Dall’introduzione de
La Russia e la Chiesa Universale,
di Vladimir Solov’ëv:
*
“Un grande architetto, partendo per un lungo viaggio, chiamò i suoi discepoli e disse loro:
«Voi sapete che io sono venuto per ricostruire il santuario principale del paese, distrutto da un terremoto. L’opera, ormai, è iniziata: ho tracciato il piano generale, il terreno è stato spianato e le fondamenta sono gettate. Voi mi sostituirete durante la mia assenza. Io tornerò senz’altro, ma non so dirvi quando. Lavorate dunque come se doveste compiere tutta l’opera senza di me. È il momento di mettere in pratica gli insegnamenti che vi ho impartito. Ho fiducia in voi e non starò ad imporvi tutti i particolari dell’opera. Badate soltanto di osservare le regole della nostra arte. Del resto, vi lascio le fondamenta incrollabili del Tempio, che io stesso ho gettato, e il piano generale che ho tracciato: il che vi basterà se sarete fedeli al vostro dovere.
E comunque non vi lascio soli: in ispirito e col pensiero sarò sempre con voi.»
Poi li portò nel luogo dove sarebbe dovuta sorgere la nuova chiesa, mostrò loro le fondamenta e consegnò loro il piano.
Dopo la sua partenza, i discepoli lavorarono di comune accordo; e circa un terzo dell’edificio fu ben presto costruito. Tuttavia, dato che l’opera era molto grande ed estremamente complicata, i primi compagni non furono sufficienti e se ne dovettero ammettere di nuovi. Non passò così molto tempo che tra i principali capi dei lavori sorse una grave contesa.
Ci fu chi pretese che delle due cose lasciate in eredità dal maestro assente – le fondamenta dell’edificio e il piano generale – solo quest’ultimo fosse veramente importante e vincolante, mentre nulla impediva di abbandonare le fondamenta già poste e costruire in altro luogo. Contestati energicamente dal resto dei loro colleghi, costoro, nel calore della disputa, arrivarono sino ad affermare (in contrasto con il loro stesso sentire, più volte apertamente espresso) che il maestro non aveva mai posto né indicato le fondamenta del Tempio; e che questa non era che un’invenzione dei loro avversari.
Tra questi ultimi, poi, ve ne furono molti che, a forza di difendere l’importanza delle fondamenta, caddero nell’estremo opposto ed affermarono che l’unica cosa veramente seria fosse la base dell’edificio posta dal maestro: così che il loro compito specifico consisteva unicamente nel conservare, riparare e consolidare la parte già esistente dell’edificio, senza preoccuparsi di portarlo a termine, perché – dicevano – il compimento dell’opera spetterà esclusivamente al maestro stesso quando sarà ritornato.
Gli estremi si toccano e i due opposti si trovarono ben presto d’accordo su un punto: che non si doveva portare a termine l’edificio.
E però, il partito che aspirava a conservare in buono stato le fondamenta e la navata incompiuta si consacrava, a tale scopo, a molti lavori secondari e vi dispiegava un’energia indefessa, mentre il partito che credeva di poter fare a meno dell’unica base del Tempio, dopo essersi vanamente sforzato di costruire su un’altra area, dichiarò che non si doveva fare assolutamente nulla: secondo questi ultimi, nell’arte dell’architettura l’essenziale era la teoria, la contemplazione dei suoi modelli e la meditazione delle sue regole e non invece l’esecuzione di un piano preciso; e se il maestro aveva lasciato loro il proprio piano del Tempio, non lo aveva certo fatto per farli lavorare in comune alla sua costruzione reale, ma soltanto perché ciascuno di loro, studiando questo piano perfetto, potesse diventare lui stesso un buon architetto. E a questo proposito, i più zelanti di questo gruppo consacrarono la loro vita a meditare sul progetto del Tempio ideale, ad imparare ed a recitare a memoria ogni giorno le spiegazioni di questo progetto che alcuni loro vecchi compagni avevano fatto sulla base delle parole del maestro. Ma la maggioranza si accontentava di pensare al Tempio un giorno alla settimana, riservando tutto il resto del tempo ai propri affari.
