Libri marzo 2012

 Un mese soddisfacente: tutti ottimi libri.

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Contact, di Carl Sagan.

Vedi post precedente.

   

   

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Il fantasma di Canterville e altri racconti, di Oscar Wilde.

Gustosa raccolta di racconti di Wilde, sempre in bilico tra l’umoristico e il poetico.
Particolarmente divertente la storia del fantasma, che offre al pubblico inglese del suo tempo una storia che prende in giro gli americani repubblicani che prendono in giro gli inglesi aristocratici; e infatti alla fine, nonostante l’atteggiamento orgogliosamente plebeo del ministro americano, che vanta continuamente e pedantemente la superiorità dei princìpi democratici statunitensi, la di lui figliola finisce per acquisire titoli nobiliari convolando a nozze con un signorotto britannico, “che è la meta più ambita di tutte le buone piccole bambine americane” – impossibile dire se qui Wilde stia ridendo più degli americani o degli inglesi.
Merita riflessione la prefazione scritta da James Joyce:

Questo non è il luogo di indagare lo strano problema della vita di Oscar Wilde né di determinare fino a che punto l’atavismo e la forma epìlettoide della sua nevrosi possano scagionarlo di ciò che a lui si imputò. Innocente o colpevole che fosse delle accuse mossegli, era indubbiamente un capro espiatorio. Ma la verità è che Wilde, lungi dall’essere un mostro di pervertimento sorto in modo inesplicabile nel mezzo della civiltà moderna d’Inghilterra, è il prodotto logico e necessario del sistema collegiale e universitario anglosassone, sistema di reclusione e di segretezza.  […] L’incolpazione del popolo procedeva da molte cause complicate; ma non era la reazione semplice di una coscienza pura. Chi studi con pazienza le iscrizioni murali, i disegni franchi, i gesti espressivi del popolo, esiterà a crederlo mondo di cuore. Chi segua dal di presso la vita e la favella degli uomini, sia nello stanzone dei soldati, che nei grandi uffici commerciali, esiterà a credere che tutti coloro che scagliarono pietre contro il Wilde furono essi stessi senza macchia. Difatti ognuno si sente diffidente nel parlare con altri di questo argomento, temendo che forse il suo interlocutore ne sappia più di lui. L’autodifesa di Oscar Wilde nello «Scots Observer» deve ritenersi valida dinanzi alla sbarra della critica spassionata. Ognuno, scrisse, vede il proprio peccato in Dorian Gray (il più celebre romanzo di Wilde). Quale fu il peccato di Dorian Gray nessuno lo dice e nessun lo sa. Chi lo scopre l’ha commesso.
Qui tocchiamo il centro motore dell’arte di Wilde: il peccato. Si illuse credendosi il portatore della buona novella di un neopaganesimo alle genti travagliate. Mise tutte le sue qualità caratteristiche, le qualità (forse) della sua razza, l’arguzia, l’impulso generoso, l’intelletto asessuale al servizio di una teoria del bello che doveva, secondo lui, riportare l’evo d’oro e la gioia della gioventù del mondo. Ma in fondo in fondo se qualche verità si stacca dalle sue interpretazioni soggettive di Aristotele, dal suo pensiero irrequieto che procede per sofismi e non per sillogismi, dalle sue assimilazioni di altre nature, aliene dalla sua, come quelle del delinquente e dell’umile, è questa verità inerente nell’anima del cattolicesimo: che l’uomo non può arrivare al cuor divino se non attraverso quel senso di separazione e di perdita che si chiama peccato.

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Io sono Helen Driscoll, di Richard Matheson.

Uno dei grandi capolavori di Matheson. Il titolo originale è A Stir of Echoes, pressappoco traducibile come “un miscuglio di echi”. È la storia di un uomo che, sottoposto per scherzo a ipnosi, scopre le proprie latenti e incontrollabili facoltà telepatiche e ne deve affrontare le conseguenze, tra cui il vedere uno spettro nel soggiorno. Il protagonista vorrebbe ignorare questa nuova consapevolezza, che gli fa percepire i lati nascosti e mostruosi dei vicini di casa con i quali deve pur necessariamente condurre una vita sociale; vorrebbe far finta di niente, continuare la tranquilla vita di prima, ma non può: una volta che hai visto la verità, non puoi più “far finta di niente”.
Ho sempre trovato molto significativa questa storia; l’avevo anche citata descrivendo la mia conversione al cattolicesimo, quando pure io avevo visto una verità che avrei voluto ignorare, ma…  non potevo, proprio non potevo. E ora sono qui.
Un libro vivamente consigliato. Per tutti, non solo per gli appassionati del genere.

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Tutti i racconti di fantasmi, di Montague Rhodes James.

