Una buona annata.
- Per il mio Angelo, di Giuseppe Ampola;
- La borsa e la vita, di Jacques Le Goff;
- Lettera pastorale 2012, di Angelo Scola;
- Bottino di guerra, di Patrick O’Brian;
- The Walking Dead n. 1, di Kirkman & Moore;
- Questione di spazio, di Mauro Corona;
- Il tempo della verità, di Glenn Cooper;
- Quattro chiacchiere con Francesco Guccini, di Federica Pegorin;
- Il Labirinto dei Libri Sognanti, di Walter Moers;
- Manalive, di Gilbert Keith Chesterton.
Per il mio Angelo, di Giuseppe Ampola.
A volte occorre leggere libri brutti.
È necessario, se vogliamo forgiarci un’estetica letteraria completa, perché la mente umana tendenzialmente funziona per relazioni di opposizione. Come tanto più apprezziamo una cosa o una persona quanto più ne abbiamo sentito la mancanza, così è difficile o impossibile percepire il bello senza l’esperienza del brutto, gustare l’abbondanza senza aver sopportato la scarsità, nonché (qui c’è una teodicea implicita) vivere appieno l’infinito senza prima essere passati per una vita finita.
Come l’uomo vivo di Chesterton, che lascia la sua abitazione per girare il mondo onde poi tornare a casa con la stessa gioia con cui ci mise piede per la prima volta, ogni tanto bisogna distaccarsi dagli autori preferiti e leggere cose noiose, sciatte, ridicole, insomma brutte.
Ringraziamo il cielo per le cose brutte, perché ci permettono di assaporare le cose belle.
Il libro in questione è, per i summenzionati motivi, utilissimo ad apprezzare tutti gli altri libri.
Dire che è brutto sarebbe poco. Dire che è bruttissimo sarebbe più preciso. Non mi arrischio a dire che è la cosa più brutta che abbia letto da un sacco di tempo a questa parte, potrei averne lette di peggiori e averle rimosse; mi accontenterò di dire che è stato per me Il Libro Più Brutto Del 2012, il che, considerato che durante l’anno ne ho letti circa 77, è comunque un traguardo ragguardevole. Non posso dire di esserne stato deluso, ma solo perché per esserlo bisogna prima avere delle speranze.
L’ho trovato per caso, su amazon, quando si poteva scaricare gratuitamente per il kindle. La Koi Press è una casa di self-publishing, il che non vuol dire automaticamente che sia una vanity press (mi paghi = ti pubblico = osanna, sei un Autore), ma il dubbio è lecito visti i risultati. Comunque constato che la diffusione di ebook gratuiti su amazon sta prendendo piede. Peraltro dev’essere stata una fase di autopromozione, perché sono andato a ricontrollare e adesso l’ebook costa € 1,99. Non li vale.
La prima cosa che si nota è che l’opera, scritta dall’autore italiano Giuseppe Ampola, è ambientata a New York. Per inciso, non so se sia questo il caso, ma ho osservato diverse volte che molti italiani soffrono di una strana forma di sudditanza culturale per cui, se devono pensare a una storia, usano nomi e ambientazioni tipicamente statunitensi. Capitava anche a me le prime volte che ho impugnato la metaforica penna, e ho dovuto fare una certa fatica per scrollarmi di dosso questa specie di scomodo laccio mentale. Come se far vivere un’avventura a Giacomo e Tommaso fosse meno realistico che farla vivere a Jack e Tom. Mi chiedo se succeda anche in altri paesi europei, oppure siamo solo noi italiani che abbiamo l’immaginario collettivo così colonizzato da tutti quei libri e film d’oltreoceano da non riuscire neppure a narrare in termini non americani.
