Archivi categoria: antiteismo

Una fede incerta. Saldissima?

Forse talune mie interpretazioni potranno apparire azzardate, ma da cristiano e cattolico praticante quale sono, credo siano compatibili non solo con quanto si legge nelle Scritture, ma anche con i significati fondamentali della teologia tradizionale. […] Spero che nessuno mi accuserà di voler smantellare i valori esistenti, perché la mia intenzione è di cercare e proporre interpretazioni credibili proprio per salvaguardare e rinnovare quei significati fondamentali che continuano a essere validi e positivi – pag. 41

 Ecco il cristianesimo dell’insieme, che alimenta la mia fede e mi accompagna ogni giorno nel mio cammino personale di cristiano e cattolico praticante – pag. 302

L’eucaristia è un simbolo. Anche la resurrezione. Diavoli e angeli sono figure di fantasia. Il paradiso e l’inferno “tradizionali” non esistono, perché i malvagi scompaiono nel nulla, mentre i buoni perdono il loro io. Dio e il mondo sono interdipendenti, ovvero Dio coincide con l’universo, e l’immagine della Trinità esprime appunto questo concetto. Dio non agisce antropomorficamente, ergo non c’è Provvidenza, né c’è qualcuno che ascolta le nostre preghiere. Gesù è figlio di Dio, ma solo nel senso in cui lo siamo tutti quanti, e si può credere in lui come si può ugualmente credere in qualcos’altro. Eccetera eccetera.

 Antonio Thellung, e meno male che non volevi essere accusato di smantellare!
Scrivo questo post come discorso alla seconda persona perché è così che tu hai scritto il tuo libro, Una saldissima fede incerta, (Edizioni Paoline, 2011, pagg. 315) (ripeto, EDIZIONI PAOLINE!!!) come lettera-dialogo verso un agnostico. Ora, non mi aspetto certo che tu davvero mi risponda o mi legga; scrivo così perché altrimenti il biasimo sarebbe troppo facile, perché voglio ricordare che ho idealmente di fronte una persona e non un concetto, che si deve odiare il peccato ma amare il peccatore.
Non che questo sia facile, beninteso.
In effetti, anche se non mi piacciono le tue idee, tu come uomo non sembreresti tanto male. Dal tuo sito appari come un arzillo vecchietto, magari pure simpatico; “marito, padre, nonno, bisnonno”, mi congratulo, hai fatto anche assistenza terminale ai moribondi, tutto molto bello. Bravo.
Eppure, il pensiero delle buone azioni che avrai sicuramente compiuto non cancella il pensiero delle persone che avrai invece danneggiato; di tutte quelle che sono state confuse, fuorviate, ingannate; di tutte quelle anime che forse, persino, con le tue eresie (vedi, a differenza tua, io chiamo le cose con il loro nome) hai contribuito a portare alla dannazione.
Sono troppo brutale? Qualcuno lo sta sicuramente pensando. Beh, pazienza.

 Ho letto prima con curiosità, poi con incredulità, via via con repulsione, il tuo libro che (copio dalla seconda di copertina) «scopre molti punti comuni tra panteismo e Dio personale; secondo l’autore tutta la realtà assume nuovi significati, che oltre a essere compatibili con Vangeli e Tradizione sono anche in grado di rivitalizzare i simboli della fede, rendendoli più comprensibili nel tempo presente».
Per chi non avesse voglia di leggere oltre, riassumo brevemente questi “nuovi significati”. Tutta la faccenda gira su questo cosiddetto “insieme”, questo magma dove creatore e creatura si identificano, in cui il Dio personale, se ancora si può usare questo aggettivo, non è altro che una specie di server centrale (tua metafora) che accumula e archivia le esperienze dei terminali periferici, cioè noi individui. L’individuo è una porzione di Dio, transitoria, limitata, difettosa, destinata a estinguersi. Però colui che capisce di essere parte di Dio, di averne per così dire il DNA (altra tua metafora), che sa “risvegliare i cromosomi divini” e superare i suoi limiti individuali, può vivere una vita migliore e dopo la morte andare nella raccolta indifferenziata, volevo dire, nell’indistinta coscienza divino-universale. Invece i malvagi scompaiono e basta, e per malvagi tu intendi gli individualisti. Passi una considerevole parte del libro a ripetere che L’INDIVIDUALISMO È IL MALE. Non ho capito se sei cattocomunista (un utente in un commento passato ti chiamava “falce & marthellung”), ma non mi sorprenderebbe, considerato che a un certo punto ti lamenti che la società umana non riesce a organizzarsi come le formiche o le api. Bell’esempio.
Questo, in estrema sintesi; ma non è tutto. Perché la cosa veramente tragica è che questa visione panteista, che di per sé sola potrebbe pure essere rispettabile come una qualsiasi “altra” religione, tu pretendi di accordarla e conciliarla con il cristianesimo, anzi, con il cattolicesimo; e per fare ciò ricorri a una serie continua di – non so come altro chiamarle – trappole.
Probabilmente qualche lettore ora si starà chiedendo che caspita tu abbia scritto di così terribile. E dunque, mi sono preso la briga di trascrivere i brani più virulenti. Alla fine il materiale collazionato era così abbondante che ne ho dovuto necessariamente fare una selezione, e qui nel post ne riporto la crema (qualche altro magari nei commenti); mi sono pure posto il problema del copyright, che non credo di aver violato perché sto esercitando il mio diritto di critica. Ad ogni buon conto ho scritto una mail a quelli della casa editrice, edlibri.mi@paoline.it, per segnalare questo post e dar loro la possibilità di chiedere la parziale rimozione delle citazioni, se credono che esse eccedano i limiti in cui si può parlare di “breve” citazione dunque legittima; nonché per esprimere il mio fastidio per il fatto che un editore asseritamente cattolico pubblichi libri di così conclamata eresia (ed anzi, se qualche lettore condivide il mio medesimo fastidio, magari scrivete una mail di protesta anche voi).

Ecco qui, dunque:

come le favole trasmettono sovente significati profondamente veri, pur descrivendo fatti che non sono di per sé credibili, anche la teologia tradizionale propone moltissime immagini di fantasia, tipo le schiere di angeli e arcangeli, o il trono dell’Altissimo, o sedere alla destra di Dio, o certi dettagli cruenti nelle rappresentazioni dei novissimi. Eppure nessuno (speriamo) dubita che tali immagini siano state elaborate per trasmettere significati, e non per descrivere eventi reali – pag. 20

 Gesù è unico, assieme a tanti altri:

 la mia sposa è per me unica, e solo quando guardo lei negli occhi mi sento espandere oltre i limiti individuali. Analogamente, credo che Gesù Cristo sia Dio, e siccome la percezione di espandermi spiritualmente l’ho ricevuta guardando a lui, lo sento (per me) unico e irrinunciabile. Forse a qualcuno simili esempi sembreranno svalutativi, come se intendessero porre Cristo e le altre proposte religiose su un piano equivalente e indifferenziato, ma qui non si tratta di stabilire se Dio si rivela in altri modi ad altre persone o popoli, anche perché mi sembrerebbe temerario pretendere che non sia libero di comunicare analoghi valori {ma sono davvero analoghi questi valori?, ndC} attraverso altre vie, e confesso che l’esclusivismo cristiano mi sembra un po’ blasfemo. È proprio la mia fede a chiedermi di sperare che l’unico Dio offra identiche opportunità a tutti: attraverso quali percorsi lo saprà lui. Ma per me Gesù Cristo è concretamente unico e irripetibile. Quel che sarà per gli altri non sta a me giudicarlo, secondo quel che dice San Paolo (cfr 1 Cor 5, 12-13). Lo stesso Gesù lo ha sottolineato molto bene nel suo colloquio col Padre, dicendo “Ho fatto conoscere il tuo nome agli uomini che mi hai dato dal mondo. Erano tuoi e li hai dati a me” (Gv 17, 6-8). Erano tuoi e li hai dati a me, il che lascia presumere {in base a cosa???, ndC} che altre persone saranno date ad altri, senza che questo diminuisca minimamente il valore dell’unicità di Cristo per coloro che sono stati affidati a lui. – pag. 27, 28

è opinione presente da tempo nella teologia cattolica l’idea di un rapporto Dio-cosmo in senso unitario. Già quasi cent’anni fa Teilhard de Chardin scriveva “La stoffa dell’Universo è Spirito-Materia” […] al presente, il teologo Vito Mancuso parla “della materia-mater come grembo da cui sorge ogni cosa, anche lo spirito” – pag. 65

 Questa è molto lunga, ma molto utile per capire il modus operandi del personaggio. Va bene credere nella resurrezione, basta non crederci davvero:

 Alcuni tendono a liquidare come infantili e incredibili i racconti evangelici della resurrezione, sottovalutando il fatto che nel loro significato simbolico possono esprimere grandi valori sostanziali, per chi guarda con gli occhi della fede. La resurrezione di Lazzaro ad esempio se viene interpretata in senso letterale può suscitare interrogativi curiosi: una risurrezione temporanea per poi tornare a morire? […] Ma indipendentemente da come si sono svolti i fatti storici, se quella risurrezione è vista come simbolo della possibilità di trasferirsi in altre dimensioni, allora mi sento stimolato a prenderla sul serio. Simbolico non significa irreale, ma può dirsi un escamotage di linguaggio per parlare in qualche modo di quel che va al di là del razionalmente comprensibile […] prendere alla lettera i racconti del Vangelo rischia di condurre fuori strada. Chi pensa che basta dire di credere nella risurrezione di Cristo per affermare il nucleo fondante della fede è un illuso, perché tale affermazione può essere intesa in molti modi. Personalmente confermo di credere nella risurrezione {cioè crede in un’altra cosa che chiama con lo stesso nome, ndC}, e non aggiungerei altro, se non fosse necessario mettere in evidenza la compatibilità tra l’immagine del Dio d’insieme e la fede cristiana.
L’ipotesi dei cromosomi che risvegliandosi entrano in rapporto personale con la dimensione divina della vita, la trovo molto vicina alle più recenti elaborazioni della teologia cattolica. Nel libro
Ripensare la risurrezione, scritto dal teologo Torres Queiruga dell’Università di Santiago di Compostela, si può leggere “oggi praticamente nessun teologo {come, nessuno???, ndC} parla della risurrezione come miracolo… fino al punto che è normale non considerarla avvenimento “storico”, senza che questo implichi, chiaramente, la negazione della sua realtà {chiarissimo, ndC} […] In tale quadro il senso della risurrezione è inteso come risveglio dei cromosomi da uno stato di catalessi, cioè dall’illusione di poter consolidare la vita individuale. I cromosomi divini risorgono per dimostrare che solo l’insieme vale. Afferma Torres Queiruga: “Oggi è sommamente importante prendere sul serio il carattere trascendente della risurrezione, che è incompatibile con dati o scene di un’esperienza di tipo empirico: toccare col dito il Risorto, vederlo venire sulle nuvole del cielo o immaginarlo mentre mangia sono raffigurazioni d’innegabile taglio mitologico, che ci risultano semplicemente impensabili.” […]
Che il risveglio dei cromosomi avvenga durante la vita, e non dopo la morte, è un concetto presente da sempre anche nell’immaginario cristiano
{ma di quale cristianesimo? certo non quello cattolico!, ndC}, seppure trattenuto nell’ombra dal prevalere di una teologia miope e riduttiva basata su banali luoghi comuni di tipo antropomorfico. I primi esempi noti si trovano nei Vangeli gnostici {ah ecco, ndC} […] Torres Queiruga dice “la risurrezione non è una seconda vita né un semplice prolungamento di questa presente… bensì la piena fioritura di questa vita”. Sulla stessa linea si sono espressi altri noti teologi come il gesuita Juan Mateos, il cappuccino Aldo Bergamaschi, Vito Mancuso. Il frate servita Alberto Maggi, noto esegeta del Centro Biblico di Montefano, nel settembre 2001 ha tenuto ad Assisi un seminario dal titolo I vivi non muoi­ono, i morti non risorgono. Ecco alcune delle sue spiegazioni: “La risurrezione non avviene dopo la morte: o si risorge quando si è in vita o non si risorge più… la vita eterna non è un premio nell’aldilà, ma una condizione del presente… il termine eterna non si riferisce alla durata ma alla qualità. Gesù non risuscita i morti, ma comunica ai vivi una vita capace di superare la soglia della morte: per questo San Paolo scrive “Noi che siamo già risuscitati” (cf Ef 2,6) {invece 1 Cor 15,12 non vale??, ndC} […]
Non ti sembra che siano tutte affermazioni in perfetto accordo con il progressivo risveglio del DNA nelle singole frammentazioni del grande insieme, che nel prendere coscienza dei propri limiti attivano un ardente desiderio di superarli, cominciando così da subito a vivere una vita nuova?
– pag. 165-170

 Qui siamo al panteismo spinto:

 L’individuo è un prodotto del relativo e dell’imperfezione, è un limite, privazione di qualcosa, fa parte del versante negativo, resta comunque legato al male. L’ipotesi d’immortalità individuale sarebbe un assurdo concettuale […] l’individualità è una realtà terrena, e non avrebbe senso proiettarla nell’assoluto, perché serve a distinguersi dagli altri. Si potrebbe forse ipotizzare che in Dio (nell’assoluto) esista il distinguersi? {sì, la Trinità, quella vera, ndC} Si potrebbe supporre una vita in Dio che si distingue in tante individualità? Qualsiasi forma d’individuo equivarrebbe a un’imperfezione cristallizzata, perché ipotetici individui perfetti sarebbero identici tra loro, senza più nulla che li distingue l’uno dall’altro. L’individuo deve morire […] il problema di un’ipotetica vita dopo la morte si pone secondo una drastica alternativa: o l’essere umano decade fino all’inesistenza, o diventa Dio. Soltanto all’ipotetica idea di vivere per l’eternità una vita individuale, con tutte le sue contraddizioni, provo una grande tristezza e non capisco chi potrebbe augurarsela […] l’essere umano che guarda in alto con fiducia e speranza è Dio che riconosce se stesso, che rientra in sé {questa è un po’ hegeliana, ndC} perciò non avrebbe senso ipotizzare una presa di coscienza che ricercasse ancora componenti di tipo individualistico. Personalmente mi soddisfa in pieno l’idea che il senso del mio itinerario entrerà a far parte della coscienza e della memoria di Dio. Là io non ci sarò più, eppure sarò vivo per sempre, nell’insieme universale […] l’individuo che porta il mio nome non ci sarà più {allora il culto dei santi è una bufala, ndC}, ma la coscienza divina vivrà in permanenza la memoria del mio itinerario personale. Saremo tutti nella coscienza di Dio – pag. 186-193

 Il diavolo esiste, cioè non esiste:

 Il diavolo esiste? Naturalmente è questione d’intendersi sul significato dei termini {naturalmente, ndC}, e personalizzare il discorso può essere un’efficace scelta di linguaggio, ma posso comunque assicurarti che il diavolo esiste: lo conosco personalmente nell’intimo, potrei dire. Ho fatto esperienza personale di essere diavolo, sentirlo incarnato in me. Credo che ciascuno di noi a turno possa farsi diavolo […] per spingerci verso la frammentazione non abbiamo bisogno di un diavolo esterno, perché sappiamo benissimo crearci da noi un’autopossessione diabolica. Però, per nostra fortuna, il diavolo esiste solo in forma temporanea, anzi per sua natura è il più mutevole e temporaneo degli esseri, impossibilitato a consolidarsi in qualsiasi stato […] il diabolico non è altro che deformazione del divino, ossia frantumazione dell’insieme, ma non dimentichiamo che non è mai possibile una deformazione o frammentazione totale, dato che i frammenti non possono mai sottrarsi al loro contenitore. Credo che ogni visione limitata di Dio (dell’insieme) porti con sé elementi diabolici molto pericolosi, che possono condurre anche a forme di spiritualità aberranti. Non credo invece che ci sia un disegno maligno da parte di qualche essere tenebroso che voglia spingerci intenzionalmente fuori strada: non ce n’è bisogno, perché a creare ostacoli, inciampi, deviazioni nel nostro cammino verso l’insieme basta e avanza la miopia legata ai limiti della nostra natura – pag. 209-212

 L’eucaristia, altrove esplicitamente definita come un simbolo, è un’altra occasione per dire sì nel senso di no:

Mi hai chiesto se credo alla presenza reale di Cristo nell’Eucaristia, e ti rispondo di sì. Resterei perplesso se mi chiedessi che cosa s’intende per presenza reale, perché non lo saprei dire, francamente {ah ecco, ndC}, e non riesco neppure a capire che cosa intendono coloro che si esprimono come se lo sapessero […] Credo nella presenza reale di Cristo nell’Eucaristia, così come credo alla sua presenza materiale nel mondo, a disposizione di chi vuole incontrarlo. Non so se qualcuno pensa che sia più presente nell’Eucaristia che altrove, nel qual caso si creerebbe un interrogativo curioso, tipo: qui è presente, qui è ancor più presente. Si può dire che la teologia odierna sia in prevalenza d’accordo {sì, se la teologia odierna fosse limitata solo agli amici tuoi, ndC} nel considerare che la presenza di Cristo è reale soltanto là dove si crea un rapporto. I sacramenti sono tipici strumenti d’incontro e di relazione tra umano e divino, e spogliati della sovrastruttura sacrale si dimostrano molto validi anche in senso esistenziale […]
ancor oggi i seguaci di una logica un po’ ingenua
{il principio di non contraddizione è ingenuo?, ndC} pensano al sacramento eucaristico secondo un rigido aut aut: Cristo nell’Eucaristia o c’è o non c’è, quindi per tutti o per nessuno
. Ma dimenticano che secondo quella stessa logica il pane e il vino restano tali e quali prima e dopo la consacrazione. La logica divina invece invita a credere che Cristo si fa presente a chi vuole incontrarlo, non vale neppure la pena di chiedersi cosa avviene a chi non ha interesse o non ci crede […]  da quando ho capito che Cristo si fa presente a chi vuole incontrarlo, senza costringere chi non vuole, non trovo più alcuna difficoltà a proclamare la mia fede, proprio perché non giudica in alcun modo quella altrui. Sotto questo profilo, direi che perfino il concetto di transustanziazione potrebbe ricuperare un significato convincente, basterebbe spostarne il momento dall’atto della consacrazione rituale a quello dell’incontro reale con ciascuna persona. Così, mentre credo alla presenza reale di Cristo ne’l’Eucaristia, posso dire a chi la nega: “Forse hai ragione anche tu, dal tuo punto di vista”. Sia per ciascuno secondo la propria fede: “Sia fatto a voi secondo la vostra fede” (Mt 9,29) dice Gesù, che equivale {!!!, ndC} a dire “mi vuoi incontrare? Eccomi qua! Non mi vuoi incontrare? Non ci sono! – pag. 229