L’autore, vissuto tra il 1862 e il 1936, è un caposaldo della letteratura gotica. Finora lo conoscevo soltanto di nome, per averne letto lusinghieri elogi da parte di Stephen King e Howard Phillips Lovecraft; il che era già un validissimo biglietto di garanzia; e quando ho trovato in libreria a poco prezzo (4,9 € / 354 pagine / 31 racconti) questa sua raccolta omnia di ghost stories, non ho resistito.
(N.B. io sono vittima perenne delle tentazioni antologiche: se un libro mi promette di contenere un qualche “tutto” di qualcosa o qualcuno, inevitabilmente sento che DEVO averlo; se c’è qualcuno là fuori che soffre della mia medesima patologia, alzi la mano)

La narrativa di MRJ è elegante, le sue storie (che era solito inviare agli amici come regalo di Natale) perturbanti. Fa leva sull’inquietudine sottile più che sul terrore aperto. I protagonisti sono spesso professori, bibliofili, chierici; le locations chiese, biblioteche, brughiere. Degno di nota è che spesso l’autore descrive un fatto, ma non ne dà alcuna spiegazione, neppure di ordine sovrannaturale: l’effetto suggestivo prodotto sulla fantasia del lettore è potentissimo.
Prendiamo ad esempio il racconto che mi è piaciuto di più, Una storia dei tempi di scuola. In una sala d’albergo un uomo rievoca fatti strani che accaddero al suo professore di latino, il quale portava sempre con sé un ciondolo con incise le sue iniziali, GWS, e una data, 24/07/1864 (la storia si svolge nel 1870). Accadde dunque che una volta questo professore avesse assegnato per esercizio la composizione di frasi con il verbo “ricordare”, ed uno degli studenti scrisse – senza saper spiegare come gli fosse saltata in testa – la frase memento putei inter quatos taxos (ricordati del pozzo tra i quattro tassi), ciò che rese molto pensoso l’insegnante; un’altra volta aveva assegnato la composizione di frasi con il condizionale, ed uno degli esercizi sulla scrivania – i fogli erano diciassette; ma gli studenti erano solo sedici – diceva si tu non veneris ad me, ego veniam ad te (se tu non verrai da me, verrò io da te); ed infine il narratore riporta de auditu che una notte un suo compagno di classe, guardando nelle finestre dell’appartamento del docente, vide “una figura magra e bagnata” fare “dei cenni” al professore. Il giorno dopo l’insegnante scomparve dalla scuola e non se ne seppe più niente. La rievocazione dei tempi di scuola finisce qui. Qualche tempo dopo uno degli uomini che ascoltavano la storia, trovandosi in un altro albergo in compagnia di altri commensali, viene a sapere di un piccolo mistero della zona: anni prima erano stati trovati, in un pozzo al centro di un boschetto di tassi, i cadaveri di due persone, di cui una abbracciava l’altra. Tra i brandelli di vestiario di uno dei due era stato trovato un ciondolo con l’incisione GWS 24/07/1864.
Tutto qui. L’autore non dice nulla sul chi, come, perché. Non sapremo mai quale sia l’evento accaduto il 24 luglio del 1864. C’è solo un fatto: un uomo riceve un richiamo dall’oltretomba e obbedisce. Di quell’abbraccio nella morte, e delle circostanze che lo hanno determinato, non sapremo mai nulla, possiamo solo supporre: eppure proprio per questo colpisce e stimola così tanto la nostra immaginazione.
MRJ era  un grande scrittore. Qui c’è molto da imparare.

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Primo comando, di Patrick O’ Brian.

Primo libro (seguito da altri 19 volumi più un postumo incompleto! urgh!) della saga di mare e amicizia di Jack Aubrey & Stephen Maturin. Il titolo originale è Master and Commander (immagino si riferisca al personaggio di Aubrey, che qui inizia la sua carriera di capitano); ne è stato tratto un film, che non ho visto, con Russell Crowe e Paul Bettany.  Avendo letto opinioni favorevoli della saga, qui e ovviamente qui, ho iniziato per esperimento il primo della serie.
All’inizio ho trovato la lettura molto difficile, perche l’autore infarcisce la sua narrativa di termini nautici; e per me che ho al massimo una vaga nozione di cos’è la prora, per non parlare della poppa, è stato oltremodo improbo districarmi tra termini esoterici come addugliare, bompressi, coltellaccino, draglia, fileggiare, gaettone, intregnare, lapazzare e via dicendo. Ho avuto la tentazione di mollare la zavorra e veleggiare verso lidi più comprensibili; e sono rimasto a galla solo in un modo.
Nelle Postille al Nome della Rosa, Umberto Eco scrive che “un ragazzo di diciassette anni mi ha detto che non ha capito nulla delle discussioni teologiche, ma che esse agivano come prolungamenti del labirinto spaziale (come se fossero musica thrilling in un film. Di Hitchcock)”. Ecco, per me è successa un po’ la stessa cosa con i termini nautici: non ci capivo niente, ma fungevano da colonna sonora dell’azione; come quando senti una canzone con termini stranieri di cui, anche se non sai il significato, apprezzi la musicalità, che fa da amplificatore emotivo alla storia. In quei paragrafi ho rinunciato a capire con precisione il chi e il cosa, e la storia, perdendo in profondità, ha guadagnato in linearità.
A parte i problemi di vocabolario, la storia merita di per sé. I personaggi meritano. Il distico di caratteri tra il sanguigno capitano Aubrey e il pacato medico di bordo Maturin è ben accostato e fa sperare per il futuro, così come sono soddisfacentemente delineati i personaggi di contorno e il panorama storico del periodo.
Penso che proseguirò la saga, mi considero arruolato.


