che tutto questo non è quello a cui veramente pensavi. Io credo che in verità tu semplicemente…”

“Avevo paura”, disse C. di scatto.

“Oh. Adesso sì che ci siamo, adesso sento un po’ più di verità nel tuo tono di voce.”

“Ok, hai ragione, va’ a quel paese tu e la tua penetrazione psicologica. La verità è che questo disegno, e il sogno che ho fatto, e quello che significano… tutta questa roba è troppo per me. D’accordo, diciamola tutta: voglio dire che è troppo faticoso. Perché, senti un po’, se noi siamo tanto bravi e intelligenti da aver capito tutto questo e parlare con disinvoltura di tutti questi concetti alti e profondi, com’è che poi nella vita reale non ci comportiamo di conseguenza? Dov’è il ritorno pratico? Il significato di quel disegno può sembrare astratto, ma in realtà è di una concretezza spaventosa, è molto più reale – nel senso che ha a che fare con la realtà che sperimentiamo giorno per giorno e minuto per minuto – di tutta la roba che ci ho messo sopra perché non volevo più vederlo. Tutto quel bel filosofare teologico che abbiamo fatto stamattina, un sacco di gente direbbe che sì, è interessante e magari è pure vero, ma che cosa mi cambia nella vita concreta riguardo alle bollette da pagare o all’alito cattivo di cui non riesco a liberarmi o a un amore infelice? E in certo senso avrebbero pure ragione a dire così, e sarebbe colpa nostra – macchè: colpa mia – perché tutte queste idee resteranno semplicemente idee se non sono io in prima persona a prendermi la fatica di trasformarle in realtà, portandone il significato in una vita che a volte sembra proprio così maledettamente priva di significato. La verità è che mi sono reso conto che disegnare quel sogno sul muro era la parte facile: adesso devo caricarmelo sulle spalle, disegno e muro e tutto quanto. E questo mi spaventa. A me piace capire le cose, ma non mi piace applicarle. Se non copro quel disegno, ogni volta che lo guarderò non potrò fare a meno di chiedermi: e io dove sto? Sono in alto, sono in basso? Dove mi merito di andare?”

S., che aveva ascoltato tutto quello sfogo seduto sul letto e picchiettando le nocche sul muro (e aveva avuto la tentazione di strappare un po’ di quella carta, ma poi aveva lasciato perdere), allargò le braccia e disse:

“Ma che vuoi che ti dica. Questo non è un problema solo tuo, è un problema di tutti quelli che prendono la cosa sul serio, dai papi in poi, dall’interno all’esterno di quel cono che hai disegnato là sulla parete, dai santi all’ultimo schifoso delinquente che ogni tanto ha un sussulto di coscienza. Credi che non sia un problema pure mio? Bene”, disse alzandosi di scatto e fregandosi le mani, “penso che ormai abbiamo parlato e discusso più che a sufficienza. Basta. Andiamo a trasformare un po’ di quelle idee in realtà.”

E così alla fine erano usciti da quell’appartamento, ognuno intento alle proprie faccende pratiche da sbrigare.