 Onore ai cattivi maestri:

 Il noto teologo Hans Kung ha sviluppato esaurientemente l’argomento di una Chiesa indefettibile nel suo cammino, anche se non esente da singoli errori. Kung può essere criticato, ed è stato anche parzialmente sanzionato, ma nessuno {come nessuno?!? Qui siamo proprio alla panzana plateale, ndC} mette in dubbio che sia una voce autorevole della Chiesa cattolica, seppur con dei distinguo rispetto al Magistero ufficiale – pag. 256

 Siamo tutti come Gesù:

 Gesù aveva un rapporto particolarmente coinvolto con l’insieme, che chiamava Padre, e ne ha svelato il senso e le caratteristiche […] gli esseri umani si possono definire porzioni temporanee di Dio, perché tutto quel che ciascun individuo lo vive dal suo punto di vista, anche Dio lo vive contemporaneamente nella sua consapevolezza: incarnandosi in ciascun essere umano, tutti aspetti pluriformi del suo figlio unigenito […] Dio Padre, che secondo la teologia tradizionale si è incarnato sulla terra in suo figlio Gesù identificandosi nella sua esperienza, secondo la realtà d’insieme s’incarna in tutti gli esseri viventi. Gesù, che ne era pienamente consapevole, poteva dire “io e il Padre siamo una cosa sola”, mentre la maggior parte degli esseri umani, ben lontani da tale livello, nei momenti di grazia possono al massimo dire “io e il Padre abbiamo qualcosa in comune”. Ma qualitativamente il risultato è alla portata di tutti. Anche il Credo recitato abitualmente, che definisce Gesù della stessa sostanza del Padre, trova conferma nella visione d’insieme, dal momento che tutta la realtà è tessuta nell’unica stoffa universale, nell’unica sostanza esistente, che è tutta di natura divina – pag. 300

 Infine, dulcis in fundo:

 Se ora ti saltasse in mente di chiedermi se credo che le tesi qui sopra esposte rispondano a verità, ti risponderei che non lo so. Che posso saperne, me meschino, della verità divina, incommensurabilmente più grande di me? Ti posso però confermare senza tentennamenti di sentirmi irresistibilmente attratto verso l’insieme […] voglio appartenere a questo Dio d’insieme, voglio essere tutt’uno con lui. Siamo nel campo della fantasia? È vero, ma tutta la teologia lo è, comunque la si voglia intendere, e l’invito a credere nell’incredibile è comune alle varie forme di spiritualità passate e presenti – pag. 305

 E qui non posso che rallegrarmi per il fatto che il libro mi è stato regalato: perché, se avessi pagato i 16 € del prezzo di copertina per poi scoprire alla fine che l’autore non sa neanche se quello che ha scritto è vero, ci sarei rimasto un po’ male. Ma un po’ tanto, eh.

Insomma. Non so quanti lettori sono arrivati fino in fondo a questo tour de force, ma quelli che hanno resistito, si saranno fatti un’idea.
Però, Thellung, devo ammettere che questo tuo libro in un certo senso è un ottimo libro. Non dico come apologetica o come riflessioni sulla vita l’universo e tutto quanto, ché in quel senso è peggio che nefasto; voglio dire come vaccino. È pieno di eresie, ma esse sono né troppo grossolane da essere inutili, né troppo sottili da essere invisibili; se ne potrebbe quasi compilare una fenomenologia dell’eretico, sulla quale poi ricavare, come in controluce, un manuale su come difendersi, una specie di training in x passi.
Ecco, allora, alcune di queste “trappole” che ho riconosciuto nel libro, qui esposte ad uso vaccinatorio:

  •  Le citazioni. Per simulare la presenza di un senso comune che non c’è, citi spesso altri pensatori eretici (es. Hans Kung, Vito Mancuso, Alberto Maggi), o perlomeno problematici (Teilard de Chardin), presentandoli tranquillamente come teologi cattolici; il fatto che sulla loro pretesa cattolicità ci siano dubbi e discussioni, quando non proprio esplicite condanne della Chiesa, lo ignori o al massimo lo accenni appena (ovviamente in questo caso la colpa è della Chiesa “cattiva”, cioè delle “gerarchie”).
  • Le generalizzazioni. “Nessuno dice questo”, “tutti sostengono quest’altro”, “è ormai pacificamente accettato che quell’altro ancora”, e così via.  Panzane, visto che in realtà sono moltissimi a dire questo e non sostenere quest’altro, e che quell’altro ancora non è pacifico un corno; ma se non glielo dici tu, al lettore ignaro, chi glielo dice?
  • Cristiano = cattolico. Questo è un argomento sottile, perché, come al solito, il proprio dell’eresia è mescolare abilmente verità e menzogna. È vero che i due termini in un certo senso coincidono, perché il cattolicesimo è precisamente la vera, diciamo grossomodo, “modalità” del cristianesimo. Il problema è che storicamente, accanto a questa “vera modalità”, se ne sono affiancate altre che vere non sono (cioè, per dirla in altri termini, lo sono di meno): e allora il cattolicesimo si può rappresentare come un “sottoinsieme” del più ampio alveo cristiano.
    Ecco quindi che il trucchetto consiste nel sovrapporre opportunamente i termini “cristiano” e “cattolico”, facendoli passare per fungibili anche laddove non lo sono. Così un’idea decisamente non cattolica, che è stata sostenuta da pensatori non cattolici però cristiani o cristianeggianti, come i protestanti o gli antichi gnostici, viene presentata come parte del pensiero cristiano DUNQUE “sdoganabile” come cattolica.
  • Gli aggettivi sono importanti. Un buon aggettivo piazzato al posto giusto esprime più di tanti discorsi. Così per te l’ortodossia è “tradizionale” (contrapposta a ciò che è innovativo), “popolare” (nel senso di ignorante), al massimo se proprio va bene “linguaggio metaforico” (cioè una bella bugia).
  • La Bibbia. Citare dalla Bibbia è importantissimo. Non per niente Satana, quando tenta Cristo nel deserto, gli appioppa un paio di citazioni sacre riadattate alla bisogna. Le citazioni bibliche sono un ottimo metodo per millantare quell’aura di devozione che serve a rendersi bene accetti al pubblico meno smaliziato: infilare qua e là un altisonante “XYZ, 1, 2-3” fa tanto pio, tanto rassicurante. Suvvia, questo cita la Bibbia, cita i Vangeli, cita pure i santi e il Papa: come fa a non essere cattolico! Ovviamente i passi da citare sono accuratamente selezionati, quelli che possono facilmente essere piegati alla tua tesi. Quelli scomodi invece puoi tranquillamente omettere di menzionarli; il problema della coerenza (ti appoggi a elementi di quella stessa tradizione che rigetti), poi, non te lo poni proprio.
    Un esempio brillante di questo modus operandi è la citazione di Gv 17, 6-8: quando Gesù dice “gli uomini che mi hai dato dal mondo”, questo “a me” dovrebbe in qualche modo far presumere che altri uomini invece saranno dati “ad altri”, insomma Gesù non è l’unico salvatore del mondo. Sennonché, non solo non spieghi su che accidenti di ragionamento si basa questa presunzione, ma non fai il minimo cenno del fatto che immediatamente dopo Gesù prega “perché il mondo [non “alcuni” nel mondo] creda che tu mi hai mandato”.
  • Il relativismo spicciolo. Si spiega da solo: ma in fondo che ne sappiamo, anche gli altri hanno ragione nel loro punto di vista, dobbiamo liberarci dal dogmatismo, che poi la teologia è tutta fantasia, e naturalmente l’evergreen “Gesù dice che non dobbiamo giudicare” (certo che dobbiamo giudicare, invece! «Guardatevi dai falsi profeti, che vengono a voi in veste di pecore, ma dentro sono lupi rapaci! Dai loro frutti li riconoscerete»: perché non hai citato anche questo?)
  • Il “fondamentalismo”: non nel senso corrente della parola, ovviamente. Il trucchetto è quello dell’incendiario che si traveste da pompiere: ecco allora l’eretico che si presenta come uno preoccupato per la crisi, che vuole strappare la Chiesa dallo sfacelo, insomma come quello di buone intenzioni che vuole salvare “i fondamenti”, “il nucleo”, i “significati fondamentali”. Questo modo di esprimersi sottintende peraltro che, se c’è un nucleo fondamentale, c’è anche un qualcosa-di-non-fondamentale che gli sta attorno: e quel qualcosa, pur di salvare il nucleo, possiamo e dobbiamo buttarlo! Dobbiamo ripulire il nucleo fondamentale da quello che non è fondamentale, la sovrastruttura, la muffa cresciuta nel corso dei secoli.
    Una volta che si è instillato nella testa del lettore questo concetto, non è così difficile far passare per fondamentale ciò che non lo è affatto, e soprattutto viceversa. Insomma l’eresia agisce come un virus, che uccide il nucleo della cellula sana e vi sostituisce il proprio, e poi usa parassitariamente la struttura dell’ospite per replicarsi (ribadiamolo: EDIZIONI PAOLINE!!!).
  • La risemantizzazione, cioè cambiare significato alle parole. Il fatto è, caro il mio Thellung, che non puoi certo permetterti l’onestà intellettuale di rifiutare apertamente le verità di fede: c’è rischio che il grosso del pubblico cattolico, ancora legato a certe parole imparate al catechismo e periodicamente ripetute in preghiera, rifiuterebbe invece te, insieme al tuo insieme e tutto il resto. Il gioco sta allora nel prenderle, quelle parole, e svuotarle dal di dentro: togliere il senso codificato nel linguaggio comune e mettercene uno nuovo, dissociando il significante dal significato.
    Ecco dunque che dici di credere nella resurrezione, sennonché resurrezione non significa più “vivere dopo la morte” ma bensì “vivere meglio questa vita”; dici di credere nell’esistenza del diavolo, sennonché il diavolo non è un essere soprannaturale che ci vuole male, ma solo l’impersonale limitatezza della nostra natura individuale; dici di credere alla Trinità, che però non è affatto quella descritta nel credo ma bensì la fusione del creatore con le creature; dici di credere alla presenza reale di Cristo nell’eucaristia, laddove per reale però non intendi “oggettiva” ma bensì “condizionata a una volontà soggettiva”, cioè, a pensarci bene, tutto il contrario; e così via.

