Il Dysangelium di Odifreddi (3)
(continua da 1) (continua da 2)
C’era una volta il libro di Piergiorgio Odifreddi Il Vangelo secondo la Scienza – le religioni alla prova del nove: un libercolo con cui l’autore, con la consueta modestia che gli è propria, si riprometteva di risolvere il più grande problema dell’umanità e confutare definitivamente le religioni passandole al vaglio della sua scienza, dimostrandone l’assurdità (secondo la nota uguaglianza per cui credenti = cretini).
C’erano altresì una volta un paio di post scritti dal sottoscritto, nei quali elencavo certosinamente alcuni esempi degli errori colossali e delle sleali panzane propinate dall’autore allo sfortunato lettore. Nelle mie intenzioni iniziali quei due post avrebbero dovuto essere seguiti da molti altri, sennonché, vuoi per pigrizia, vuoi per il tempo scarseggiante, vuoi perché elencare tutti gli errori del Nostro era un compito improbo, lasciai cadere il progetto.
E che cosa scopro adesso? Che il dysangelium odifreddiano è stato ripubblicato in seconda edizione. Chissà se almeno qualcuna delle fesserie più plateali è stata emendata, ma forse è più probabile che ne siano state aggiunte delle altre. Non ho intenzione di pagare il prezzo di copertina per saperlo, ma è l’occasione per ripescare dallo scaffale della monnezza la mia copia del libro e spenderci sopra qualche altra parola.
Ormai ho capito la tecnica adoperata da Odifreddi per incantare i suoi lettori. Chiamiamola tecnica dell’affastellamento: consiste nell’accumulare in rapida successione una valanga di citazioni, rapide spiegazioni, alcuni dettagli minuziosi inframezzati in generiche riepilogazioni. Si dà al lettore l’impressione di avere una cultura vastissima, di aver letto un sacco, di conoscere a menadito ciò di cui si sta parlando. Pertanto le opinioni del Nostro riguardo ciò su cui egli va sproloquiando, siano esse esplicitamente presentate nero su bianco o sottilmente implicite da leggersi tra le righe, appaiono ammantate di una qual certa aura di attendibilità.
Sennonché, la quantità è inversamente proporzionale alla qualità. Come tutti i tuttologi superstar, Odifreddi accenna a un sacco di cose ma non ne approfondisce nessuna. Il livello della sua divulgazione è da estratto del sunto del compendio del bignami: un paragrafo per questo, un paragrafo per quest’altro, due frasi citate in corpo otto, ed ecco esaurita la materia e passiamo al prossimo argomento. Il lettore va abbacinato con l’apparenza enciclopedica, per non farlo accorgere della sostanziale inconsistenza dell’intruglio.
Esempio concreto. Nel terzo capitolo del libello, il Nostro affronta il problema delle diverse interpretazioni teologiche dell’origine del mondo. Quanto credete che ci voglia all’eroico Odifreddi per liquidare la faccenda? Nella mia edizione Einaudi tascabili del 1999, dieci (10) pagine. Ovviamente sono dieci pagine pregne di erudizione: un paragrafo dedicato alla cosmogonia egiziana secondo Eliopoli e Menfi, una citazione dalla Pietra di Shabaka, 4 righe sul mito tebano di Amon, un paio di paragrafi sui miti della Mesopotamia, qualche riga sulla Teogonia di Esiodo… sulla Genesi, mercè l’accanimento critico accordato al cristianesimo, l’autore si dilunga parecchio: addirittura una paginetta e mezzo. A seguire in veloce successione islam, zoroastrismo, miti dell’India, miti dell’America precolombiana, Aristotele e così via.
Orbene, tutta questa carrellata vorrebbe essere funzionale a giustificare quanto Odifreddi dichiara come concetto generale delle cosmogonie religiose (grassetti miei):
Particolarmente significativa è la contrapposizione fra creatore e creatrice, fra Dio Padre e la Grande Madre. Il modello maschile è tipico di società sviluppate e patriarcali, intende la creazione come una eiaculazione, cioè come un’attività esterna, intellettuale o artistica, e produce una divinità trascendente e distaccata, interessata a opere e azioni, tutta dedita a imporre, giudicare e castigare. Il modello femminile è invece tipico di società primitive e matriarcali, descrive la creazione come una gravidanza, cioè come un processo interno, fisico o biologico, e conduce a una divinità immanente e coinvolta, focalizzata sulla vita, e più propensa a chiedere, comprendere e aiutare.
Il passaggio da un genere all’altro è testimoniato dall’evoluzione della parola spirito: da femminile nelle lingue semitiche (ruah), essa divenne neutra in greco (pneuma) e poi maschile in latino (spiritus).
Una volta presa dimestichezza con i caratteri generali a cui abbiamo appena accennato li si potrà facilmente ritrovare negli specifici miti di creazione presenti nelle tradizioni religiose, come una rapida carrellata nello spazio e nel tempo dimostrerà.
Dal che si vede che il Nostro si mette a flirtare con il mito storico, caro alla vulgata new age, della pseudo-età dell’oro di quando le società matriarcali pacificamente adoravano la Grande Madre e poi la pacchia è finita quando si è cominciato ad adorare il Dio Padre e a fare la guerra.
Ebbene: posto che non sono in grado di seguire l’etimologia della parola spirito – salvo che dalla “evoluzione” odifreddiana dovrei forse dedurre che gli ebrei, poiché usavano la parola ruah, adoravano la Grande Madre – io ho dovuto rileggere due volte con attenzione il capitolo per realizzare che poi in concreto Odifreddi della Grande Madre non parla affatto. Per niente. Nell’ammucchiata di cosmogonie buttate lì una dopo l’altra, semplicemente non c’è. Andatela a cercare voi. Questo preteso carattere generale (lo stereotipo “Dio maschio cattivo – Dea femmina buona”), Odifreddi promette che “lo si potrà facilmente ritrovare” negli specifici miti religiosi della creazione, ma poi si guarda bene dal mantenere la promessa.
Ma quanti lettori, sballottati tra egiziani greci ebrei e così via, se ne accorgono?