Comunque, fondamentalmente il libro parla di un detective della omicidi che deve fermare un serial killer di preti. E da qui si dipana un canovaccio che non si fa mancare nulla dei più triti standard del genere danbrowniano, dalla caccia all’indizio per chiese all’enigma crittografico da risolvere – che poi non si capisce chi glielo ha fatto fare all’assassino di anagrammare negli omicidi il nome del bersaglio finale, visto che è proprio questo che permette all’insonne detective di intervenire risolutivamente, ma vabbè – dal grande segreto nero clericale al prevedibile colpo di scena sull’identità del cattivo.
Tutto questo potrebbe essere ancora controbilanciato da una scrittura brillante e da protagonisti ben caratterizzati. Ma purtroppo lo stile è sciatto ai limiti del sopportabile, mentre i personaggi sono letteralmente stereotipi che camminano – es. il detective che non ha una vita privata, la bella gnocca donna intelligente coinvolta nelle indagini con la quale ovviamente scatterà la trombata finale, il prete che ogni cinque minuti esclama a proposito e a sproposito che Dio ci aiuti! / la fede ci guiderà! / combinazioni dei precedenti lemmi – e le indagini procedono fondamentalmente più per colpi di fortuna, nei quali si vede pesantemente la volontà dell’autore di far andare le cose in un certo modo, che per effettive virtù investigative dell’investigatore.
La scena sessuale a circa metà libro, del tutto avulsa dal contesto, probabilmente messa lì per far alzare l’attenzione del lettore e illuderlo che ce ne sarà una seconda, impreziosisce per modo di dire il tutto.
Mi sono chiesto se sia il caso di commentare anche il finale, che ho trovato sommamente ridicolo, ma non toglierò agli eventuali lettori il piacere di scoprirlo da soli.
Insomma, il libro è brutto.
Ora, bisogna sapere che esistono alcuni libri brutti, così brutti, ma così brutti, che fanno il giro dall’altra parte e diventano perversamente belli.
Sfortunatamente, non è questo il caso. Resta semplicemente brutto.
La borsa e la vita, di Jacques Le Goff.
Libro storico, che presumo attendibile essendomi stato regalato dalla mia storica di fiducia, su come fino al basso medioevo circa tutti i prestiti ad interesse fossero moralmente condannati dalla Chiesa in quanto usurari (la condanna totale venne meno col nascere del sistema bancario attorno al XII secolo).
Molto utile, in vista di futuri post.
Lettera pastorale 2012 – alla scoperta del Dio vicino, di Angelo Scola.
Come da titolo.
Breve, scorrevole, gradevole.
Se la volete leggere, si può scaricare qui.
Bottino di guerra, di Patrick O’Brian.
[Stephen] Si vestì in fretta e furia, ma il sacerdote era già all’altare quando ebbero raggiunto la cappella buia in un vicolo laterale, avanzando nell’odore d’incenso, un odore dall’immenso potere evocativo. Seguì un intervallo di tempo su un piano completamente diverso dell’essere: con le parole antiche e familiari, sempre le stesse in qualsiasi parte del mondo, sebbene in quel momento pronunciate in un largo latino fortemente accentato, aveva la sensazione di vivere libero dal tempo o dalla geografia, tanto che avrebbe potuto uscire di lì ragazzo nelle strade di Barcellona alla luce accecante del sole o in quelle di Dublino sotto la pioggia fine.
Con questo che è il VI libro della saga, O’Brian aggiunge alcune rilevanti variazioni alla formula narrativa precedentemente sperimentata.
E questo vuol dire che è un autore coraggioso, perché poteva accontentarsi e propinare ai lettori una minestra riscaldata, e invece osa. Ammirevole.
Variazione n. 1: messa da parte (temporaneamente? definitivamente?) la formula dell’avventura autoconclusiva, il libro è la diretta continuazione del precedente, di cui tornano anche molti personaggi secondari (Herapath, la signora Wogan, etc).
Variazione n. 2: la trama non si svolge più principalmente per mare, ma a terra, a Boston, dove i nostri due eroi sono prigionieri del governo americano che è entrato in guerra con l’Inghilterra.