  Quest’ultimo punto, in effetti, è il clou di tutta la faccenda; ed è anche il motivo per cui io credo che qualunque persona onesta e di buona volontà, in qualsiasi religione o non-religione si riconosca, dovrebbe repellere sdegnato la tua pappardella: perché è artefatta, finta, avvolta nella doppiezza. Se tu dicessi limpidamente “non credo in questo, non credo in quest’altro”, io non sarei d’accordo con te, eppure potrei ancora rispettare le tue idee, e sicuramente rispetterei te come persona; ma è la dissimulazione, quella continua ambiguità di fondo che ti pervade, a squalificare idee e persona e tutto quanto.

  Alla fine, che ti posso dire? Che ti saluto cordialmente? Sarebbe falso. Che ti disistimo? Vero, ma devo ricordarmi che si odiano le idee, non le persone.
Meglio tacere, e pregare.
Per te, per quelli che hai danneggiato, per tutti.


Caro Piergiorgio

CARO PIERGIORGIO

 
 
Ove mai qualcuno fosse interessato (ma chi?), venerdì mattina dovrei partecipare in compagnia di altri bloggers a un dibattito con Odifreddi basato sul suo ultimo libro “caro Papa ti scrivo”, che ho appena finito di leggere (courtesy of Mondadori & Gallizio Editore) e che è una sorta di botta e risposta all’Introduzione al cristianesimo di Ratzinger (che sto leggendo di corsa per mettermi in pari).
Si parlerà di fede religione scienza verità etc., saranno accolte domande dalla rete e forse ci sarà uno streaming video; segnalerò il link apposito appena disponibile.
 
Non so bene cosa aspettarmi, comunque si prospetta un’esperienza interessante.

#1 aggiornamento: ci sarà (gulp) una diretta web su 140nn.com. Dovrebbero già star cominciando a raccogliere domande su twitter, facebook et alia.
 
#2 aggiornamento: e finalmente riferisco.
Come dicevo per interposta persona, venerdì sono andato all’incontro ed è stato interessante, anche se ho detto ben poco di quello che avrei voluto dire (d’altra parte, tutto quello che avrei voluto dire combaciava all’incirca con la produzione quinquennale di questo blog…), vuoi per il fatto che mi sono ritrovato in partibus infedelium – nella ventina circa di blogger presenti, la rappresentanza “papista” era in nettissima minoranza, praticamente io e un professore di religione – vuoi perché ho commesso un errore da novellino e mi sono giocato subito la mia quota-tempo d’intervento, sicché dopo aver fatto varie osservazioni a quello che diceva Odifreddi me ne sono stato zitto e quieto per non togliere spazio agli altri e non ho fatto la domanda che mi ero accuratamente preparato; ma ho avuto la soddisfazione di sentire un agnostico fare a PGO quella stessa domanda, e cioè pressappoco “professore ma non è che sotto sotto il suo ateismo così certo e sicuro non è altro che una diversa forma di fede?”
(il che peraltro combacia con quello che dice Ratzinger nell’introduzione dell’Introduzione: chiunque deve prendere posizione rispetto alle decisioni fondamentali, che però sfuggono alla razionalità intrinseca, e perciò chiunque in qualche modo crede).
C’è da dire che Odifreddi dal vivo è meno str più simpatico che per iscritto. In cattedra non si è affatto contenuto, beninteso, anzi ogni tanto lanciava qualche frecciatina velenosa delle sue che rendono il suo stile così amabile (es. il Papa ha avuto un ictus quando aveva 70 anni? non mi risulta); a telecamere spente però l’ho avvicinato e abbiamo conversato per una decina di minuti e l’ho trovato sorprendentemente cordiale e perfino incline a concordare con il sottoscritto su alcuni specifici e ben circoscritti argomenti (es. ma che senso ha lo sbattezzo dell’UAAR per chi all’efficacia  soprannaturale del battesimo non ci crede proprio? Mysterium). Mi ha pure autografato il suo libro.
Tanti gli argomenti affrontati, dal significato di concetti sfuggenti come metastorico all’essenzialità del Bello nel cattolicesimo, e mi guardo bene dal riassumerli tutti quanti perché sarebbe una pappardella i) lunghissima, l’evento è durato più di due ore ii) inutile, per chi è interessato sarà disponibile la registrazione sul sito 140nn – o almeno così diceva il creatore dell’evento, che si è precedentemente dimostrato affidabile, perciò faccio il metarazionale e mi fido. Voglio però riferire dell’unico punto in cui PGO onestamente mi ha sorpreso (probabilmente non solo me), e cioè quando
 
D. del mio vicino di sedia “ma che senso ha spendere tempo a rispondere a quello che dice il papa? Che tanto sappiamo già che cosa dice? Non è un po’ un volare basso?”
 
R. (vado a memoria, poi controllo) “non è affatto un volare basso, anzi, guardate che Ratzinger non è mica il vecchietto rincoglionito che uno potrebbe immaginarsi, quel libro là” indica la copia dell’Introduzione al cristianesimo che mi ero portato appresso “è veramente un capolavoro” (e qui mi aspettavo una scena come quando Fantozzi dice al supermegadirettoregalattico che è comunista) “perché lui non ha paura di prendere di petto gli argomenti più difficili su cui altri preferirebbero glissare, anzi guardate all’inizio del libro cita questo aneddoto di Kierkegaard, c’è un pagliaccio vestito da pagliaccio che corre in un villaggio a chiedere aiuto perché il circo sta bruciando, e la gente lo guarda e ride perché pensa che sia uno scherzo, e più quello piange e si dispera e dice vi prego credetemi c’è il fuoco che vi minaccia più quelli pensano stia recitando e sghignazzano e non gli credono, e alla fine brucia il circo e il villaggio e tutto quanto, e il papa dice: ma non è che noi teologi oggi siamo proprio come dei pagliacci?, addobbati con i paraventi medievali e tutto quanto, e per quanto ci sforziamo di parlare all’uomo moderno la gente ci guarderà sempre con il pregiudizio di chi sa già e non ci crederà comunque? Anzi, il papa va oltre, potrebbe essere ancora peggio, potrebbe essere che pure se ci aggiorniamo e ci puliamo la faccia e ci presentiamo da moderni, la gente non ci crederà comunque, perché il problema non è come presentiamo il messaggio ma è proprio il messaggio? E via così. A volte dice cose così crude, che io stesso non avrei osato dirle a quel modo. Paradossalmente mi sento più vicino al papa che a uno di questi preti da strada alla don Ciotti che sanno parlare solo di opere e buone azioni e dicono il cattolicesimo è ok perché aiutiamo i poveri, invece il papa dice chiaro e tondo che la questione non è aiutare i poveri, la questione è che quello che dice il cattolicesimo o è vero o è una fesseria, punto. Il cattolicesimo è la peggior religione possibile, ma allo stesso tempo è la migliore per chi come me si pone criticamente, osa affermare la propria veridicità non solo sul piano della fede ma anche su quello della ragione, scende su un terreno comune dove può essere affrontato. Nessun’altra religione osa così tanto.”
 
E qui, caro Piergiorgio, per una volta – mirabile dictu – sono stato quasi d’accordo con te.

#3 aggiornamento: youtube.