Insomma, avete capito come si fa? Si accenna una considerazione velenosa sulla religione, e possibilmente sul cristianesimo in particolare; si dà l’impressione di poterla argomentare razionalmente e spiegare storicamente; dopodiché si stordisce il lettore con una carrettata di cultura a poco prezzo, per forza di cose estremamente vaga e generica. Alla fine l’accenno resta soltanto un accenno, poco argomentato e ancor meno provato; il lettore ideale però nel frattempo si è fatto l’idea che Odifreddi ha una cultura immensa, sicuramente sa quello che dice, e magari si è pure dimenticato quello che l’autore gli aveva promesso dieci pagine e venti citazioni fa; e perciò prende per buono tutto quello che gli propina il Nostro, che ha facile gioco a presentarsi come un geniale so-tutto-io.
E così, grazie a questo subdolo modo di scrivere, l’eccellente autore può in relativa sicurezza disseminare la sua opera di madornali fesserie; per esempio, a proposito dell’anima,
il secondo racconto [ndr della Genesi, quello di tradizione iahvista] prosegue dicendo che la donna fu formata da una costola dell’uomo, ma non risulta dal testo se essa abbia un’anima oppure no: ambiguità che fu fonte di spiacevoli conseguenze, tuttora evidenti nella misoginia ebraica e cristiana.
Se Odifreddi avesse cercato meglio nella tradizione ebraica e cristiana, avrebbe forse potuto trovare qualche indizio sull’esistenza dell’anima della donna? Boh, forse sì, ma perché fare la fatica di cercare?
Oppure, nel capitolo “Paradossi”,
Uno degli insegnamenti più profondi e duraturi che il cristianesimo ha lasciato in eredità al mondo moderno è infatti proprio la concezione dell’irrazionalismo come superiore verità, invece che come vergogna: insegnamento di cui si sono poi appropriati quei sistemi filosofici e politici che hanno condotto il mondo contemporaneo all’assurdo e al paradossale.
Ed ecco due millenni di riflessioni sul logos e settecento anni di tomismo buttati nel gabinetto; e se abbiamo avuto l’irrazionalismo ottocentesco, con tutto quel che ne è seguito in termini di fascismo e nazismo, di chi è la colpa?
Il primo apparire del paradosso nella storia è la nascita del diavolo da Dio, cioè del male dal bene. Agli inizi Dio è solo, un’unità indivisa, ma nel momento in cui decide di guardare se stesso egli si sdoppia, diventando automaticamente osservatore e osservato, e crea così una scissione. E in greco “scissione” si dice appunto diabolh, un termine il cui contrario è sumbolh, la “riunione”: per questo Dio parla per simboli, e il diavolo per contrapposizioni.
Qualcuno sa da quale tradizione religiosa Odifreddi ha tirato fuori questa cosa di Dio che crea il diavolo guardandosi allo specchio e scindendo sé stesso?
E non vi perdete questa perla, a proposito dei paradossi del doppio vincolo (cfr post n.2):
Si noti comunque che comportamenti di tipo schizofrenico sono possibili anche nella vita quotidiana non patologica, in reazione a doppi vincoli isolati […] Una volta presane coscienza, i doppi vincoli si scoprono negli aspetti più svariati dell’attività umana. [ndr seguono esempi] La sessualità: si desidera che la propria partner eterosessuale sia “santa di giorno e puttana di notte”, o che il proprio partner omosessuale sia “un vero uomo”.
Insomma, per il Nostro è schizofrenico ritenere l’omosessuale un vero uomo: qualcuno allerti Grillini!
E ancora: nel capitolo “Giochi matematici”, dissertando sulla scommessa di Pascal e la teoria dei giochi:
Il ragionamento di Dio è il seguente. La cosa migliore è che l’uomo creda, meglio senza rivelazione, ma se necessario attraverso essa: infatti, “beati sono coloro che non hanno visto e hanno creduto (Giovanni, XX, 29), ma “se non vedete segni e prodigi, voi non credete” (IV, 48). Se però l’uomo sceglie di non credere, la cosa migliore è che lo faccia in mancanza di rivelazione, perché sarebbe la sua rovina se egli rifiutasse di credere anche di fronte alla rivelazione: “Chi non crederà sarà condannato” (Marco, XVI, 16).
Il ragionamento dell’uomo si può invece riassumere nel seguente modo. La cosa migliore è che Dio si riveli e l’uomo creda, la cosa peggiore che Dio si riveli e l’uomo non creda. Il problema sta dunque nel decidere che cosa fare nel caso che Dio non si riveli, e Pascal suggerisce appunto che sia meglio credere.
La teoria dei giochi considera un’opzione irrinunciabile (in termini tecnici, dominante) per un giocatore, se essa è preferita qualunque sia il comportamento dell’avversario: non seguirla sarebbe irrazionale, visto che la si preferisce in ogni caso. Non rivelarsi è irrinunciabile per Dio: se l’uomo crede avrà più merito e se non crede avrà meno demerito.
Qui parrebbe addirittura che Odifreddi sia sul punto di rendere un buon servizio al cristianesimo, fornendo un aggancio matematico per il Deus Absconditus, per il “c’è abbastanza luce per chi vuole credere e abbastanza buio per chi non vuole credere” di Pascal (che però si guarda bene dal citare).
Sennonché, forse preoccupato da tale orribile eventualità, ecco che subito dopo il Nostro aggiunge che
Un Dio razionale che abbia le preferenze che abbiamo appena descritto non deve allora rivelarsi: poiché tali preferenze sono state dedotte dal Vangelo [ndr con delle deduzioni inconfutabili!], il suo protagonista non può essere un Dio razionale, e dunque Cristo o non è Dio, o non è razionale. Entrambe le alternative sembrano possibili: da un lato, egli stesso non ha mai affermato direttamente di essere Dio, ma solo di esserne il figlio (cosa che, ci dicono, dovremmo essere tutti); dall’altro lato, la teologia irrazionale è appunto una variazione sul tema dell’irrazionalità del cristianesimo.
E così, al modico prezzo di qualche svarione esegetico, il rischio di parlar bene del cristianesimo è sventato. E per quanto riguarda Pascal,
Credere è invece irrinunciabile per l’uomo, se si accetta la posizione di Pascal: se Dio si rivela è impossibile non credere, e se non si rivela si rischia a meno di credere. Ma la posizione di Pascal non è l’unica possibile, visto che persino un apostolo, Tommaso, preferiva quella contraria: “non ci credo se non ci metto il dito” (Giovanni, XX, 25). Nel caso di Tommaso, credere non è irrinunciabile per l’uomo, perché nel caso che Dio non si riveli è meglio non credere. E neppure non credere è irrinunciabile, perché nel caso che Dio si riveli è meglio credere. Non ci sono allora comportamenti irrinunciabili per l’uomo, in questo caso. La scommessa di Pascal si è rivelata dunque un cinico bluff teologico.