Tra questi operai separatisti, però, ve ne furono alcuni che, studiando il piano del maestro e le sue spiegazioni autentiche, vi ravvisarono delle indicazioni precise, dalle quali risultava che la base del Tempio era stata effettivamente posta e non poteva essere più cambiata; costoro si imbatterono tra l’altro in queste parole del grande architetto:
«Ecco le fondamenta incrollabili che io stesso ho posto; è su di loro che si deve edificare il mio Tempio se si vuole che esso possa resistere in eterno ai terremoti ed a qualsiasi flagello.»
Colpiti da queste parole, i buoni operai risolsero di rinunciare al loro separatismo e di unirsi immediatamente a coloro che avevano custodito le fondamenta per partecipare alla loro opera di conservazione.
Ci fu però un operaio che disse:
«Riconosciamo i nostri torti, rendiamo tutta la giustizia e tutti gli onori dovuti ai nostri antichi compagni, riuniamoci con loro attorno al grande edificio soltanto iniziato, che noi abbiamo vilmente abbandonato e che essi hanno avuto il merito impagabile di aver custodito e conservato in buono stato. Ma innanzitutto bisogna essere fedeli al pensiero del maestro. Ora il maestro non ha posto queste fondamenta perché non vi si mettesse mano, ma perché il suo Tempio fosse costruito su di esse. Dobbiamo dunque riunirci tutti per innalzare sulle fondamenta che ci sono state offerte l’edificio in tutta la sua interezza. Se avremo o meno il tempo sufficiente per terminarlo prima del ritorno del maestro, è un altro problema che lui stesso non ha voluto risolvere. Egli però ci ha espressamente comandato di lavorare per far avanzare la sua opera ed ha anzi aggiunto che noi faremo più di lui.»
L’esortazione di questo operaio parve strana alla maggior parte dei suoi compagni. Alcuni lo definirono un utopista, altri lo accusarono di orgoglio e presunzione.
Ma la voce della coscienza gli diceva chiaramente che il maestro assente era con lui in ispirito e verità.”
27 aprile 2013 at 13:06
paurosamente OT; ma che pensi del nuovo Papa?
27 aprile 2013 at 16:54
Marta e Maria portate all’estremo! Il che mi fa pensare che l’estremo è il punto più lontano dal centro, ma così lontanto che addirittura il centro ti pare un’utopia.
Grazie.
27 aprile 2013 at 20:37
Umberta, è quel che chiamo (non so se l’ho coniato io o l’ho letto da qualche parte senza ricordarmene) chiasmo diabolico.
Come diceva C.S. Lewis, uno dei migliori trucchetti del diavolo è proprio quello di fare leva sugli errori opposti; di fomentare a fasi alterne l’uno o l’altro estremo, in modo da far cadere un sacco di gente disgustata, con le migliori intenzioni, nell’estremo speculare.
Va detto però che la rettitudine non è data dall’essere il medio di due estremi; questo sarebbe hegelismo, cioè ritenere la verità (sintesi) come data dialetticamente dagli errori (tesi, antitesi).
In realtà è il contrario, in origine c’è la verità, e poi sorgono gli errori proprio come separazione e frammentazione della verità, assolutizzazione di una parte sganciata dal tutto – come in questo caso, la vita contemplativa o la vita attiva.
Solov’ev era un grande. Sto apprezzando enormemente il suo libro. È impressionante vedere quanto ami la sua patria, la Russia, e l’ami ancora di più essendosi convertito al cattolicesimo dall’ortodossia orientale. Al tempo stesso è convinto (alla fine del XIX secolo) che la Russia abbia una grande missione di evangelizzazione universale e descrive questo sentimento come largamente diffuso in tutto il popolo russo.
E’ solo un pensiero, neppure un’intuizione, ovviamente indimostrabile, ma la butto lì: la Russia avrebbe potuto davvero evangelizzare il mondo, e il Nemico ne aveva paura e per questo si è accanito tanto contro di lei, facendone la patria del comunismo. L’universalismo cristiano sentito dai russi è stato corrotto e rovesciato nell’universalismo sovietico.
Se gli uomini avessero adempiuto alle richieste della Madonna a Lourdes, la Russia si sarebbe convertita e quel che scriveva Solov’ev si sarebbe avverato. Purtroppo non è andata così.
27 aprile 2013 at 20:37
Bentornato cinas. Leggo sul tuo blog che ti hanno fratturato una mano, mi dispiace.