Le tre forme di anticlericalismo

LE TRE FORME DI ANTICLERICALISMO

 
La recente vicenda della bufala montata su Santa Mary MacKillop, nonché la storia paradossale di questa suora che in vita sua si trovò ad essere scomunicata ed ora è stata canonizzata, mi  hanno spinto a riflettere su quella cosa che chiamiamo anticlericalismo e sulle sue varie manifestazioni. Una febbre maledetta che speriamo passi subito e la correlativa insonnia mi spingono a scrivere.
Per come la vedo io, ci sono circa tre forme diverse di anticlericalismo: le chiamerò anticlericalismo ideologico, anticlericalismo empirico, anticlericalismo costruttivo. Sintetizzando all’estremo si può dire che la prima forma è “cattiva”, la seconda è “media” e la terza è “buona”. Vediamo perché.

L’anticlericalismo ideologico è tipico di chi odia la Chiesa cattolica principalmente perché vuole odiare, come posizione di principio, ed è ormai umanamente assai difficile per non dire impossibile smuoverlo dalle sue convinzioni. L’anticlericale del primo tipo non odia più la Chiesa sulla base di vari motivi, ma ormai cerca motivi per odiare la Chiesa; e se anche gli si dimostra che alcuni di questi motivi sono inconsistenti, si dimostra estremamente restio ad abbandonarli per l’uno o l’altro degli atteggiamenti mentali che lo caratterizzano, ovvero la malafede e il dogmatismo, che praticamente formano due sottocategorie.
L’anticlericale in malafede è la concretizzazione dell’aforisma di Chesterton “uomini che cominciano a combattere la Chiesa per amore della libertà e dell’umanità, finiscono per combattere anche la libertà e l’umanità pur di combattere la Chiesa”, ovvero del “calunniate calunniate qualcosa resterà” attribuito a Voltaire. Semplicemente l’anticlericale in malafede sa che almeno alcune delle cose negative che dice sulla Chiesa sono fasulle, ma non gliene importa, perché il fine giustifica i mezzi: bisogna spingere quante più persone possibile a odiare la Chiesa, e per distruggere il nemico e rendere il mondo un posto migliore va bene anche l’inganno. Ammettere che sulla Chiesa si può anche dire qualche cosa di positivo, ovvero che quella cosa negativa non è vera, indebolisce la causa e per principio non si fa (a meno che non faccia parte di una strategia più sottile, come coltivare file di “utili idioti” all’interno del nemico). Di solito l’anticlericale in malafede conosce tutti i 38 stratagemmi retorici di Schopenhauer, quantomeno sul piano pratico, e li usa senza ritegno.
Esempio di anticlericale in malafede.
L’anticlericale *dogmatico* è la vittima e il sodale dell’anticlericale in malafede, perché si beve le sue panzane e gli dà manforte: è quello che crede ciecamente e prontamente a tutto ciò che di negativo gli viene detto sulla Chiesa, perché ormai la sua forma mentis si è cristallizzata nella formula “Chiesa cattiva”. A differenza del tipo in malafede, il dogmatico inganna non solo gli altri ma anche sé stesso, e assistere alle sue contorsioni logiche e alle sue arrampicate sugli specchi per non mettere in questione il dogma mette tristezza oltre che sdegno. La tristezza è tanto maggiore se si considera che il tipo dogmatico accusa i cattolici di ciò che egli stesso attua in prima persona senza accorgersene, ovvero A) fideismo verso l’autorità indiscutibile, che nel suo caso è colui che afferma cose negative sulla Chiesa B) volontarismo, ovvero crede a qualcosa più perché ci vuole credere che in base a motivi empirici o razionali. Il dogmatico non esita a rigettare l’esperienza e la ragione per proteggere il suo dogma, allo stesso tempo proclamandosi a gran voce paladino della razionalità e dello scetticismo, e perciò vive immerso nella cosiddetta dissonanza cognitiva, ovvero nel bispensiero orwelliano.
Esempio di anticlericale dogmatico.
La linea di demarcazione tra l’anticlericale in malafede e il dogmatico non è netta, anzi forse convivono entrambi (non rinuncio a sperare che sotto sotto il dogmatico sappia almeno inconsciamente che ciò che sostiene è falso), comunque li si può distinguere da fattori sottili come l’abilità o la spudoratezza con cui svicolano per non ammettere l’evidenza. Di solito il tipo in malafede è alquanto intelligente, salvo che si tratta di intelligenza volta ad ingannare il prossimo; il dogmatico invece può essere una persona generalmente stupida (ammesso che si possa dare una definizione univoca dell’intelligenza e della stupidità, cosa di cui dubito fortemente), ma attenzione può darsi anche di no, può dimostrare intelligenza anche notevole per tutti gli ambiti che esulano dalla questione “lotta contro la Chiesa”. Si avvisa di non commettere l’errore odifreddiano e bollare i propri opponenti come cretini da sbeffeggiare, non solo perché poco gentile ma anche perché sbagliato: il *dogmatismo* non è semplicemente stupidità, ma una patologia della logica ben più sottile.

L’anticlericalismo empirico di solito è lo stato precedente dell’ideologico: l’empirico odia la Chiesa non per volontà ma per verità, cioè sulla base di vari motivi che lui reputa in buona fede veri, a torto o perfino a ragione (vedi anticlericalismo numero tre). Siccome però l’empirico non ha ancora odiato abbastanza da diventare ideologico, se gli si dimostra concretamente che il tale motivo è falso, l’empirico è anche disposto ad ammettere l’evidenza e a dire “ok, fermi restando tutti gli altri motivi per essere contro la Chiesa, questo in particolare è inconsistente e io lo rigetto”. Su questa base è possibile costruire un dialogo onesto, e da cosa nasce cosa.
Confesso di avere molta simpatia e comprensione verso gli anticlericali empirici per un motivo assai banale: ero uno di loro. Come ho già detto altre volte qua e là, dopo la prima comunione fatta sulla base di un cattolicesimo abitudinario e zuccheroso sono stato uno di quelli che abbandonano, e ho passato l’adolescenza oscillando tra una vaga fede tiepida e confusa e un ateismo astioso verso la Chiesa (basato fondamentalmente su due fattori: 1. la questione sesso 2. il piacere di sentirmi più intelligente dei credenti cretini che vedevo attorno a me). Se mi aveste conosciuto verso i 16-17 anni, probabilmente molti di voi mi avrebbero dato per spacciato e irrimediabilmente instradato verso il laicismo e l’anticlericalismo ideologico. Il fatto che io adesso tenga addirittura un blog cattolico è, non dirò la prova ma quantomeno un consistente indizio, del fatto che i miracoli avvengono e non si deve mai smettere di sperare.
Ciò che mi ha salvato è stato (non solo il dito divino, ma anche) il fatto che io, anche nei periodi di anticlericalismo più acceso, avevo conservato l’attaccamento alla verità. Ero appunto empirico e non ideologico. Quando ho cominciato verso la maggiore età ad ampliare gli orizzonti e approfondire certi argomenti, anche grazie alla nascente diffusione di internet e alla nuova facilità di informarmi, ho constatato con estremo stupore che molte delle cose negative che pensavo di sapere sulla Chiesa cattolica, apprese fondamentalmente da fonti anticattoliche, erano semplicemente SBAGLIATE. I rudimenti di storia imparati da C’era una volta l’uomo e ben sedimentati da bambino, la morale cattolica male insegnata al catechismo e presto sostituita da cose “i cattolici dicono che” lette qua e là o sentite da certi professori, a un certo punto l’edificio si è crepato e ormai non potevo fare finta di niente, non potevo ingannarmi da solo, per quanto doloroso fosse ammettere che “oh cazzo! ma allora su questo hanno ragione, e anche su questo, e su quest’altro! Ma perché nessuno me l’ha mai detto prima???”. Ero affezionato alle mie idee, ma ero ancora più affezionato alla verità, e se avevo scoperto che le mie idee non erano la verità allora non potevo non cambiarle.
C’è un romanzo molto bello di Richard Matheson, Io sono Helen Driscoll, che è la storia di un uomo che comincia a vedere uno spettro nel soggiorno. Lo spettro non fa niente di eclatante, ma c’è e il protagonista continua a vederlo anche se non vorrebbe. A un certo punto vorrebbe ignorarlo, comportarsi come se non ci fosse, continuare a vivere come prima, ma ormai non può, non si può fare finta di niente. Ecco, per me in quel periodo la verità era come Helen Driscoll e io non potevo andare avanti come prima, anche se sarebbe stato indubbiamente più comodo.
Questa è stata la pars destruens del mio anticlericalismo empirico, la pars costruens di ciò che sono ora è arrivata più tardi quando ho incontrato dal vivo strani alieni mai visti prima, gente che era credente eppure non sembrava cretina, ma questa è un’altra parte della storia e ai fini del nostro discorso ora non interessa. Tutto questo per dire che l’anticlericale empirico, proprio in quanto empirico, non va né odiato né combattuto: va solo aiutato da chi, magari più per “fortuna” che per merito, ha faticosamente scoperto che quei suoi motivi per odiare la Chiesa sono sbagliati.
Beh, magari non tutti (vedi sotto).
Esempio, almeno spero per lui, di anticlericale empirico (in verità ogni tanto sfociante nell’ideologico, caro cinas, ma ti faccio credito di fiducia).