Dal che si evince che Odifreddi pensa, o quantomeno vuol far pensare al lettore, che l’apostolo Tommaso fosse un ateo totale, che si rifiutava di credere non già alla resurrezione di Cristo e soltanto in quel suo limitato momento di debolezza, ma proprio al concetto stesso dell’esistenza di Dio. Ogni commento è superfluo.
Giunto alla fine, nell’ultimo capitolo “opzioni per il terzo millennio”, il Nostro tira le somme: dopo aver stabilito una volta per tutte, per esempio, che la creazione e la fine dell’universo cosmologicamente parlando sono solo possibilità e non necessità, o che il fallimento delle prove dell’esistenza di Dio dimostra che non solo non è razionale credere in Dio ma che è razionale non credervi… insomma, dopo aver brillantemente risolto i grandi problemi su cui l’umanità si affanna da millenni, Odifreddi potrebbe anche tirare un sospiro di sollievo e considerare l’opera terminata.
E invece purtroppo no, perché restano ancora i cretini che non ragionano:
In questo capitolo finale aggiungeremo alcune considerazioni generali sulle opzioni che si presentano a coloro che, nonostante ogni mancanza di evidenza, intendono perseverare sulla via della fede. Fermo restando, però, che sarebbe problematico ammettere nel mondo moderno occidentale, anche solo come provvisoria ipotesi assurda, la credenza nella religione cattolica, che è messa in discussione da due sue caratteristiche.
E quali sono?
La prima, generica, è il dogmatismo su cui si fonda, che la rende incompatibile con la concezione della dignità umana conquistata politicamente attraverso le rivoluzioni inglese, americana, francese e russa, e teorizzata filosoficamente da illuminismo, romanticismo, marxismo ed esistenzialismo.
Anzitutto notare il mirabile tempismo del Nostro che nel 1999, dieci anni dopo la caduta del Muro, con la massima tranquillità e glissando su qualche milione di cadaveri ci ricorda la dignità umana conquistata dalla rivoluzione russa. Ma soprattutto il problema è: Odifreddi, che critica il dogmatismo cattolico, sa cos’è il dogmatismo? Che intende lui per dogmatismo?
La seconda, specifica, è l’elenco dei dogmi che determinano la fede cattolica: [ndr segue un elenco di alcuni dogmi]. Come si possono infatti credere affermazioni che non si possono capire? E come si può capire, ad esempio, quello che Jung definì “lo scandalo del dogma mariano”, e cioè l’affermazione che il corpo della Madonna è stato assunto in cielo? Per quanto siamo in grado di capire, nessun “corpo” può viaggiare più velocemente della luce: dovremmo forse pensare che la Madonna sia al più a 1950 [ndr perché proprio 1950? Perché non di meno e non di più? Forse perché il dogma è stato dichiarato nel 1950?] anni-luce da noi, dedurre che il “cielo” sta da qualche parte nella nostra galassia, e provare a localizzarlo con il telescopio?
E qui raggiungiamo veramente lo zenit della presunzione e il nadir del trash intellettuale. Abbiamo trovato l’immagine ideale con cui chiudere questa modesta disamina del capolavoro odifreddiano. Galileo con il suo cannocchiale si accontentava modestamente di capire come vadano i cieli; ma il Nostro, che è allo stesso livello di Galileo se non oltre (ed è anche lui un perseguitato), invece col telescopio vuole capire proprio come si vada in cielo. Immaginiamolo dunque a scrutare in lungo e in largo l’universo, e a risultati assenti scuotere la testa e trarre le debite somme. Lui non è in grado di capire come possa un corpo viaggiare più veloce della luce, perciò nessun corpo può viaggiare più velocemente della luce; lui non vede il paradiso nella nostra galassia, perciò il paradiso non esiste. E certo.
Questo, proprio questo, è il grand’uomo che si batte contro il dogmatismo.
Insomma, avete afferrato l’assioma di fondo su cui Odifreddi basa la Sua magniloquente attività intellettiva? Tutto ciò che Lui non è grado di capire o di vedere, non esiste. Ovvio. Il Suo intelletto penetra tutto ciò che è, che è stato e che sarà; la Sua incomparabile cultura abbraccia e comprende tutti i campi dello scibile in cui l’umanità si sia mai cimentata, dalla matematica alla patristica, dalla logica formale alla storia universale, dalla filosofia alla filologia, dalla fisica all’esegesi comparata. Se qualcosa esiste, è tautologia dire che Lui può individuarla, dedurla, analizzarla, intenderla approfonditamente e spiegarla decentemente nello spazio di qualche paragrafo. Sì, Lui può.
Piergiorgio Odifreddi: Yes I Can.
2 giugno 2009 at 09:05
In particolare rispetto alla contrapposizione creatrice/Creatore non capisco perché i vari progressisti non applichino anche qui il concetto di progreso quando è evidente che quella di un Creatore maschio-padre fu una delle più eccezionali scoperte (o Rivelazione, se si preferisce) della storia dell’umanità e il fatto che prima non c’era e dopo c’è ne fa un evidente progresso di civiltà. E’ evidente del resto che chi se la spassa con la dea madre abita in tribù, chi con un Dio-unico-padre-creatore è di fatto divenuto l’archetipo di umana civiltà.
Comunque grazie e alla prossima 🙂
Stefano
2 giugno 2009 at 17:41
Perchè i progressisti di questo tipo… non capiscono un tubo di progresso, tant’è che spesso non si accorgono che ciò che chiamano “progresso” sono errori molto antichi che erano stati corretti molto tempo fa!
Sul paradigma Dio Padre cattivo / Grande Madre buona, tieni presente che spesso è usato da chi (come Odifreddi) in realtà non ci crede affatto, ma se ne se serve solo allo scopo di tirare una frecciata velenosa contro la religione del Dio Padre per eccellenza, ovvero il cristianesimo. Ricordo di aver letto questo paradigma anche nel Codice Da Vinci (ed è tutto dire).
Insomma si esalta il lontano per attaccare il vicino.