8 responses to “Libri marzo 2012

  • Maturin

    Il mio commento non può che riguardare O’Brian. Sono d’accordo con te Claudio. Almeno io vivo in un posto di mare e qualcosina in più la capisco (se non altro per sentito dire) tuttavia non è quello l’importante, anche se ha un suo fascino. La cosa fondamentale di questi libri, più che la trama del singolo volume, è proprio l’ambientazione, lo stile di scrittura, lo sfondo, per così dire. Non voglio anticiparti nulla ma la mia impressione è che non ci siano volumi separati con storie diverse; è un’unico grande romanzo di 20 (21) libri nei quali si dipanano le storie personali di Aubrey e Maturin e dei loro comprimari.
    E’ facile trovare situazioni analoghe che si ripetono in ogni libro e “riti” marinareschi descritti più e più volte in volumi diversi. La “grande avventura” di mare, i combattimenti e via discorrendo non sono così frequenti. Si possono leggere anche un centinaio di pagine scoprendo che di fatto “non è successo nulla”, e rendersi conto paradossalmente che quel “nulla” è il tutto. Il bello è calarsi in questa “mitologia” e lasciarsi trasportare dalle “note” di questa sinfonia letteraria.
    Chi lo ha conosciuto parla di O’Brian come un uomo dell’800 (in senso positivo, of course) e questo è abbastanza chiaro dal suo stile: i suoi libri sembrano proprio scritti in quell’epoca e questo ne aumenta il fascino.
    I fans sono discordi sul film. Molti lo amano, molti altri lo odiano. Con la premessa che ho fatto sullo stile di O’Brian (poca trama e molto “sfondo”) bisogna dare atto a Peter Weir (che non è il primo che passa) di aver fatto un gran lavoro. Insomma, a me piace parecchio e te lo consiglio.
    Bé Claudio, benvenuto a bordo e, come dice sempre Aubrey: “Non c’è un momento da perdere!”.
    Paolo

  • Denise Cecilia S.

    E così scopro anch’io donde viene Maturin! 😉
    Dalla descrizione che ne fai, sono attratta anch’io dalla saga marinaresca. Tanto più che il marinaresco in sè, nonostante la mia ignoranza in merito, mi ha sempre conquistato, arrivando a farmi leggere anche romanzi per adolescenti che semplicemente offrivano titoli o copertine allettanti; eheh.
    Se poi, appunto, di saga ben strutturata si tratta… non vedo l’ora. Ho fame di lunghezza, di maratone, di immersioni negli abissi di una storia che sembri destinata a durare una vita – a proposito, con IJ sto procedendo. Assaporo.
    Capisco comunque la tua tentazione, perché quando – avendolo scelto fra i titoli proposti per un lavoro scolastico – lessi alle superiori Come il mare di Wilbur Smith mi cascavano le braccia, all’inizio, per le descrizioni davvero troppo dettagliate delle operazioni di ripescaggio di una certa nave. E che diamine… poi però, anche se non è uno dei miei preferiti, sono entrata nell’ottica dello stile dell’autore ed ho retto (per inciso, di suo si leggono cose ben migliori, come la saga del Nilo).

    Helen Driscoll mi stuzzica ancora di più, e penso – spero – di addentarlo relativamente a breve.
    Mi piacciono l’idea, l’atmosfera che deve rendere, le implicazioni etiche e non, e non da ultimo mi piace l’autore (senza offesa per Will Smith, ma l’operazione di trasposizione de Io sono leggenda per me è lontana anni luce dal tono del libro).
    Devo però rileggermi il post sulle tre forme di anticlericalismo (che mi era piaciuto un sacco: tant’è vero che fu il primo post tuo che lessi, ai tempi del template verde scuro, e da allora sono qui anch’io. Non ricordo però la citazione del libro…).