L’anticlericalismo costruttivo, infine. Stavo per chiamare cattolico, poi mi è sovvenuto che può praticarlo anche chi non crede la Chiesa ma comunque non le è ostile.
Si tratta dell’atteggiamento di chi odia non la Chiesa, ma le sue degenerazioni, le violazioni del mandato evangelico praticate dagli uomini concreti che compongono la cd. Chiesa militante, cioè noi stessi che siamo ancora vivi (ci sono anche le anime del purgatorio e del paradiso, Chiesa purgante e trionfante, e sono Chiesa anche loro). Lo chiamo anticlericalismo costruttivo appunto perché esso è una critica costruttiva, non è mossa da odio verso il criticato, ma al contrario da amore: ti critico proprio per aiutarti a migliorare. Ed è anticlericalismo appunto se per clericalismo si intende non il cattolicesimo come deve essere, ma il cattolicesimo tradito e male applicato.
Facciamo chiarezza su un punto: dire che la Chiesa è perfetta è vero o falso a seconda di cosa si intende per Chiesa. Se s’intende la Chiesa nel senso più preciso e metafisico, cioè la Sposa di Cristo, composta da coloro che sono in comunione con Dio, allora è vero: ma poi bisogna immediatamente aggiungere che chi si comporta male è uscito dalla Chiesa, non è più Chiesa e ci può ritornare solo con il pentimento e la riparazione. In realtà, siccome tutti quanti ci comportiamo male, la linea di frontiera della Chiesa passa nel cuore di ogni cattolico e tutti quanti stiamo e oscilliamo tra il dentro e il fuori.
Se invece intendiamo la Chiesa nel senso più visibile e sociologico, cioè quelli che professano la fede cattolica, allora è chiaro che dire che la Chiesa è perfetta è dire una gran fesseria. La Chiesa militante si chiama così proprio perché combatte contro i suoi stessi difetti, che Cristo non ha voluto togliere perchè se si doveva togliere la libertà agli uomini allora non c’era bisogno di morire in croce. I tradimenti e i vizi di noi cattolici, compresi anche i sacerdoti e i vescovi e perfino qualche papa, ci sono sempre stati e sempre ci saranno e la storia della scomunica che fu ingiustamente inflitta a Santa Mary MacKillop ne è un esempio. I fatti raccontati nella Divina Commedia da Dante (grande anticlericale cattolico) su tutti quei pontefici da lui messi all’inferno sono un altro esempio. I vescovi che hanno sciaguratamente coperto i preti pedofili sono un altro schifosissimo esempio. Ogni tanto su Messainlatino trovo altri esempi (anche se va detto che lì nei commenti spesso si esagera in senso opposto e pare che nella Chiesa odierna tutti-tutti abbiano tradito tranne i lefebvriani, cosa che non è, vedi sotto ultimo paragrafo). Le “colpe storiche” per cui Giovanni Paolo II chiese coraggiosamente scusa a nome della Chiesa sono altri esempi. L’ultima volta che ho rifiutato di aiutare quella persona là, che pure magari aveva tanto bisogno del mio aiuto, è un altro esempio. Eccetera, eccetera, eccetera.
È chiaro allora che tutti noi cattolici dovremmo essere anticlericali costruttivi. Perlomeno io ci provo, anche se criticare gli errori altrui è facile e a volte addirittura piacevole (il che non è bello), riconoscere i propri è invece assai più fastidioso. È chiaro altresì che tra l’anticlericale empirico e l’anticlericale costruttivo ci può essere una concordanza di fatto, perché entrambi vedono qualcosa che non va nella Chiesa, salvo che il primo l’attribuisce alla Chiesa in sé e il secondo a un brutto scivolamento della stessa. Dubito invece che ci possa essere consonanza tra l’anticlericale costruttivo (perlomeno quello ortodosso, vedi sotto) e l’anticlericale ideologico, perché quest’ultimo, proprio per la malafede o il dogmatismo che lo muovono, tende a passare dalla parte del torto perfino quando avrebbe di fatto ragione.
Visto che ancora non dormo, conviene precisare che l’anticlericalismo costruttivo è per i cattolici un dovere ma bisogna saperlo usare, perché succede pure che i cattolici si facciano fregare e diventino strumenti di chi odia la Chiesa, principalmente il nostro tenebroso Avversario. Penso ai cattolici che hanno studiato storia dagli anticattolici e si sono convinti di un passato fosco e tenebroso da rigettare, in nome di una Chiesa moderna, oppure viceversa ai cattolici che schifano completamente il presente attuale della Chiesa e rimpiangono un passato tanto bellissimo quanto mitizzato e irreale. Poiché tutto può degenerare, in casi estremi l’anticlericale costruttivo diventa eretico e scismatico: critica continuamente la Chiesa che ha di fronte, sopravvalutando il male e sottovalutando il bene, e le sue critiche da costruttive diventano distruttive ed ecco che il nostro anticlericale costruttivo vuole costruire una ipotetica Chiesa diversa, fatta come dice lui, che però se uno fa bene attenzione si accorge che per un verso o per l’altro non è proprio uguale uguale alla Chiesa come l’ha istituita Cristo. In effetti a questo punto si può perfino verificare il perverso connubio tra l’anticlericale costruttivo – diventato ormai distruttivo – e l’anticlericale ideologico, il secondo che usa il primo (l’utile idiota di leniniana memoria) per distruggere la Chiesa esistente facendogli balenare la possibilità di costruirne una nuova e “migliore”, salvo poi sbarazzarsene appena non serve più allo scopo (es. certi prelati “progressisti”, prima coccolati dalla stampa laicista e poi affondati al momento giusto).

Insomma, in termini di logica formale:

Anticlericalismo ideologico    ≡ anticattolicesimo.
Anticlericalismo empirico      ≈ anticattolicesimo.
Anticlericalismo costruttivo    ≠ anticattolicesimo.

(Vorrei ampliare la tabella ma i neuroni sono al pit stop, se ho sbagliato qualcosa correggetemi e considerate che non dormo da ventiquattr’ore, ora pubblico il post e cerco di chiudere finalmente occhio. Buona giornata a voi e buonanotte a me)


Il caso Rautavaara

Il caso Rautavaara

 

No Alessandro, non penso affatto che questo racconto di Philip K. Dick sia blasfemo, anzi può essere utilissimo per capire un aspetto particolare del cristianesimo e cioè la sua concezione assolutamente rivoluzionaria del sacrificio e del rapporto uomo-Dio.

Bisogna conoscere il racconto per capire di che stiamo parlando, chi non ha problemi con l’inglese può leggerlo qui, gli altri dovranno scapicollarsi in libreria a comprare il massiccio volume Tutti i racconti 1964 – 1981 (che merita assolutamente i 25 € non foss’altro perché c’è pure Le pre-persone) altrimenti dovranno accontentarsi del mio misero riassunto.

 

Tre tecnici umani su un’astronave hanno un impatto accidentale con dei meteoriti e muoiono. All’incidente assistono per caso delle intelligenze aliene fatte di plasma e sostanzialmente prive di corpo, dal cui punto di vista è narrata tutta la storia, che hanno stipulato con i terrestri degli accordi di mutuo soccorso e perciò cercano di assistere gli umani (“noi non desideravamo aiutarli, ma rispettiamo le regole”). Due dei terrestri sono troppo danneggiati e non c’è nulla da fare, ma la terza, tale Agneta Rautavaara, ha ancora i tessuti neurali abbastanza integri e perciò il robot degli alieni cerca di recuperarla, ripristinando le sue funzioni cerebrali e a questo scopo fornendo al cervello ossigeno tratto dallo stesso corpo morto della donna (l’alieno narratore allude al quesito se sarebbe stato più opportuno usare il corpo dei suoi compagni morti, considerazione molto interessante col senno di poi). A questo punto gli alieni, che nel frattempo hanno consultato via radio gli umani sulla terra per informarli dell’accaduto, decidono di monitorare a scopo diagnostico i pensieri del cervello della terrestre.

Ecco allora che alieni e umani scoprono con sorpresa che, nei pensieri del cervello della terrestre, lei e gli altri due sono sopravvissuti all’incidente e sono visitati sull’astronave da una Figura che compare in mezzo a loro e che è Gesù Cristo, con tunica sandali barba e aureola, preciso uguale all’iconografia tradizionale (“proprio come nella pubblicità olo delle chiese terrestri”). Cristo pronuncia una serie di frasi palesemente tratte dai vangeli. I tecnici si dividono tra fervore mistico e scetticismo e inquietudine.

Gli alieni che osservano i pensieri della terrestre sono tutti eccitati perché ritengono che lei stia vivendo una vera esperienza ultraterrena, come se avessero una sorta di telecamera sull’aldilà: “eravamo in contatto con l’altro mondo e con le forze che lo dominano”. Gli umani sulla terra invece pensano sia tutta un’allucinazione e insistono per spegnere il cervello della donna. A questo punto l’alieno narratore, dopo aver notato quanto trovi bizzarra e primitiva la concezione umana del Salvatore, decide che sarebbe “interessante” introdurre nel cervello della terrestre, che è pur sempre tenuto in vita dai mezzi artificiali alieni, delle variabili collegate alla concezione aliena dell’aldilà. L’obiezione fatta dai suoi compagni che ciò contraddice la precedente considerazione della vicenda è respinta con l’enigmatica ossimorica risposta “Entrambe le cose sono vere, è una finestra sull’altro mondo ed è una rappresentazione delle propensioni culturali della razza di Rautavaara”, e l’alieno mette in pratica la sua decisione.