Adesso la casa era vuota. C. aveva lasciato aperta la porta del piccolo balcone che dava sul cortile interno, perché tanto chi mai sarebbe entrato da quella parte. Il vetro della finestra della sua stanza era rotto, si era crepato per il freddo quell’inverno, e non era stato aggiustato perché nel bilancio domestico era stato qualificato come spesa rimandabile. Se qualcuno fosse stato presente avrebbe potuto sentire uno spiffero che sibilava e spostava sul pavimento i riccioli di polvere, la cui presenza era dovuta a un non eccessivo impegno degli abitanti di quella casa nell’igiene casalinga. Improvvisamente l’anta del mobile sopra il lavandino, che era rimasta aperta, sbatté con forza. E forse C. non era poi stato così abile con quel nastro adesivo che aveva adoperato, o forse si trattava di un prodotto da quattro soldi che non valeva i pochi centesimi che era stato pagato, perché all’improvviso tutto l’insieme di poster e locandine e poesie che aveva attaccato al muro perse adesione alla parete, o forse aveva cominciato a perderla sin dall’inizio, e così tutta quella carta passò improvvisamente dalla posizione verticale a una posizione più o meno obliqua e poi dondolante nell’aria e poi tendente all’orizzontale, perciò infine tutti quei fogli si posarono per terra sparsi per il pavimento, e quando quella sera C. sarebbe tornato e avrebbe distrattamente messo piede nella sua stanza senza guardare in avanti perché pensava a buttare le chiavi con cui aveva appena aperto la porta di casa nel posacenere che gli fungeva da posaoggetti, ebbene la concentrazione nell’atto di tirare e auspicabilmente fare centro unita alla conseguente scarsa concentrazione nell’atto di camminare e guardare dove mettere i piedi avrebbe provocato una sua caduta invero assai ridicola, e meno male che in quel momento era da solo in casa e non lo guardava nessuno (davvero?), per cui sarebbe precipitato in avanti e avrebbe mollato chiavi e tutto quanto per proteggersi la faccia da eventuali disastrose conseguenze di quella caduta, e in realtà la cosa si sarebbe risolta molto semplicemente con lui che sbatteva pesantemente e dolorosamente le ginocchia e i palmi delle mani per terra, e avrebbe visto tutti quei fogli per terra, e poi sempre in quella posizione assurdamente in ginocchio avrebbe visto esposto sul muro quel disegno che lui aveva voluto obliterare, sarebbe rimasto lì per terra a guardarlo per svariati minuti, a guardare quei punti e quelle linee e quel cerchio con cui aveva voluto con tanta buona volontà rappresentare ogni essere umano mai concepito e nato e vissuto e morto nella storia, ogni uomo, ogni donna, ogni povero, ogni ricco, ogni giusto, ogni ingiusto, ogni amico, ogni nemico, e infine lui stesso, tutti assieme sotto la luce e lo sguardo di quel cerchio che non lo avrebbe mai lasciato da solo, verso quel centro a cui tutti tendiamo da sempre e per sempre.


34 responses to “Il centro del cerchio

  • ClaudioLXXXI

    Sì, sono tornato a postare. Si è notato, eh? 🙂

  • sissi2002

    Se latitare dal blog per un mese e mezzo produce questi frutti, per favore sparisci un’altra volta!!!
    Un abbraccio

  • utente anonimo

    Sei un grande.

  • utente anonimo

    bellissimo! mettilo in terzine e avremo la nuova divina commedia 😉

  • Faber18

    Ciao Claudio, me lo leggo con calma…

  • Faber18

    Cosa aveva mangiato C. a cena la sera prima? Battuta a parte davvero bello e profondo, come al solito quello che scrivi mi coinvolge molto. Mi è piaciuta particolarmente la parte nella quale accenni al “silenzio” di San Tommaso d’Aquino. Quando il tentativo di comprendere, seppur parzialmente, e di spiegare razionalmente annichilisce di fronte all'”Esperienza” di Dio. E, perchè no, anche a quella della sua “assenza”, come la notte oscura di Madre Teresa di cui si parla (spesso a sproposito) in questi giorni. Grazie per il bellissimo post.

  • TheCopywriter

    ecco perchè era tanto non postavi…in realtà hai iniziato il giorno dopo! XD

    Mi sa che lo stampo e poi lo leggo, altrimenti ti rispondo per natale XD

  • TheCopywriter

    18 pagine di WORD! :OOO

  • stark86

    Caro Claudio, premettendo che non l’ho letto tutto, prendo in prestito le parole di un genio del ‘900: “Possiamo davvero conoscere l’universo? Mio Dio, è già così difficile orientarsi a Chinatown!”.

    Però lo sforzo è da apprezzare 😀

  • ClaudioLXXXI

    Grazie per i complimenti. L’idea del disegno ( l’ho realizzato io, perciò scusate la rozzezza ma non ho saputo fare di meglio) mi è venuta anni fa, ma ho cominciato a scrivere il post circa “solo” a dicembre dell’anno scorso. Ci ho messo nove mesi per partorirlo…

    #9
    Chi è il genio? Scommetto su Woody Allen (giuro che non ho googlato).

  • nihilalieno

    Non sono molto originale, ma anche io ho pensato “un mese di silenzio e poi… fuochi d’artificio!”.
    Però sono fuochi d’artificio tutte le volte che posti qualcosa…
    Bentornato!