    Discorso simile per Montague Rhodes James, che ho in lista da tempo e che forse, grazie a questo input, farò scalare di qualche posizione verso l’alto.

  • francesca

    Benvenuto tra i lettori di O’Brian 🙂

  • ClaudioLXXXI

    Maturin: hai descritto alla perfezione quello che ho sentito io leggendo. Non è una storia d’avventure nel senso tipico del termine: mi pare che le avventure siano il contorno e la vita, con i suoi alti e bassi, anche i momenti noiosi eppur necessari, sia il vero materiale narrativo.
    Infatti una delle tecniche narrative che più mi sono piaciute è quella per cui O’ Brian allude a episodi importanti, che in mano a un altro sarebbero addirittura epici, facendoli brevemente ricordare dai protagonisti (magari quando sono affaccendati in attività banali descritte minuziosamente)… ma guardandosi bene dal raccontarli direttamente. Es. quando Stephen Maturin ha aperto il cranio del tale marinaio dato per spacciato, scoperchiandogli il cervello, per poi richiuderlo con una moneta. Un episodio fondamentale per la storia del medico di bordo, che spiega la stima e quasi venerazione che tutti i marinai della nave avranno per lui: un episodio che O’Brian non narra punto ma lascia “affiorare”, come una bottiglia che fa capolino dalle onde.
    Non è Salgari, non è qualunque altro dei grandi classici d’avventura. L’avventura è lo sfondo, la vita vera è il primo piano.
    Una tecnica da intenditori, non adatta a tutti i palati, ma di grande effetto.
    A questo punto, visto che me lo consigli, devo proprio vedere il film.

    Cecilia, non ho mai letto Wilbur Smith: è di quei libri che vedi a mucchi nelle librerie, ma non ti invogliano minimamente. Certo l’uso di un linguaggio, per così dire, esoterico – nel senso di inaccessibile ai più, anche se ho tralasciato di dire che in coda al libro di O’Brian c’era un glossario – allontana per forza una grossa fetta di lettori, i quali hanno tutto il diritto di non vedersi imposto uno sforzo eccessivo. Ma dopo uno si può abituare, se appunto prende tutti quei termini come “colonna sonora”.
    Hai messo il dito su una piaga aperta. Il film con Will Smith è niente meno che un tradimento del (meraviglioso) libro di Matheson; va un po’ meglio con il finale alternativo, ma insomma insomma. Ho visto anche la mitica versione del ’64 con Vincent Price, L’ultimo uomo della Terra, ma anche lì non hanno avuto il coraggio di portare alle conseguenze ultime l’essenza del romanzo. Chissà in futuro. Comunque Helen Driscoll merita davvero.
    E Montague Rhodes James, praticamente il maestro di tutta una generazione di gothic writers, è consigliatissimo.

    francesca grazie 🙂

  • Denise Cecilia S.

    Mah, Smith m’è venuto in mente per via del tema mare, ma in realtà – anche se ha dei lati apprezzabili – non te lo consiglio.
    Non per altro, ma perché la vita è breve ed esiste di meglio, che merita la precedenza; a mio modesto avviso.

    Lo stimolo del linguaggio tecnico, o comunque poco accessibile; per me è un incentivo.
    Voglio dire: capisco anche necessità diverse, e conseguenti preferenze.
    Ma io sono in linea con il “suggerimento” dato al traduttore di Infinite Jest, e trovo che sia giusto dare al lettore buon pane.
    Ognuno poi, secondo capacità e volontà, si scelga il pane per i propri denti… riprenderò la nota del traduttore che ne parla: per me è bene che esista narrativa “difficile”, e che tale rimanga senza snaturarsi nel tentativo (insensato) di adeguarsi ad un pubblico che non le è destinato.
    E viceversa.

  • Libri >> Gennaio – Marzo « Seme di salute

    […] ma intanto prometto una nota a proposito della terminologia, della traduzione e delle… sane pretese di certa narrativa 🙂 Condividi:FacebookTwitterLike this:LikeBe the first to like this […]

  • Matteo Dellanoce

    Mi spiace … io nulla letteratura ( tranne gli amati russi!) e tanti saggi di filosofia e teologia!
    Comunque ottimo il Vostro servizio di diffusione!
    Matteo

  • ClaudioLXXXI

    Cecilia, la brevità della vita ormai è l’argomento principale con cui mi sforzo di combattere le mie tentazioni… libridinose.
    Non comprare tutti questi libri, tanto non li leggerai, la vita è breve.
    Funziona, qualche volta.

    Matteo: non sai che ti perdi.
    Come dice Cecilia nel suo post di cui c’è sopra il pingback, la letteratura non esce dalla realtà, ma al contrario vi entra in profondità.

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