Specifico che io non escludo l’esistenza di remote civiltà primitive incentrate sul matriarcato e sulla religione femminina, è un discorso archeologico/antropologico su cui non ho competenze, quello che è ridicolo è che ci si presentino tali civiltà come mitiche età dell’oro in cui la società era meno violenta di adesso, una specie di paradiso perduto. Nessun antropologo serio farebbe discorsi del genere (infatti Odifreddi è… Odifreddi).
2 giugno 2009 at 18:02
Segnalo che è possibile leggere il libercolo qui. Non ho capito se è legale o meno, ma chi volesse verificare di suo le bassezze raggiunte dall’autore…
2 giugno 2009 at 18:02
Segnalo che è possibile leggere il libercolo qui. Non ho capito se è legale o meno, ma chi volesse verificare di suo le bassezze raggiunte dall’autore…
3 giugno 2009 at 17:22
Ti ho mandato un pvt su Splinder!
3 giugno 2009 at 18:57
Sono fiero di non averlo letto quel libro.
Almeno ci si fa un’idea di cosa sia l’ottusità ateista.
Leggendo il tuo post ho capito che certi atei sono veramente veloci nel liquidare con supponenza argomenti più grandi di loro.
4 giugno 2009 at 08:42
La tecnica dell’affastellamento per far sembrare che chissà quale grande pensiero è stato detto è tipica della (de)mente rivolzionaria e Olavo la chiama “pseudo-coscienza”.
Mia nonna la chiamava “aprire la bocca per dargli fiato” ma il concetto è lo stesso: quando le parole sono slegate dalla verità non diventano altro che una…pernacchia!
Buona giornata
L’oste
4 giugno 2009 at 12:23
Finalmente ti sei deciso a dar seguito a tale progetto, bravo. Lo segnalo subito ad alcuni miei amici a cui segnalai a suo tempo i primi due post.
4 giugno 2009 at 15:30
Microcorrezione: il muro è caduto nel 1989, non nel 1999.
Marco
5 giugno 2009 at 07:48
Vorrei segnalarti che su Rai radio2, alle 8 della sera, per tutto il mese, Odifreddi parla di Darwin. Questa sera, per esempio, l’argomento è: le convinzioni religiose di Darwin. Nelle prossime settimane verranno trattate le principali opere, tra cui “L’origine delle specie” e “L’origine dell’uomo”.
5 giugno 2009 at 10:34
#5
Non ho capito se intendevi dire “sono fiero di averlo letto” oppure il “non” era proprio intenzionale…
La parola chiave è supponenza. La colpa di Odifreddi non è l’ateismo conclamato, ma la supponenza con cui liquida in quattro parole argomenti che palesemente non conosce e dà del cretino al credente.
#6
Una pernacchia li seppellirà.
#7
Grazie.
#8
E io che ho detto?
#9
Argh. Grazie della segnalazione ma passo la mano. L’onnipresente Odifreddi, che poi si lamenta di essere censurato dal potere clericale (almeno non fa gli scioperi della fame), riesco a reggerlo solo a piccole dosi.
5 giugno 2009 at 21:33
a me odifreddi non piace, fra l’altro, perchè proprio perchè mette il naso in cose che non gli pertengono, come ateo.
io mi accontento – sempre – di soffermarmi sulla teodicea. come già scritto più volte, trovo inconcepibile un Dio perfettamente buono e perfettamente onnipotente, che ha generato il male o che non è riuscito a impedirne la generazione.
5 giugno 2009 at 23:20
per Cinas:
“È difficile da capire perché in chiesa ci hanno abituato all’idea dell’onnipotenza di Dio, ma quello dei cristiani è in realtà un Dio impotente che per venirci a dire che poi ci sarà la resurrezione, ha affrontato il dolore, dato che non aveva altre strade.
Un Dio impotente contro il dolore terreno, ma che almeno sa di che si sta parlando. Il fatto che Cristo sia uno sconfitto, fa sì che tutti gli sconfitti diventino automaticamente Cristo: i morti del terremoto, i bambini ebrei in mano a Menghele, Giordano Bruno sul rogo, i cristiani attuali che vivono in Cina o nei paesi islamici, mentre chiunque trionfi su un altro, papi del rinascimento inclusi, esce automaticamente dalla sua chiesa.”
Dal blog di Silvana De Mari
Ciao Cinas
6 giugno 2009 at 17:25
#11
Anche io. Infatti Dio non è nè “perfettamente buono” nè “perfettamente onnipotente”, perlomeno nel significato che tu dai a queste parole.
6 giugno 2009 at 17:54
alessandro e claudio, sono molto sorpreso.
in due secondi, leggo l’inizio del Catechismo della Chiesa Cattolica: “Dio, infinitamente perfetto e beato in se stesso, ”
e il Credo non inizia “credo in dio padre Onnipotente … ”
per carità, eh, siete liberi di credere in un Dio nè “perfettamente buono” nè “perfettamente onnipotente”, e non sono afari miei ma a me sembra un po’, come dire, blasfemo.
6 giugno 2009 at 18:00
“Sì, in un certo senso lo si può dire: di fronte alla libertà umana Dio ha voluto rendersi impotente. E si può dire che Dio stia pagando per il grande dono concesso a un essere da lui creato a sua immagine e somiglianza”
Giovanni Paolo II (Varcare le soglie della speranza).
Se t’interessa molto, avevo affrontato l’argomento onnipotenza/impotenza qui.
6 giugno 2009 at 18:00
“Sì, in un certo senso lo si può dire: di fronte alla libertà umana Dio ha voluto rendersi impotente. E si può dire che Dio stia pagando per il grande dono concesso a un essere da lui creato a sua immagine e somiglianza”
Giovanni Paolo II (Varcare le soglie della speranza).
Se t’interessa molto, avevo affrontato l’argomento onnipotenza/impotenza qui.
6 giugno 2009 at 18:16
Posso capire la tua sorpresa Cinas.
Ma i Cristiani non sono una massa di irregimentati. Partono dai precetti della Chiesa e poi pensano, ragionano, si interrogano.
Ragionare su queste cose e’ si blasfemo, ma per gli Islamici.
No di certo per i Cristiani.
Poi, se tu in buona fede pensi che la cosa giusta da fare sia quella di prendere due frasi dal catechismo e dal Credo per ribattere a quanto ti viene detto (#12 e #15), invece di meditarci su, fai pure. Limitati pure.
Da parte mia, ti assegno volentieri la vittoria dialettica.
Saluti.