Variazione n. 3: mentre prima i punti di vista di Aubrey e Maturin erano grossomodo bilanciati nell’economia della storia, gli opposti poli caratteriali formando un perfetto contraltare, qui l’equilibrio salta. Jack avrà modo di farsi valere nel movimentato finale, ma per mezzo libro giace infermo in ospedale ed è il suo amico a doversi occupare di tutti i guai. Questo è il libro di Stephen, non c’è altro modo di dirlo. Il personaggio, come dire, esplode: fin dall’inizio abbiamo saputo che era immerso a fondo nello spionaggio britannico, ma questa è la prima volta che lo vediamo fare cose da spia quasi come uno 007 ante litteram, scopre agenti nemici, è da essi scoperto, insegue, è inseguito, è ferito, ferisce, uccide, e altro ancora.
Oltretutto, è anche tornata Diana Villiers. E non si fa neppure odiare (ma ci sono fondati sospetti che lo farà in seguito).
Bellissimo.
L’avventura continua.
The Walking Dead n. 1 – risveglio nella città dei morti, di Robert Kirkman & Tony Moore.
Tecnicamente non è un libro, ma visto che anobii lo copre, ne parlo una tantum.
Se state seguendo la serie tv, sappiate che il fumetto è meglio. Molto, molto meglio.
Un’epopea spietata. Un viaggio nelle pieghe più oscure dell’uomo.
Senza essere minimamente religioso, senza affrontare mai alcun tema anche solo vagamente filosofico, la saga è in più punti una mostruosa esemplificazione – sarei quasi tentato di dire “dimostrazione” – del fatto che il relativismo, stringi stringi, semplicemente non funziona. Se non c’è una ferma bussola morale, bastano solo le circostanze adatte e qualunque uomo, qualunque, regredisce a una bestia selvaggia che vuole solo sopravvivere costi quel che costi.
Prendetelo in considerazione, anche perché l’edizione Saldapress è convenientissima – per € 2,9 un albo che copre quattro numeri dell’edizione originale: considerato che in America è arrivato al cento e qualcosa, tra un paio d’anni li avranno raggiunti, o rallentano o s’inventano qualcosa.
P.S. piccola chicca per intenditori.
A pagina 52, Rick parla con sua moglie. A un certo punto, lei fa una faccia e orripilata ed esclama: la tua mano!
Spiegazione del marito, è il segno della flebo rimasto da quando ha lasciato l’ospedale. Ok.
Ma alla luce di quello che succederà dopo, molto dopo, è lecito chiedersi: è una coincidenza? Oppure, già allora, Kirkman sapeva?
Questione di spazio, di Mauro Corona.
Un racconto breve, di ambiente montanaro, gratuitamente scaricabile per kindle a scopo promozionale per un’antologia di novelle dell’autore.
Si legge senza dispiacere, se a uno piace il genere.
Il tempo della verità, di Glenn Cooper.
Raccontino scaricabile aggratis da amazon, pensato come lead-in per portare i lettori nel mondo della Biblioteca dei Morti in cui sono ambientati altri romanzi dell’autore.
L’idea della Biblioteca sembra intrigante, ma non sono abbastanza incuriosito da voler leggere gli altri libri.
Quattro chiacchiere con Francesco Guccini, di Federica Pegorin.
Come da titolo, interviste all’autore, che parla di sé e della sua musica.
Anche questo si scarica gratis da amazon e si può leggere sul kindle. Se non avete un kindle, sappiate che potete farvi un profilo amazon sul pc e ovviare al problema.
Se siete interessati, chiedete nei commenti e vi spiego come.
Il Labirinto dei Libri Sognanti, di Walter Moers.
Ebbene.
Delusione, delusione, delusione.
Io in genere apprezzo molto i libri di Moers.
Ma questo è una fregatura bella e buona.
Breve premessa: Walter Moers è un fumettista tedesco che ha scritto una serie di libri fantasy (ma un fantasy del tutto sui generis) ambientati nel continente perduto di Zamonia, cominciando da Le 13 vite e ½ del Capitano Orso Blu e poi con altri libri famosi come Rumo e i prodigi nell’oscurità nonché La Città dei Libri Sognanti.