Nella visione della terrestre, Cristo invita gli astanti a credere in lui per avere la vita eterna, ma subito dopo i tecnici avvertono in Lui un sottile mutamento. Ed ecco che Cristo si avvicina ad uno di loro e lo morde e lo divora. Orrore degli altri due. La Figura dice “io bevo il suo sangue, il sangue della vita eterna, e vivrò per sempre. Io non possiedo un corpo, sono soltanto plasma, e mangiando il suo corpo ottengo la vita eterna. È questa la nuova verità che io proclamo: la mia eternità”. Rautavaara e il tecnico superstite si difendono a colpi di pistola laser e uccidono la Figura, che muore dicendo “Eli, Eli, lama sabachtani?”.

A questo punto gli umani sulla terra intervengono e interrompono l’esperimento alieno di ibridazione teologica, spegnendo il cervello di Rautavaara e rimproverando aspramente gli alieni. Il narratore commenta: “Avevamo visto l’inizio di un esperimento scientifico assolutamente sorprendente: la teologia di una razza trasfusa in quella di un’altra. Spegnere il cervello della terrestre fu una tragedia scientifica. Per esempio, nei termini del rapporto di base con Dio, la razza terrestre possedeva un punto di vista diametralmente opposto al nostro. Questo, ovviamente, va attribuito al fatto che loro sono una razza somatica, mentre noi siamo di plasma. Loro bevono il sangue del loro Dio; mangiano la sua carne; e così diventano immortali. Per loro non vi è scandalo in ciò, lo trovano perfettamente naturale. Eppure per noi è mostruoso. Il fedele che mangia e beve il proprio Dio? Mostruoso per noi, veramente mostruoso. Un orrore e una vergogna; un abominio. Il superiore deve sempre cibarsi dell’inferiore; il Dio deve consumare il fedele.” Le ultime parole dell’alieno narratore esprimono sorpresa per la condanna morale ricevuta dagli incomprensibili esseri umani a seguito della vicenda, e per l’abisso che separa razze che si sono sviluppate in sistemi stellari diversi, nonché rammarico per il fatto che ciò che egli definisce il Salvatore non sia riuscito a mangiare anche l’altro tecnico e Rautavaara.

 

Cos’è questo racconto e cosa vuole essere? Una fantasia cristologica frutto dell’immaginazione di un PKD già gnosticheggiante e/o sotto allucinogeni? Uno scherzo grottesco o qualche paginetta buttata giù da vendere a una rivista per pagarsi l’affitto del mese prossimo? Una metafora della diversità culturale e degli equivoci che ne possono sorgere?

Ecco quello che vedo io: la concezione teologica dell’alieno non è affatto “aliena”, ma rappresenta una diffusissima visione religiosa pagana e precristiana, e anche postcristiana lì dove il cristianesimo è stato rifiutato e combattuto. Dio è in alto, l’uomo è in basso, fine. Lui non viene a morire per te, sei solo tu che devi morire per lui. Il sacrificio è qualcosa che Dio non fa altro che chiedere: oro, verdure bruciate, animali scannati, prigionieri che urlano di agonia mentre il pugnale strappa il cuore oppure martiri che si fanno esplodere tra gli innocenti urlando la grandezza di un Dio che odia gli infedeli e sottomette i fedeli… Qui non c’è pietà. Qui non c’è la compassione. Qui non c’è vero affetto. Ci sono solo la forza, l’arbitrio, l’ingordigia di potere. Dio sopra e tutti gli uomini sotto – alcuni uomini un po’ meno sotto perché sono una casta di eletti, una conventicola gnostica di illuminati, un clero incaricato di accrescere e mantenere la sottomissione dei sottomessi, e intanto si accalcano per spartirsi bramosamente le briciole dello spietato potere divino.

 

Ecco, se io avessi questa concezione della divinità, la odierei e la bestemmierei e troverei giusto combatterla con tutte le mie forze. Sarei forse il più antiteista degli antiteisti e il più anticlericale degli anticlericali. Forse è per questo che a volte provo simpatia e comprensione per coloro che possiamo genericamente definire come gli atei e gli anticlericali (beninteso, per quelli in cui non vedo disonestà intellettuale): perché la distanza tra noi è minore di quanto può sembrare, perché la loro battaglia è un po’ anche la mia, perché da una certa parziale ma non insignificante prospettiva addirittura hanno ragione giacché questo dio qua non esiste, e se esistesse dovremmo ergerci come Capaneo e urlare con tutta la forza che abbiamo e mandarlo affanculo. In un certo senso, gli atei anticlericali fanno la guerra giusta contro il bersaglio sbagliato.

Ma la differenza tra me e gli atei anticlericali è appunto questa: che io sono cristiano e so che questa visione religiosa è un idolo, uno schermo comodo, un dio falso e bugiardo dietro il quale si nascondono uomini e demoni. Perché il cristianesimo ha rovesciato questa visione e ha realizzato l’unica rivoluzione che abbia mai veramente funzionato. Dio non resta in alto ma scende in basso, nella povertà, nella feccia, nella merda in cui tutti noi poveri cristi ci arrabattiamo giorno dopo giorno dopo giorno dopo giorno.

(che poi, poveri cristi: ma dove si era mai sentito prima e dove si è mai sentito dopo il nome di una divinità usato come sinonimo di sofferenza ed evocativo di compassione? Si è mai pronunciato sulla faccia della terra un povero anubi, povero zeus, povero allah?? Ma quale cultura ha prodotto mai un’esclamazione spontanea che legasse così intrinsecamente la gloria celeste e la fatica del vivere umano??? Ma com’è bella e significativa quest’espressione, un povero cristo!)

Già il Dio di Abramo, il Dio di Israele, aveva rifiutato Isacco e con lui tutti i sacrifici umani; ma poi Dio si rivela in Cristo, che è a un tempo sacerdote e altare e sacrificio, e pone fine a tutti i sacrifici rituali perché egli stesso è il sacrificio supremo e definitivo. E la logica religiosa del superiore che mangia l’inferiore, questa specie di implacabile darwinismo ante litteram, è scardinata alla radice: ora è l’inferiore a nutrirsi del superiore, perché è il superiore stesso a darsi come cibo e bevanda. Dio potrà ancora chiederti (non ordinarti, chiederti) di morire per lui, ma non semplicemente perché lui è Dio e perché lui è potente e perché sì e zitto, ma proprio perché prima è stato lui a morire per te.

 

Ma allora, data la rivoluzionarietà di questa concezione, come meravigliarsi del fatto che non tutti l’abbiano accolta, che ci sia stato e ci sia tuttora e sempre ci sarà chi la rifiuta e la combatte e non la capisce?

Ed ecco che l’alieno del racconto di PKD si rivela ancora una volta drammaticamente umano: vede una rappresentazione di Cristo ma non la comprende, forse perché non può o non vuole, e la cambia per farla rientrare in qualcosa che sa capire, qualcosa a cui è abituato e che non minaccia i suoi canoni culturali. Sfortunato – ma anche colpevole – colui che rifugge il terribile confronto con la realtà colta nella sua totalità e preferisce rifugiarsi nell’ideologia, nel piacere illusorio di un qualche vicodin psicologico, in un preconcetto comodo e frusto come un paio di vecchie pantofole. E mentre la concettualizzazione operata dall’alieno a proposito delle differenze tra corpo e plasma ricorda certi miopi tentativi di fenomenologia della religione, che riducono tutto quanto  a cause storico-culturali e negano tutto ciò che trascende l’appagante schemino preconfezionato, il suo esperimento scientifico di ibridazione teologica diventa spaventosamente familiare. Il Cristo cannibale, il Salvatore che mangia anziché offrirsi per essere mangiato, è soltanto l’ultimo o penultimo anello della catena di falsi cristi già preconizzata da Mt 24, 24 e Mc 13, 22 e che dura da circa duemila anni, dall’eone in missione segreta delle conventicole gnostiche al cristo radicale del farneticante don giorgio de capitani passando per il cristo carbonaro e il cristo socialista e il cristo dell’esegesi protestante e il cristo dell’esegesi fintocattolicaesottosottoprotestante e il cristo protofemminista e il cristo hippy e il cristo volemosebbene e il cristo “ahòmacheddevofàchenuncestòacapìgnente?” e tutti i cristi vattelappesca che una variopinta umanità ha dovuto inventare fondamentalmente perché Gesù il Cristo, quello vero, era troppo limpido per gli orgogliosi e troppo mite per i colmi d’odio e troppo casto per i rattusi e troppo autorità per gli eversivi etc. etc. etc.

 

(presagisco già la possibile obiezione di qualcuno: ma come fai ad essere così sicuro di averlo capito tu il “vero” cristo, come fai ad escludere così categoricamente che anche la tua non è che l’ennesima ricostruzione tendenziosa di un cristo adulterato ed orientato agli interessi di una specifica casta/cultura/politica/eccetera?