  • ClaudioLXXXI

    Grazie. 🙂
    Però i fuochi d’artificio non mi vengono così spesso…

  • berlic

    Bè, però fanno il botto. Meglio questo dei petardini.
    (Ho anch’io una serie di “rivelazioni” teologiche a cui lavoro da anni…mi sa che se non le tiro fuori in fretta me le pubblichi tu!;-)

  • ClaudioLXXXI

    Un botto forse troppo… esplosivo. Ho il presentimento che saranno pochissimi quelli che arriveranno a leggersi tutto il mega-malloppone. Peccato, perchè credo che la parte migliore di tutto il post sia proprio la fine…

    “Rivelazioni”, con molte molte virgolette, eh! A parte il disegnino simpatico e una cornice narrativa molto elementare, di mio non c’è alcunchè: tutta sana dottrina cattolica al 100%, voglio ben sperare, nulla di più di quanto si troverebbe nel caro vecchio Catechismo, l’unico mio tocco personale è stato il modo “geometrico” di comunicare il concetto.

  • utente anonimo

    Posso?

    Sono l’italoequadoregno che ti segue da oltreoceano… ricordi? Troppo interessante, davvero…. sei un pazzo che si fa amare!..

    Senti, ho letto tutto il “malloppone”, ho visto e rivisto i tuoi disegni, la tua traduzione geometrica della prospettiva cattolica… e siccome (guarda i casi strani della vita, io faccio il designer…) non sono riuscito a trattenermi, e ho ridisegnato l’intero schema da te proposto, senza cambiarlo (per rispetto all’autore!)… L’ho solo disegnato con altri strumenti, colori, ecc…. Avrei tantissima curiositá di fartelo avere, cosí mi dici cosa ne pensi….

    Come fare?

    saludos

    Juan Francisco

    ps. Dici in un’altro post“Se anche a una sola persona è lievissimamente migliorata la vita per qualcosa che ha letto qui sopra, vuol dire che non sto scrivendo invano.”

    Non lo stai facendo, te lo dico io. Felicidades!

  • ClaudioLXXXI

    C’è gente che mi legge dall’altra parte del mondo… questa cosa mi sconvolge.
    Fai il designer? E’ il cielo che ti manda! 😀
    Hai fatto benissimo, ma che trattenerti e trattenerti, perchè sono io il primo a riconoscere che i miei disegni fatti con la funzione disegno di word sono a dir poco grezzi! E possono ancora essere migliorati, ma quale rispetto! ^^
    Vedi per esempio quella faccenda della “fascia per il clero” che ho lasciato non decisa perchè, sembra una fesseria, ma è decisiva per l’una l’altra impostazione ecclesiologica

    Come fare?
    Semplice: sketman81@yahoo.it
    (non è la mail attuale che uso, ma tu contattami pure lì e io ti risponderò)
    questi disegni grezzi li ho trasformati in jpeg e li ho uppati su imageshack, ma volendo posso mettere nel post i tuoi migliori, perchè no?

    Muchas gracias (o come si dice!)

  • utente anonimo

    ciao. ma col peccato originale è cambiata anche la natura o l’uomo ha solo perso la grazia?
    dal tuo racconto parrebbe la prima, come anche dal senso letterale della Genesi. tu che dici?
    la lotta per la sopravvivenza e le malattie ecc sono mali conseguenze del peccato originale o sono voluti da Dio fin dal principio e quindi non sono mali?
    ho il sospetto che sul catechismo ci sia la risposta ma magari con te faccio prima…
    ba, grazie

  • ClaudioLXXXI

    Lusingato di essere considerato una specie di surrogato del catechismo.
    Però, magari fare la fatica di andare a dare una lettura…

    http://www.vatican.va/archive/ccc/index_it.htm

    Comunque rispondo.
    Se parli della natura dell’uomo, la risposta è sì. Credo che quell’atto dei nostri primi antenati (che erano “mutanti” rispetto ai propri quasi-scimmieschi progenitori), quando furono posti di fronte alla maestà di Dio e alla possibilità di una vita senza peccato, possibilità che persero per sempre con quell’atto (di cui non sappiamo i dettagli effettivi)… bene, credo che quel primo peccato abbia cambiato la natura dell’umanità per tutte le generazioni a venire. Non ne siamo colpevoli, perchè non l’abbiamo compiuto noi, ciononostante ce lo portiamo dentro, come le generazioni post-Hiroshima sopportarono le conseguenze della Bomba, proprio nel DNA (a questo proposito, ho alcune teorie sull’incoscio collettivo junghiano).