In genere i suoi libri mi piacciono molto, sia per la trama che prevede avventure folli e improbabili con personaggi strani (orsi, dinosauri, specie inventate dall’autore come croccamauri e tenebroni e squalombrichi), sia per il taglio molto visuale che dà ai suoi libri, pieni di particolarità tipografiche e disegni molto belli, il genere di cose per cui il libro di carta è decisamente meglio di un ebook.
In particolare La Città dei Libri Sognanti, di cui questo Labirinto è il seguito, è un libro bellissimo. BELLISSIMO. B-E-L-L-I-S-S-I-M-O. L’ho letto 4 volte, di cui l’ultima pochi giorni fa (per riprendermi dalla delusione), ed è migliorato ogni volta. Baratterei le proverbiali parti del corpo per essere in grado di scrivere io una cosa così bella. È il libro che ogni amante dei libri dovrebbe leggere.
E dunque, quando ho visto che era uscito il seguito, dovevo averlo.
E avevo tante belle speranze.
E invece.
Il problema del libro non sta nel fatto che non è autoconclusivo. Altri si sentono fregati dai libri che lasciano il protagonista a metà di una situazione spinosa, io no. Se il libro mi è piaciuto, sono anzi contento, la prendo come una promessa di ulteriori piaceri letterari.
Ma di solito, “lasciare a metà” implica che ci sia, una prima metà.
Il problema non è che la storia non finisce: è che praticamente NEMMENO COMINCIA. Tutto il libro non è che una lunghissima, per gran parte inutile, premessa.
STORIA: sono passati duecento anni dalla fine degli eventi descritti nel libro precedente. Ildefonso De’ Sventramitis, il dinosauro protagonista che descrive autobiograficamente le proprie avventure, è diventato il maggiore scrittore vivente di Zamonia. La folle girandola di eventi occorsagli a Librandia, la città dei libri, è diventata un bestseller della letteratura zamonica (cioè: La Città dei Libri Sognanti non è solo il prequel extradiegetico di questo libro, ma anche un libro intradiegetico di cui si parla dentro Il Labirinto dei Libri Sognanti). Quand’ecco Ildefonso riceve una misteriosa lettera da Librandia, e decide di tornare in città per chiarire il mistero.
LETTORE: bene.
STORIA: Ildefonso a Librandia. Giro turistico. Sunto degli ultimi duecento anni di storia librandiese.
LETTORE: bello. Sono sempre interessato alle follie dell’urbanistica zamonica.
STORIA: Ildefonso saluta alcuni vecchi amici del precedente libro.
LETTORE: toh, guarda chi si rivede!
STORIA: tra una cosa e l’altra, siamo arrivati a pagina 221 di 451 (49%).
LETTORE: di già? Ehm… ma quando arriviamo al dunque?
STORIA: aspetta. Ecco, adesso Ildefonso va a teatro. A vedere uno spettacolo di pupazzi.
LETTORE: bell…
STORIA: lo spettacolo è un adattamento teatrale di La Città dei Libri Sognanti.
LETTORE: ?
STORIA: sì, hai capito bene: per TRE capitoli e OTTANTADUE pagine, il libro riassume gli eventi del libro precedente.
LETTORE: ehm. Beh. Mediamente interessante, forse. Però, adesso…
STORIA: e non è finita. Siamo arrivati a pag. 303. Adesso Ildefonso è impazzito per il pupazzismo, la nuova arte dilagante per Librandia. Marionette, burattini, fantocci, pupi, automi, pupazzi di ogni foggia e dimensione.
LETTORE: …
STORIA: pupazzi! Pupazzi! Pupazzi! CENTOVENTIDUE pagine di appunti sventramitisiani sul pupazzismo librandiese! C’è pure la calligrafia di Ildefonso riprodotta tipograficamente!
LETTORE: … ma che stai SCHERZANDO?!?