6 giugno 2009 at 19:12
Non capisco dove stia la contraddizione: onnipotenza significa letteralmente “poter fare tutto”, anche creare un mondo dove bene e male, luce ed ombra, gioia e dolore coesistono, lasciando così a chi vi vive consapevolmente la terribile ma allo stesso straordinaria possibilità (e responsabilità) di orientarsi verso l’uno o l’altro lato delle dicotomie e di accettare quindi o meno una via di redenzione sempre possibile.
In ogni caso penso che come condizione di possibilità per un discorso sensato su Dio ci debba essere la consapevolezza che la nostra comprensione delle cose è inevitabilmente limitata e non necessariamente il mondo ideale che abbiamo in testa sarebbe migliore di questo. Senza l’umiltà (a mio parere ragionevole) di ammettere che il Mistero dell’esistenza ci sovrasta direi ontologicamente le obiezioni prevarranno sempre su qualsiasi tentativo di teodicea.
Enrico
6 giugno 2009 at 19:39
Enrico, penso che il dubbio di cinas sia riferito al dolore degli innocenti, non a chi sceglie consapevolmente il male.
Sono d’accordo con te che comunque l’umilta’ e’ un prerequisito. Il buon Cinas non me ne vorra’, ma non mi pare che lui brilli per questa virtu’ (nemmeno io).
6 giugno 2009 at 21:08
no, attenzione, alessandro. io penso onestamente che sia implicito nel cristianesimo 1) l’onnipotenza di Dio (e il Credo più che una preghiera è un’orgogliosa affermazione di fede, credo) 2) e l’assoluta bontà di Dio.
almeno, per quello che ho studiato e per le risposte che numerosi sacerdoti mi hanno dato nel tempo.
l’umiltà cui fate riferimento discende dal credere in Dio, non può essere precedente. almeno, dal punto vista logico, che è l’unica limitata arma di cui dispongo.
Chi ha la fede, si muove in un contesto totalmente differente, credo.
7 giugno 2009 at 11:53
Alessandro, nelle mie dicotomie mi riferivo ovviamente non solo al bene ed al male come frutto delle decisioni dell’uomo ma in senso più generale come elementi costitutivi di questo mondo e condizioni di possibilità per l’esercizio della libertà.
Quanto a Cinas, leggendo Giobbe ed Isaia e poi il Nuovo Testamento emerge un Dio che è detto sì onnipotente e perfettamente buono ma secondo vie che non sempre sono quelle dell’uomo. Capisco benissimo che se ci si mette su un terreno di pura logica empirico/formale (come mi sembra fai tu), tutto ciò possa sembrare assurdo o comunque non meritevole di fiducia.
Ma la logica per operare deve avere delle premesse, dei postulati ed è sulla scelta di questi postulati che poi si basa la possibilità di un’opzione di fede. Si può ritenere che la propria ragione empirico/formale sia in grado di esaurire la realtà oppure pensare che vi siano anche cose che inevitabilmente la sorpassano. Nel primo caso qualsiasi ipotesi di fede in un trascendente sarà per definizione assurda, nel secondo la questione è aperta. Considerando come atteggiamento umile quello corrispondente alla seconda delle 2 opzioni elencate, si può dire che l’umiltà precede il credere in Dio. Era questo il senso che intendevo dare alla parola nel mio precedente intervento.
Enrico
7 giugno 2009 at 22:39
enrico, sono perfettamente d’accordo. il fatto è che nella seconda ipotesi tutto è alla pari. Cristo e i satanisti, la qualsiasi e la qualunque.
tanto la logica la superiamo.
8 giugno 2009 at 15:15
Hai ragione, devo correggere la mia microcorrezione al #8: è che avevo associato la data 1999 alla caduta del Muro. La prossima volta leggo meno velocemente
Marco
8 giugno 2009 at 15:32
#16
Ma i Cristiani non sono una massa di irregimentati. Partono dai precetti della Chiesa e poi pensano, ragionano, si interrogano.
Di qui tante e poi tante idee diverse…
Cattolicità è bello 🙂
9 giugno 2009 at 06:14
Enrico, grazie per i contributi molto interessanti.
Cinas, e ci può anche stare che la logica opera un level playing field. La verità di Cristo non la proviamo con le asserzioni modali, ma con la nostra esperienza di vita.
9 giugno 2009 at 23:12
Beh Cinas, non ho detto che si supera la logica ma che cambiano le premesse sulle quali essa lavora. E queste premesse dovranno essere comunque le più ragionevoli possibile, solamente con un’apertura al trascendente.
Ritenere ragionevole che la realtà vada in qualche modo oltre la nostra ragione (intesa nel senso “limitato” dei razionalisti) è la premessa base per aprirsi al trascendente ma ciò non significa necessariamente smettere di ragionare. Certo se non c’è questa premessa Babbo Natale, Giove o qualunque altra divinità risulteranno ugualmente assurde. Ma appunto perchè, come mi sembra fai tu, non esce da una ragione empirico/formale. Capisco benissimo che da un punto di vista strettamente logico si starebbe molto meglio limitandosi ad analizzare ciò che possiamo vedere e toccare ed a sviluppare ragionamenti il più possibile coerenti su questi dati. Ma a fare questo ci hanno già provato una novantina di anni fa menti ben migliori delle nostre nel cosiddetto “Circolo di Vienna”. Le riflessioni di Wittgenstein ed i teoremi di incompletezza di Godel hanno in qualche modo dimostrato l’impossibilità di costruire una visione perfettamente coerente ed autofondante del mondo se ci si mette entro questi stretti limiti. Con questo non voglio dire che l’apertura al trascendente sia d’obbligo ma solamente che essa di principio non ha minor dignità di una chiusura perchè in ogni caso qualsiasi ragionamento dovrà poggiare su un sistema di asserzioni non coerenti in modo autoreferenziale e dovrà confrontarsi con un mondo che per la complessità che lo contraddistingue si presenta spesso intrattabile da un punto di vista meramente matematico se non a costo di grossolane semplificazioni.
9 giugno 2009 at 23:22
Tutto quanto ho detto nel mio precedente intervento era riferito in qualche modo a quelle che possono essere le premesse filosofiche (esplicite od implicite) del ragionare e prescindeva totalmente dal discorso della fede in Cristo. La quale, come dice giustamente Claudio, si colloca su un altro livello e, fortunatamente non su quello delle asserzioni modali (come a mio parere è ragionevolmente giusto per un Dio che si preoccupa di raggiungere tutti, con una preferenza per i più deboli e, perchè no, per i meno sapienti).