    Se invece parli della “natura” come stato del mondo, la questione è stata a lungo dibattuta. Io credo che la risposta sia no. Consiglio al riguardo la lettura di “Lontano dal pianeta silenzioso” di Clive Staples Lewis.
    Sintetizzando, in questo romanzo di fantascienza un terrestre viaggia fin sul pianeta Marte, dove incontra varie razze di alieni che vivono sul pianeta. Viene accolto in un villaggio di hrossa e vive con loro, condividendone il cibo e i costumi. Gli hrossa non hanno mai fatto l’esperienza del peccato, come tutte le creature di Marte sono in perfetta comunione con Dio. Peraltro, e questo aspetto mi colpì particolarmente quando lessi il libro, la loro non è affatto una vita ad angoli ovattati. C’è la tempesta e c’è il solleone, c’è la malattia e c’è la vecchiaia. Il protagonista partecipa ad una battuta di caccia e assiste alla morte, coraggiosa e onorevole, di un suo amico.
    Insomma, su Marte non c’è il male volontario, la sofferenza inflitto colpevolmente da un essere vivente all’altro, ma non è assente il dolore naturale, e dico naturale proprio in quanto inscritto nel meccanismo di conservazione della natura. Dov’è allora la differenza con quanto accade sulla Terra, quando si verificano epidemie tsunami eccetera? La differenza è nel sentimento con cui gli hrossa vivono la loro vita non priva di dolore. Nessuno teme la morte, perché sa che non è la fine. Nessuno teme la sofferenza, perché sa che non è insensata. Può esserci tristezza, ma non c’è mai di-sperazione (cioè perdita della speranza).

  • utente anonimo

    ti avevo già letto fare questo esempio su questi hrossa, ma pensi che sia possibile che tutta la creazione è stata cambiata dal peccato, anche quella prima della comparsa dell’uomo (visti anche quei discorsi sul tempo che facevi)?
    perché per i primi uomini ho letto di doni “preternaturali” e anche degli animali si legge che si nutrivano di erbe.
    ba (grazie)

  • ClaudioLXXXI

    No: credo che la descrizione del mondo prima del peccato originale, come la leggiamo nella Genesi, sia allegorica e non storica. Dopo il peccato originale la creazione è cambiata nella misura in cui l’uomo l’ha cambiata.

    Certo, si potrebbe fare un’ipotesi in un certo senso affascinante: un cambiamento “retroattivo”.
    A 1–> creazione prima del peccato, “versione originale”
    B –> peccato originale che cambia anche il passato
    A 2 –> “nuova” creazione prima del peccato, quella che conosciamo noi
    Qualcuno può fare quest’ipotesi, ma non un cristiano cattolico: Dio non cambia il passato, fondamentalmente perchè non “bara”. Manderebbe sottosopra tutte le “regole del gioco” che si è dato e che, essendo Dio-Logos e non Dio-faccio-quello-che-mi-gira, decide di rispettare (vedi il post “prescienza onnipotenza tempo eternità”).

    Poi vabbè, dell’ipotesi “omphalos” parliamo un’altra volta…
    http://en.wikipedia.org/wiki/Omphalos_hypothesis

  • utente anonimo

    capito. mi verrebbe l’obiezione che satana invece è ribelle dal principio.
    capisco il discorso degli hrossa, ma il male fisico in sé è comunque un male (altrimenti perché Gesù avrebbe guarito i malati?), e allora da dove viene?
    ba