STORIA: NOOOOOO!!!!!! PUPAZZI! PUPAZZI! PUPAZZI! PUPAZZI! PUPAZZI!
LETTORE: non ci posso credere.
STORIA: PUPAZZI! PUPAZZI! PUPAZZI! PUPAZZI! PUPAZZI! PUPAZZI! PUPAZZI!
LETTORE: voglio indietro i soldi.
STORIA: PUPAZZI! PUPAZZI! PUPAZZI! PUPAZZI! PUPAZZI! PUPAZZI! PUPAZZI!
LETTORE: voglio uccidere Walter Moers.
STORIA: PUPAZZI! PUPAZZI! PUPAZZI! PUPAZZI! PUPAZZI! PUPAZZI! PUPAZZI!
LETTORE: voglio defungere.
STORIA: pupazzi.
LETTORE: ?!? forse, finalmente…?
STORIA: a pag. 425 di 451, cioè faticosamente trascinatici al 94% del libro, Ildefonso viene invitato a fare una visita guidata nelle catacombe di Librandia. Con immensa cautela, considerata l’esperienza della scorsa volta, accetta. Viaggio in carrozza. Ingresso nelle catacombe. Si ritrova da solo al buio. Paura. Ma ecco che legge una scritta.
LETTORE: …
STORIA: “Qui comincia la storia”.
LETTORE: :-O
STORIA: sì.
LETTORE: e poi?
STORIA: fine.
LETTORE: come, fine???
STORIA: è l’ultima frase del libro.
LETTORE: ma hai detto che comincia la storia!!!
STORIA: appunto. La storia comincia quando il libro finisce (€ 18). Arrivederci al prossimo seguito (presumibilmente stesso prezzo).
LETTORE: accìrete tu e mammeta.
Ecco.
Io non so come Walter Moers abbia potuto.
Cosa gli sia saltato per la testa.
Un’ipotesi è che si sia così identificato nel suo alter ego zamonico Ildefonso De’ Sventramitis (di cui Moers si presenta come il traduttore e illustratore) da volerne riprodurre, con un audace esperimento meta-testuale, la proverbiale pesantezza letteraria. Lo Sventramitis è infatti un autore capace di mostruosi abissi di prolissità, come quando all’inizio del Labirinto si vanta di aver inserito 26.000 pagine di infiniti dialoghi sulla contabilità a partita doppia nel suo ciclo di romanzi La casa nattiftoffa (i nattiftoffi sono l’elite amministrativa di Zamonia, e amano tutto ciò che è noioso e burocratico). Queste voragini letterarie sono divertenti quando l’autore vi allude mentre sta parlando d’altro, certo, ma leggerle direttamente è tutt’altra faccenda.
Un’altra ipotesi sarebbe che l’autore e/o l’editore fosse/fossero in gravissima crisi finanziaria e avesse/avessero urgente bisogno di liquidità, e non c’era tempo per scrivere un vero romanzo, così ha/hanno trovato questo escamotage per anticipare i profitti.
Oppure Moers è morto ed è stato rimpiazzato da un sosia che non ha lo stesso talento dell’originale.
Oppure è semplicemente impazzito.
Leggerò comunque il prossimo libro, in parte perché voglio sapere che combina Ildefonso nelle catacombe, in parte perché spero che Moers rinsavisca.
Però.
Sono contento che i dinosauri si siano estinti.
Manalive, di Gilbert Keith Chesterton.
Edizione straordinaria: è stata compiuta una scoperta meravigliosa, stupefacente, eccezionale.
È stato trovato un uomo vivo con due gambe.
Sconcerto degli studiosi. Incredulità degli eruditi. Protesta degli intellettuali. Risate degli opinionisti.
Eppure, respira e cammina.
Bellissimo.
Se ci ho messo un sacco di tempo a leggerlo, non è stato solo perché l’inglese di GKC è vecchio di un secolo – grazie, dizionario incorporato di kindle, senza di te non ce l’avrei fatta – ma anche perché volevo centellinare quanto più possibile il piacere di questa storia.