C’è un aneddoto sul politico cinese che quando nel 1972 gli chiedono che ne pensa della rivoluzione francese (1789) risponde “è troppo presto per parlarne”. Allora uno dice la saggezza cinese, questo sì che è ragionare nel lungo periodo, la storia si valuta nell’arco di secoli e millenni.
Peccato che sia una bufala, come s’è scoperto, un errore di traduzione, il tale aveva capito si parlasse del ’68 parigino e non voleva esporsi per motivi di politica interna.
Del resto la risposta sarebbe stupida in entrambi i casi (più nel primo), perché è vero che l’effetto finale lo si valuta appunto alla fine, però intanto noi dobbiamo agire anche prima della fine e per agire bisogna giudicare e farsi un’idea, essendo eventualmente pronti a correggerla, e perciò non è mai “troppo presto per parlarne”.
Questa pappardella per dire che la mia prima reazione era risponderti “è troppo presto per parlarne”, ma non sarebbe stato vero – e sarebbe stato pure un po’ vigliacco – dunque cosa provvisoriamente ne penso, in estrema sintesi, è che questo Papa assomiglia a Giovanni XXIII: innovatore nelle forme, conservatore nella sostanza. Mi piace la sua spontaneità, il suo richiamare i fondamentali della fede, attendo un suo pronunciamento sui temi oggi “caldi” ma mi sono molto piaciute le sue parole precedenti all’elezione.
Mi piace l’insistenza sulla povertà, temo che venga fraintesa e interpretata come pauperismo.
Non mi piace la sua insistenza nel definirsi Vescovo di Roma invece che Papa, e in generale non mi piace tutto ciò che rischia di favorire quella collegialità esasperata, che ha poco a che vedere con la vera collegialità, e che nei calcoli di qualcuno è un cavallo di troia per distruggere il primato petrino e protestantizzare la Chiesa. Ma ovviamente non penso che Papa Francesco voglia distruggere il primato petrino! Piuttosto il mio timore è che possa involontariamente rafforzare la corrente modernista pseudo-protestante che ha dovuto abbassare la cresta sotto B16 e che adesso “respira aria fresca” (cit.). Così come Giovanni XXIII, con le migliori intenzioni del mondo, suo malgrado aprì troppo la finestra e fece entrare il fumo nel tempio.
Non mi piace – ma qui non è più un giudizio sul Papa in sé – il modo in cui l’intellighenzia anticattolica (compresa quella nominalmente cattolica tipo Mancuso etc.) lo loda, lo imbroda, lo trasfigura proprio così come fece con Giovanni XXIII. Ma presumo che finirà presto.
Su altri aspetti, il mio pensiero è ancora work in costruzione.
Comunque, come dicevo qui, il giochino del mi piace / non mi piace ha senso solo fino a un certo punto, e cioè non molto. In quanto cattolico, innanzitutto voglio bene al Papa chiunque egli sia e prego per lui.
Spero di aver soddisfatto la tua domanda.
28 aprile 2013 at 18:40
Mi piace l’immagine del chiasmo diabolico. Io di solito dico “manicheismo” ma è più astratto (e anche più sfruttato).
Il centro è il centro in cui convergono tutte le linee, certo. Noi siamo abituati a pensare Marta e Maria come due opposti, ai due capi di una linea retta, ma in effetti non penso che lo siano.
Grazie per aver segnalato questo libro!
7 Maggio 2013 at 15:13
sì, grazie soddisfazione piena.
da ateo, di questo Papa mi stupisce favorevolemnte l’attenzione ai fatti, ai comportamenti e il rispetto verso i non credenti.
7 Maggio 2013 at 21:52
ciao cinas. Sono contento di leggere che il polso va meglio.
Bene, spero vivamente che l’attenzione di Papa Francesco verso i non credenti porti qualcuno di voi a diventare non-non credente ;-D
8 Maggio 2013 at 14:19
Da non-non-non cattolico devo dire che il tuo commento è azzeccatissimo sul papa
“innovatore nelle forme, conservatore nella sostanza.”
Per quanto mi riguarda se non diventa innovatore nella sostanza ha poche possibilità di convincermi cambiare sponda. Ma non è mia prerogativa cambiare il papa o me stesso al momento 😛
Ciao \o
(ps: ho finito le cronache del ghiaccio e del fuoco, santa polenta, ho l’ansia di dover aspettare la pubblicazione del sesto libro e nn credo avverrà nell’immediato futuro… lo sapevo non dovevo addentrarmi in quel ginepraio)