Enrico
Enrico
10 giugno 2009 at 12:27
Considerazioni notevoli Enrico, grazie.
10 giugno 2009 at 13:30
Io ho visto però che c’è anche molto un non voler per nulla capire il senso di quello che scrive. Secondo me questo “antiodifreddismo” riesce a renderlo simpatico :p
10 giugno 2009 at 14:30
?
Ti assicuro che ho provato sul serio a capire quello che dice. Le citazioni dal testo sono lì a dimostrarlo. Puoi fare esempi concreti?
10 giugno 2009 at 17:43
PGO afferma che secondo Pascal l’irrazionale diventa la scelta più saggia e diventa quindi irrinunciabile credere; ma il bluff sta che se uno non crede fino a che non ha le prove è più avvantaggiato, come san Tommaso perché contraddicendosi Pascal afferma che a Dio conviene non rivelarsi. Quando, come dici te PGO omette “c’è abbastanza luce per chi vuole credere e abbastanza buio per chi non vuole credere” è perché era fuori dal contesto (verrò lapidato per quest’affermazione) semplicemente perché doveva provare un’altra cosa, la sua tesi volgeva nello smontare un principio di scommessa che in sostanza non funziona ma non nel confutare per intero la vita di studi di Pascal.
Tu dici:
poiché tali preferenze sono state dedotte dal Vangelo [ndr con delle deduzioni inconfutabili!]
Ok, non sono inconfutabili, confutamele: è più pio colui che crede in assenza di rivelazione, viene elogiato l’irrazionalismo (irrazionalismo inteso come fede che va per forza di cose oltre il razionale).
Anzitutto notare il mirabile tempismo del Nostro che nel 1999, dieci anni dopo la caduta del Muro, con la massima tranquillità e glissando su qualche milione di cadaveri ci ricorda la dignità umana conquistata dalla rivoluzione russa.
Nonostante sia stato ampiamente dimostrato che il comunismo abbia fallito, portando solo ad atrocità, ma è stato superato da ben altri valori (per altro gli stessi ma sotto altra forma) inquadriamo storicamente la rivoluzione russa: è stata esclusivamente un beneficio in positivo rispetto a molte altre realtà contemporanee di allora, tra cui l’italia ancora monarchica.
In sostanza nonostante venga demonizzata come la peggiore delle atrocità questo particolare evento sarebbe stato un ottimo trampolino alla democrazia, ma ciò non accadde.
Lui non è in grado di capire come possa un corpo viaggiare più veloce della luce, perciò nessun corpo può viaggiare più velocemente della luce; lui non vede il paradiso nella nostra galassia, perciò il paradiso non esiste. E certo.
Questa deduzione è fatta al contrario: dato che il paradiso dovrebbe esistere, dato che la Madonna è stata assunta in cielo e dato che, per quanto ne sappiamo, c’è un limite alla possibilità di spostamento, perché non cercarlo? Non che non esiste, o che nn ci si possa spostare + veloci della luce (che per inciso a me sembra una buffonata esista un limite così ridicolo in un universo infinito, eppure è quello che ora abbiamo postulato, un giorno arriverà la smentita, attendiamo).
Perché 1950? Perché il dogma dell’assunzione in cielo è del 1950 fatto da Papa Pio XII
Angel0fLogout
20 giugno 2009 at 08:52
Oilà. Scusate il ritardo.
Pascal non dice che a Dio conviene non rivelarsi, è PGO che lo riassume così perchè vuole fargli fare la figura del cretino e a questo fine è strumentale l’omissione di quella frase. Pascal dice proprio che Dio non si rivela in tutto il suo essere per non distruggere la libertà umana, e perciò ha preferito rivelarsi in un modo non invasivo. Il punto è che PGO ha interesse a porre un’alternativa secca e forzata, o Dio si manifesta visibilmente per sempre in ogni luogo a chiunque o Dio non si manifesta mai a nessuno. Le citazioni che PGO trae dal vangelo per supportare la sua “deduzione di preferenze” sono strumentali e mirate apposta per costruire un Dio completamente alieno alla rivelazione, ovvero un Dio che fa finta di non esistere e perciò non interviene in alcun modo nelle vicende umane, insomma un Dio molto comodo all’ateismo di PGO. Odifreddi non cita, chessò, “Egli venne come testimone per rendere testimonianza alla luce, perché tutti credessero per mezzo di lui” (Gv 1, 7). Come mai? Forse perchè smentiva completamente la sua deduzione testuale?
Della rivoluzione russa e dei motivi per cui non avrebbe mai potuto portare alla democrazia se ne potrebbe discutere a lungo. Ciò che è interessante di quel paragrafo è ancora una volta la tecnica odifreddiana dell’accumulare stralci culturali a poco prezzo, approssimativi e raffazzonati, per dare addosso al cristianesimo, facendo uso di tanti luoghi comuni i quali sono dati per scontati dal lettore ideale: praticamente dei dogmi.
Il paradiso nella galassia… santo cielo, ma è mai possibile che a Odifreddi non venga in mente la possibilità che il paradiso esista in una conformazione che lo renda irrintracciabile dai nostri strumenti percettivi? PGO ha mai sentito parlare, chessò, della materia oscura?
20 giugno 2009 at 13:02
AngelofDeath il problema è che lo stesso PGO sembra non voler per nulla capire il senso di tutto ciò che riguarda il cristianesimo (ma in più generale di tutto ciò che non coincide con il suo personale punto di vista, basti pensare alle sue uscite in campo politico).
Le sue osservazioni ed i suoi ragionamenti, talvolta divertenti, si situano ad un livello talmente banale ed infantile da non andare mai oltre il “cazzeggio” intellettuale. Onestamente, l’applicare la teoria dei giochi (che funziona a malapena – e a costo di diverse forzature rispetto alla realtà – quando si tratta di spiegare il comportamento economico o strategico di soggetti che si relazionano tra di loro) alla rivelazione, perlopiù nel modo in cui lo fa PGO (ossia prendendo solo ciò che gli fa comodo, mettendo in bocca a Pascal cose che il pensatore francese non ha mai voluto dire ecc.), la definiresti un’operazione intellettualmente rilevante? Te lo chiedo sinceramente perchè, lo ripeto, fatico a capire come si possano considerare simili ragionamenti come un qualcosa di più di un semplice “divertissment”.