L’uomo vivo di Chesterton è un inno al senso comune, di cui oggi abbiamo un disperato bisogno.
L’uomo vivo è tale perché si accorge di essere vivo e capisce che è bello vivere.
Colui che dopo una lunga ricerca impara l’ovvio e lo celebra come se fosse una meravigliosa novità, perché è davvero tale, perché così l’ha resa una cultura decadente che si è così persa nei propri labirinti mentali da dimenticare i fatti basilari, le evidenze immediate, i “prodigi visibili” per cui oggi dobbiamo davvero combattere come se fossero invisibili.
Dopo aver letto questo libro ho appreso, con un vero senso di sorpresa, di essere vivo.
E sono felice.
13 gennaio 2013 at 15:57
Claudio, anche a te dopo aver finito Manalive è venuta voglia di fare le scale tre a tre? 🙂
13 gennaio 2013 at 16:03
No, ma solo perchè già le facevo così.
Però mi è venuta voglia di entrare in casa dalla finestra 😀
13 gennaio 2013 at 20:47
Io faccio normalmente le scale a due a due (si vede che voi ci avete le gambe più lunghe) però ricordo mentre leggevo quel libro – nella versione di Emilio Cecchi – a un certo punto mi vennero le lacrime agli occhi per la gratitudine che qualcuno avesse scritto un libro così. Nemmeno Tolkien mi ha mai fatto un simile effetto, nonostante che io sia grata anche per lui. A proposito, mi sono appena accorta che anche Bilbo Baggins in un certo senso fa il giro del mondo per scoprire che la felicità è in casa sua. Ok, non c’entra molto, però lo volevo dire ^^
14 gennaio 2013 at 06:36
E’ vero!!! Bilbo, tornato dal suo viaggio, è diventato un po’ un uomo vivo nel senso chestertoniano. La parte Tuc ha prevalso!
14 gennaio 2013 at 10:42
Normalmente le scale le faccio due a due, ma tre a tre con i gradoni di casa mia è già una bella impresa 😀
Un’altra somiglianza che ho trovato è che Bilbo, come uomo chestertoniamente vivo, s’accorge che al ritorno a casa oltre ai cucchiaini ha perso anche la reputazione. (tutti cominciano a considerarlo un tipo “stravagante”)
Comunque leggere Manalive fa bene alla salute e non si possono non sottoscrivere integralmente le parole di Borges:
“La letteratura è una delle forme della felicità; forse nessun scrittore mi ha dato tante ore felici come Chesterton”
14 gennaio 2013 at 14:04
Oh no! Le scale a 3 a 3! Io già le faccio a due a due per colpa di Buzzati! Eppure prima o poi devo leggerlo!
14 gennaio 2013 at 23:40
[…] dei vantaggi dell’aver letto Manalive in lingua originale è l’aver notato le differenze tra l’inglese in cui lo pubblicò […]
17 gennaio 2013 at 11:53
com’è la storia del kindle sul pc?
ba
19 gennaio 2013 at 07:43
Lo spiegano qui
(la famosa sindrome del falegname impazzito)
14 aprile 2013 at 14:40
[…] prima volta a Librandia, la città dei libri, e quel che vi trovò di sopra e di sotto. Come avevo già detto, trattasi di un libro BELLISSIMO, cosa che acuisce la delusione per la mediocrità del seguito ma […]
21 aprile 2013 at 01:59
[…] che hanno fatto. La differenza rispetto alla classica zombie story, alla George A. Romero oppure The Walking Dead per intenderci, è palese: lì il punto di vista è del singolo, qui è letteralmente globale. WWZ […]
9 giugno 2013 at 16:37
[…] È dunque palese la differenza rispetto alla classica zombie story, alla George A. Romero oppure The Walking Dead: lì il punto di vista è del singolo, qui invece è letteralmente globale. WWZ è estremamente […]