  • ClaudioLXXXI

    Non credo che le malattie in sé siano un “male”, nel senso morale del termine. Male, in quanto conseguenza del peccato originale che ha cambiato la natura umana, sono la disperazione e la sofferenza che accompagnano le malattie, e Cristo eliminava le une e le altre (inoltre doveva dimostrare agli increduli che, se poteva sanare i guasti del corpo, a fortiori poteva sanare anche i guasti dell’anima).
    Le malattie in sé sono biologicamente necessarie, affinché prima o poi il nostro corpo smetta di funzionare e noi si possa morire. Questo vuol dire che anche la morte è biologicamente necessaria.
    Da quel che so, nella storia della chiesa ci sono state due teorie sul rapporto tra la morte e il peccato originale. Una dice che senza il peccato originale l’uomo non sarebbe mai morto; l’altra dice che sarebbe morto comunque, ma la morte sarebbe stata molto meno tragica di come è ora, soltanto un sereno e felice passaggio verso l’oltre. La morte della Madonna, unica creatura umana nata senza l’eredità del peccato, è interpretata da queste teorie in modi diversi: per la prima essa non fu una vera e propria morte ma una semplice “dormizione”, un addormentarsi durante il quale Maria fu portata in paradiso; per la seconda teoria essa fu in effetti una morte, sì, e precisamente la morte come doveva essere nel mondo senza peccato originale.
    Io opto decisamente per la seconda teoria, che mi sembra molto più rispondente alle nostre attuali cognizioni scientifiche. La morte è necessaria, perché è l’evento-limite senza il quale questa vita non può avere significato definitivo, perché i morti devono fare posto sulla terra ai nuovi nati, perché il nostro attuale corpo umano non è costruito per funzionare in eterno. Non erano necessari il dolore che accompagna la morte, il lutto opprimente, l’ignoranza del dopo: questi sono la conseguenza di quel primo peccato, il cui ricordo ci portiamo nel dna.
    Per questo lo stesso concetto di “morte” è ambivalente: inteso come passaggio per l’oltre è un fatto positivo, inteso come dolore e separazione dai nostri cari è un fatto negativo. Nel cristianesimo queste due concezioni convivono, e pertanto possiamo trovare tanto San Francesco che dice “laudato sii per sorella morte” quanto San Paolo “l’ultimo avversario ad essere sconfitto sarà la morte” (naturalmente alcuni non capiscono la differenza tra i due concetti di morte e parlano di contraddizione, ma vabbè, l’esegesi odifreddi-style è irrecuperabile).

  • utente anonimo

    lo vedi che come surrogato del catechismo sei andato bene 😉
    grazie mi hai chiarito un dubbio
    ba

  • ClaudioLXXXI

    Consiglio comunque per sicurezza di andare a controllare l’ortodossia di quanto sopra su testi affidabili 😛

  • Kukulkan

    Bello.

    Ho letto tutto il post dalla prima all’ultima riga, e hai ragione: il succo non è nelle circonferenze del cerchio, nelle “colonne umane” che “migrano” lateralmente, o nel posto che occupa la gerarchia ecclesiastica e cose simili.
    E il punto focale non è neppure la paura o il coraggio di testimoniare la “visione”.

    Il tema centrale è che Dio, in qualunque forma lo rappresentiamo, in qualunque luogo lo contempliamo ed in qualsiasi ente lo intravediamo, Egli ci apparirà sempre e comunque con un massimo comun denominatore:

    Egli è Amore, e noi amandoLo veniamo ricambiati gratuitamente per la Sua stessa natura.

    Grazie

  • cecilia2day

    Ottimo.
    Non solo il racconto-speculazione teologica mi ha appassionato e convinto (e su questo 'convinto' non apro parentesi esplicative che sarebbero lunghe quanto il tuo post), ma ora sono anche in possesso di un'arma dialettica ineccepibile.
    Al prossimo che mi contesta prolissità e complessità, opporrò questa pagina. Fine degli sfracugliamenti di marones 🙂

  • ClaudioLXXXI

    Onorato di essere il termine di paragone per eccellenza quanto a prolissità e complessità 😛

  • cecilia2day

    Beh, dovresti esserlo (onorato) per un motivo che non ho esplicitato ma davo per scontato: a differenza di altri prolissocomplessoragionatori (sì, ne conosco addirittura parecchi) hai il pregio di dir cose per lo più sensate, ma soprattutto di non porti in modo arrogante :p 😉

  • filippociak

    Per fortuna che l’hai linkato, rischiavo di perdermelo. L’ho letto d’un fiato… e domattina me lo stampo. (Complimenti eh! :D).

  • Mara nada

    Complimenti claudio.

    Esclusivamente per claudio: mi sembri maturo per questo!
    Leggilo, in internet si trovano forse migliori traduzioni,,
    Impara se puoi i termini ed il linguaggio, è indispensabile per comprendersi, avere un linguaggio comune!

    http://www.centronirvana.it/2sutra.htm

    http://it.wikipedia.org/wiki/Sutra_del_Diamante

  • Mara nada

    “”” che sia Keter cioè l’ultima sephira dell’Albero Della Vita, oppure la sintesi finale dell’ultima triade hegeliana, alla…”””

    La Keter, l’ultima sephira, è quella del vuoto, dello spazio, di Dio, chi vi penetra non è più….

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