In ogni caso personalmente concorderei con te nel trovare simpatico PGO: il suo argomentare è indubbiamente divertente e brioso. Il problema è che mentre discetta in modo allegro su argomenti di cui dà l’impressione di sapere gran poco, sembra prendersi effettivamente sul serio. E questo può ingannare il lettore sprovveduto che potrebbe pensare che le cose stiano davvero come PGO le descrive. E’ per questo motivo che trovo l’argomentare di PGO al limite del disonesto, perchè cazzeggiare è senz’altro consentito e divertente ma spacciare il cazzeggio per riflessione dotta e seria non mi pare per nulla corretto.
Enrico
2 luglio 2009 at 20:07
Ho letto “Il matematico impertinente” (anche grazie a te aggiungo) e devo ammettere la mia enorme superficilità con cui ho risposto al tuo topic, avendo solo conosciuto PGO solo intervistato da cretini, e quindi per contrasto più intelligente, cosa che lo è, ma di per se insignificante, mi spiego: nonostante sia un ottimo logico (materia della quale ho la stessa stima che per le armi da fuoco) è effettivamente un pallone gonfiato incapace di esprimersi dignotosamente. Le sue tesi nonostante la validità e delle argomentazioni discutibili, come tante altre tesi consorelle con altrettante validità annesse, sono espresse con l’eleganza e l’utilità di un righello seghettato. E rileggendo il tuo post non posso che darti ragione sul suo modo di esporre, una cosa che ti ho negato la prima volta per una lettura superfeciale e prevenuta di un testo che davo per presupposto.
“Della rivoluzione russa e dei motivi per cui non avrebbe mai potuto portare alla democrazia se ne potrebbe discutere a lungo. Ciò che è interessante di quel paragrafo è ancora una volta la tecnica odifreddiana dell’accumulare stralci culturali a poco prezzo, approssimativi e raffazzonati, per dare addosso al cristianesimo, facendo uso di tanti luoghi comuni i quali sono dati per scontati dal lettore ideale: praticamente dei dogmi.”
Hai ragione, ma per me comunismo e cristianesimo sono la stessa medesima cosa quindi non lo vedi come un complimento. Brivido.
3 luglio 2009 at 18:36
Sono impressionato dall’onestà intellettuale che hai dimostrato, Angel. Chapeau.
9 luglio 2009 at 21:46
Questa sera, per esempio, l’argomento è: le convinzioni religiose di Darwin.
Quali? Se non ricordo male Darwin, dall’autobiografia, diventa deliberatemente non credente sin da prima del grosso della sua ricerca. Anzi, buona parte della motivazione nella ricerca mi pare di ricordare gli venisse proprio da questa “ribellione” ad una idea circoscritta di Dio che si era formato.
Claudio, per me il problema di Odifreddi non è affatto l’ateismo. Un ateismo serio non produce riflessioni spesso senza senso come le sue. Mi sbaglio?
9 luglio 2009 at 22:50
Qualunque cosa sostenga Odifreddi, mi pare lo faccia con la solita superficialità con cui oggi troppi pretesi intellettuali cercano di offrire spiegazioni a se stessi e purtroppo anche agli altri. Al momento, non mi risulta che ci possano essere certezze né sull’esistenza né sull’inesistenza di una divinità creatrice. Per avere certezze dovremmo percepire e studiare tutti i fenomeni possibili; ma poiché i fenomeni potrebbero essere infiniti, questo è manifestamente impossibile. Allora perché affannarsi a dimostrare che Dio non esiste? Ha un senso?
10 luglio 2009 at 05:37
#35
Da quel che ho letto Darwin era sostanzialmente agnostico ma mai irrispettoso verso la religione, anche perchè sua moglie era fervidamente cristiana. In alcuni punti dell’Origine della specie, o dell’uomo, lasciava trasparire la possibilità che l’evoluzionismo fosse stato deliberatamente voluto da una possibile potenza creatrice, se poi lo scrivesse perchè ci credesse davvero o perchè non voleva guastarsi troppo con i preti non è dato saperlo.
In effetti c’è una distanza considerevole dal darwinismo di Darwin e dalla vulgata darwinistica tuttora diffusa, che si basa piuttosto sull’intepretazione dell’evoluzionismo come pura casualità fatta dall’ingannevole Jacques Monod, nonchè dalle cavolate scritte da Odifreddi e affini.
#36 e 36
E sì il problema di PGO non è che è ateo, è che è proprio antiteista, cioè proprio odia l’idea di Dio e che ci sia gente che crede in Dio, particolarmente il cristianesimo e il cattolicesimo. Per cui usa quasi qualunque mezzo per screditare Dio, Cristo, la Chiesa. Compresa la menzogna deliberata.
#36
Un grado di certezza sull’esistenza di Qualcosa può essere raggiunto anche con un’osservazione approssimativa dell’universo.
Il salto da questo imprecisato Qualcosa al Dio personale trinitario cristiano resta invece affidato alla fede (intesa come fede ragionata e non come fideismo puro).
10 luglio 2009 at 09:36
Segnalo:
Di Antony Flew, “There is a God : How the world most notorious atheist changed his mind”
Altro che PGO!
10 luglio 2009 at 11:15
Povero Jacques Monod! Scrive un libro in cui già il titolo recita “Il caso e la necessità“, e salta fuori lo stesso qualcuno che (chiaramente senza aver letto il libro) gli affibbia un’interpretazione dell’evoluzionismo “come pura casualità”… Che triste destino!
Amedeo
10 luglio 2009 at 15:02
@Claudio: in realtà Darwin non è “irrispettoso”, ma odia una recezione intellettuale del dogma che gli ripugna. Penso che ogni credente (tra i più, oggi che si cresce senza esempi d’amore sotto gli occhi) abbia sperimentato in diversi gradi fenomeni analoghi, prima di maturare nella fede.
Appena ho un attimo ti trascrivo il passo che ti dicevo dall’autobiografia, è molto significativo (considerato anche che appunto la moglie non ne volle la pubblicazione nelle prime edizioni).
Allora perché affannarsi a dimostrare che Dio non esiste? Ha un senso?
Ha un senso in quanto perché evidentemente Odifreddi ha almeno capito che la fede non è un fenomeno dipendente da comprensione intellettuale. Che per lui resti una minaccia dimostra che non ha ancora affrontato il problema reale, offerto a noi dall’incarnazione.
11 luglio 2009 at 09:28
#39
Ahia: faccio atto di contrizione per aver riassunto sbrigativamente e troppo approssimativamente il libro di Monod (che peraltro ho davvero letto, mentre scrivo ho qui vicino la mia copia, per dimostrarlo posso sottopormi a quiz del tipo “dimmi la 3 parola del 5 paragrafo del 2 capitolo” etc. XD)
Tu però non farti fuorviare da quel titolo, Amedeo. Perchè la necessità di cui parla Monod è una necessità puramente materiale, meccanica, di secondo grado, derivata dal caso. Le mutazioni genetiche (e la stessa esistenza della biosfera) sono eventi puramente accidentali e contingenti, che poi si perpetuano nelle generazioni con invarianza riproduttiva fino alla prossima mutazione accidentale, e si scontrano nell’arena della selezione naturale. Al livello filosofico, per Monod, c’è solo e nient’altro che il caso, e bisogna distruggere definitivamente “l’antica alleanza”, l’illusione che l’uomo sia qualcosa di più che una combinazione fortuita di geni. L’uomo finalmente sa di essere solo nell’immensità indifferente dell’Universo da cui è emerso per caso. Il suo dovere, come il suo destino, non è scritto in nessun luogo. Difficile equivocare sul tenore di queste parole.
#40
Leggerò con piacere quel passo di cui parli, piccic.
Il problema è che per Odifreddi la fede è un fenomeno dipendente dalla stupidità.
11 luglio 2009 at 10:06
Ok. Come sai, ci sono in giro parecchi creazionisti che si foggiano una teoria dell’evoluzione immaginaria (“tutto è caso”, appunto) per poterla attaccare più facilmente. Il ruolo della necessità – sia pure di una necessità “di secondo grado” – è invece essenziale, come spiega bene Monod:
“Ancora oggi molte persone d’ingegno non riescono ad accettare e neppure a comprendere come la selezione, da sola, abbia potuto trarre da una fonte di rumore tutte le musiche della biosfera. In effetti, la selezione agisce sui prodotti del caso e non può alimentarsi altrimenti; essa opera però in un campo di necessità rigorose da cui il caso è bandito.
Da queste necessità, e non dal caso, l’evoluzione ha tratto i suoi orientamenti generalmente ascendenti, le sue successive conquiste, il dipanarsi ordinato di cui offre apparentemente l’immagine”.
Una cosa che non ho mai capito, per inciso, è come i teisti non riescano a conciliare questa visione con la loro idea di Dio. Avere bisogno di una legge ferrea che spieghi ogni mutazione non implica porre irrimediabilmente Dio all’interno del flusso temporale? Un dio che progetta, decreta tramite una legge di natura, osserva il risultato finale, è un dio temporale; un dio al di fuori del tempo può ben volere e creare un continuum al cui interno i rapporti di causa ed effetto non siano tutti necessari…
11 luglio 2009 at 10:08
Dimenticavo la firma…
Amedeo
11 luglio 2009 at 10:24
Amedeo (Asmodeo?), non mi sono foggiato proprio niente. L’apologia del Caso come unica causa dell’esistenza umana, in spregio a qualunque forma di principio antropico, è un fatto acclarato e ricorrente nella pubblicistica di cui stiamo parlando. Basta leggere un qualunque numero di Micromega.
Sul fatto che la necessità di cui parla Monod sussista sul piano materiale, mentre sul piano filosofico il Caso aleggia sovrano, mi sa che non ci siamo capiti e non ci capiremo. Pazienza.
Comunque io non credo certo in un determinismo eziologico assoluto: sarebbe l’errore opposto di quello di cui parlo sopra. Ai diavoli piacciono tanti gli errori uguali e opposti.
11 luglio 2009 at 13:44
Asmodeo?? Come sarebbe Asmodeo?? La demonizzazione dell’interlocutore già è una cosa che non si dovrebbe mai fare, ma per giunta così a freddo è inaudita… 😦
Non ti includevo nella categoria dei “creazionisti che si foggiano una teoria dell’evoluzione immaginaria”, e ho capito la tua distinzione fra i vari concetti di necessità.
11 luglio 2009 at 13:45
E dàgli con la firma mancante! (Mi devo loggare assolutamente…)
Amedeo
11 luglio 2009 at 19:46
Ecco, Claudio.
L’edizione dell’autobiografia è quella definitiva del 1958 (“with original omissions restored, edited with appendix and notes by his grand-daughter Nora Barlow”). La mia edizione è quella italiana del 1962 della Einaudi (pp. 68-69):
«[…] Fui però molto riluttante a rinunciare alla mia fede, e ricordo molto bene di aver sognato spesso a occhi aperti che a Pompei o altrove erano state trovate anctiche lettere di patrizi romani o manoscritti che confermavano in maniera inconfutabile tutto ciò che era scritto nei Vangeli. Ma col passare del tempo trovai sempre più difficile, pur sbrigliando la mia immaginazione, inventare prove sufficienti a convincermi. Così l’incredulità s’insinuò lentamente nel mio spirito, e finì col diventare totale. Il suo sviluppo fu tanto lento che non ne soffersi, e da allora non ho mai più avuto alcun dubbio sull’esattezza della mia conclusione. In realtà non posso capire perché ci dovremmo augurare che le promesse del cristianesimo si avverino: perché in tal caso, secondo le parole del Vangelo, gli uomini senza fede, come mio padre, mio fratello e quasi tutti i miei amici più cari, sarebbero puniti per l’eternità.
E questa è un’odiosa dottrina.»
In nota a questo passo, ci sono considerazioni della moglie:
“La signora Darwin ha annotato di suo pugno questo passo (dalle parole «da allora non ho mai più avuto alcun dubbio» a «odiosa dottrina»). Essa scrive: «Non vorrei che si pubblicasse il passo compreso fra le parentesi, che mi sembra troppo crudo. La dottrina della punizione eterna per i miscredenti merita il giudizio più severo, ma ben pochi, oggi, potrebbero identificarla con il “cristianesimo” (anche se le parole sono esplicite). Qui interviene anche la questione della ispirazione del verbo. E. D.» (ottobre 1882). Questo fu scritto sei mesi dopo la morte del marito, in una seconda copia della Autobiografia scritta a mano da Francis. Il passo non fu pubblicato. Cfr. Introduzione [N. B]
@Amedeo: Non preoccuparti, nessuna “demonizzazione”: penso si riferisse ad un altro utente un po’ trollone. 🙂