Per questa obiezione non ho che una risposta, cioè che io credo nella ragionevolezza della fede. Che io credo che scegliere un cristo piuttosto che un altro non sia un atto dettato dal sentimento o dal fideismo puro, nel qual caso sarebbero pressappoco tutti uguali, ma l’esito probabile di una ponderazione attenta e cauta e addirittura oggettiva. Che io credo, come il Papa autore del Gesù di Nazareth, che il Cristo emergente dai quattro vangeli sia davvero una figura molto più logica e dal punto di vista storico anche più comprensibile delle ricostruzioni con le quali ci siamo dovuti confrontare negli ultimi decenni e secoli e millenni, una figura storicamente sensata e convincente. E che in generale io credo davvero che un essere umano possa sia pur faticosamente arrivare a una verità oggettiva talora addirittura inconfutabile e lampante nella sua veridicità, nonostante tutti le possibili opinioni sbagliate in cui altri meno fortunati o meno volenterosi o meno intellettualmente onesti possono incappare: che io credo che l’esistenza degli errori non provi l’inesistenza della verità.)

 

 

Alla fin fine, la conclusione di questo post è molto semplice. Dopo duemila anni la Terra è ancora piena di umani che ragionano come l’alieno narratore del racconto di PKD, e ancora s’aggirano per il mondo miti imitatori e ingannatori come quella Figura vorace, e c’è sempre un caso Rautavaara che accade da qualche parte nel mondo. Attenti al cannibale, attenti al pericolo nascosto.

Dai frutti li riconoscerete.

 


L'antropologo

L’antropologo

 

 

Nel primo “Diario minimo” di Umberto Eco, una raccolta di vari divertissements letterari, c’è uno scritto molto spiritoso intitolato “Industria e repressione sessuale in una società padana” (qui se ne possono leggere alcuni brani). Si tratta della parodia di un saggio antropologico nel quale, con singolare inversione di ruoli, è il “civilizzato” polinesiano ad intraprendere un viaggio di studio presso i “primitivi” occidentali, per l’appunto gli abitanti della pianura padana, con l’intento di studiare e documentare i loro arretrati usi e costumi.

Sennonché, lo studioso usa nei confronti della cultura studiata la stessa inconscia saccenteria, il medesimo complesso di superiorità, l’uguale approccio politicamente corretto e tutto il connesso armamentario ideologico tipico di gran parte degli studi antropologici; con l’ovvia conseguenza che lo sventurato accademico incorre in cantonate esilaranti, come quando interpreta la natura delle partite di calcio come riti cannibalistici di massa, oppure come quando connette alla disastrosa manutenzione stradale e ai conseguenti incidenti mortali la funzione di sacrifici umani offerti dai capi del villaggio milanese alle divinità locali.

In effetti, sotto l’apparenza della parodia, l’autore vuole evidenziare alcuni caratteri paradossali dei nostri usi e costumi cosiddetti civili (tant’è che talvolta le intuizioni dell’antropologo, per quanto sgangherate, a pensarci bene hanno un inquietante fondo di verità); ma al tempo stesso il pezzo funziona come denuncia di un certo modo di guardare “gli altri” con le lenti del pregiudizio, della compiaciuta ed egocentrica certezza nella propria superiorità, e della sottintesa mancanza d’interesse nel capire veramente chi è l’altro. E i risultati di un simile approccio sono al tempo stesso ridicoli e tragici.

 

Lo scritto di cui sopra mi è venuto in mente leggendo i post di un personaggio che da qualche tempo si è imbarcato nell’impresa di “osservare antropologicamente” i blog cattolici impegnati in temi etici e politici, allo scopo di conoscerli per combatterli, e che ultimamente ha onorato anche me della sua attenzione (per chi volesse leggere di persona, qui).

La sua indagine sociale mi ricorda per certi versi quella parodia di antropologia, anche se il paragone gli è indubbiamente sfavorevole: perché non solo il nostro improvvisato antropologo ha una comprensione della fenomenologia cattolica paragonabile a quella di quel dotto polinesiano che studiava la vita milanese, ma per di più egli è tragicamente carente degli understatements e della sotterranea ironia che pervadeva la prosa di Eco. Purtroppo l’unica ironia che promana dai suoi post è l’ironia involontaria che nasce dall’accumularsi di insulti lanciati all’interlocutore che avesse la ventura di coglierlo in fallo, dalla ripetuta derisione carica di disprezzo verso il “selvaggio” oggetto di studio, dal continuo ricorso a paroloni roboanti e all’autorità veneranda di intellettuali tromboni, e dal suo continuo insistente pavoneggiarsi nell’esaltare la sua stessa propria superiorità e il suo compiaciuto snobismo culturale.

Tutto questo da un lato mette un po’ tristezza, perché è sempre sconfortante vedere quando in basso può cadere un essere umano (qualunque essere umano); ma d’altra parte dovrebbe consolare tutti noi “selvaggi”, perché se siamo insultati per i nostri discorsi vuol dire che danno fastidio, sono efficaci, e stiamo facendo quello che siamo chiamati a fare. Dopotutto, ci era forse stato promesso qualcosa di diverso?

(Mt 5, 11…)

 

Perciò, le ingiurie del nostro appassionato detrattore le considero medaglie al valore e come tali ne tengo gran conto, e così invito a fare tutti coloro che ne sono stati onorati.

E nel frattempo, come sempre accade, gli antropologi da strapazzo trovano già la propria punizione in re ipsa: nel proprio stesso intrinseco ed inesorabile essere tanto, tanto, tanto ridicoli.

 


Il Dysangelium di Odifreddi (3)

Il Dysangelium di Odifreddi (3)

 

 

(continua da 1) (continua da 2)

 

C’era una volta il libro di Piergiorgio Odifreddi Il Vangelo secondo la Scienza – le religioni alla prova del nove: un libercolo con cui l’autore, con la consueta modestia che gli è propria, si riprometteva di risolvere il più grande problema dell’umanità e confutare definitivamente le religioni passandole al vaglio della sua scienza, dimostrandone l’assurdità (secondo la nota uguaglianza per cui credenti = cretini).

C’erano altresì una volta un paio di post scritti dal sottoscritto, nei quali elencavo certosinamente alcuni esempi degli errori colossali e delle sleali panzane propinate dall’autore allo sfortunato lettore. Nelle mie intenzioni iniziali quei due post avrebbero dovuto essere seguiti da molti altri, sennonché, vuoi per pigrizia, vuoi per il tempo scarseggiante, vuoi perché elencare tutti gli errori del Nostro era un compito improbo, lasciai cadere il progetto.

E che cosa scopro adesso? Che il dysangelium odifreddiano è stato ripubblicato in seconda edizione. Chissà se almeno qualcuna delle fesserie più plateali è stata emendata, ma forse è più probabile che ne siano state aggiunte delle altre. Non ho intenzione di pagare il prezzo di copertina per saperlo, ma è l’occasione per ripescare dallo scaffale della monnezza la mia copia del libro e spenderci sopra qualche altra parola.

 

Ormai ho capito la tecnica adoperata da Odifreddi per incantare i suoi lettori. Chiamiamola tecnica dell’affastellamento: consiste nell’accumulare in rapida successione una valanga di citazioni, rapide spiegazioni, alcuni dettagli minuziosi inframezzati in generiche riepilogazioni. Si dà al lettore l’impressione di avere una cultura vastissima, di aver letto un sacco, di conoscere a menadito ciò di cui si sta parlando. Pertanto le opinioni del Nostro riguardo ciò su cui egli va sproloquiando, siano esse esplicitamente presentate nero su bianco o sottilmente implicite da leggersi tra le righe, appaiono ammantate di una qual certa aura di attendibilità.

Sennonché, la quantità è inversamente proporzionale alla qualità. Come tutti i tuttologi superstar, Odifreddi accenna a un sacco di cose ma non ne approfondisce nessuna. Il livello della sua divulgazione è da estratto del sunto del compendio del bignami: un paragrafo per questo, un paragrafo per quest’altro, due frasi citate in corpo otto, ed ecco esaurita la materia e passiamo al prossimo argomento. Il lettore va abbacinato con l’apparenza enciclopedica, per non farlo accorgere della sostanziale inconsistenza dell’intruglio.

 

Esempio concreto. Nel terzo capitolo del libello, il Nostro affronta il problema delle diverse interpretazioni teologiche dell’origine del mondo. Quanto credete che ci voglia all’eroico Odifreddi per liquidare la faccenda? Nella mia edizione Einaudi tascabili del 1999, dieci (10) pagine. Ovviamente sono dieci pagine pregne di erudizione: un paragrafo dedicato alla cosmogonia egiziana secondo Eliopoli e Menfi, una citazione dalla Pietra di Shabaka, 4 righe sul mito tebano di Amon, un paio di paragrafi sui miti della Mesopotamia, qualche riga sulla Teogonia di Esiodo… sulla Genesi, mercè l’accanimento critico accordato al cristianesimo, l’autore si dilunga parecchio: addirittura una paginetta e mezzo. A seguire in veloce successione islam, zoroastrismo, miti dell’India, miti dell’America precolombiana, Aristotele e così via.

Orbene, tutta questa carrellata vorrebbe essere funzionale a giustificare quanto Odifreddi dichiara come concetto generale delle cosmogonie religiose (grassetti miei):

 

Particolarmente significativa è la contrapposizione fra creatore e creatrice, fra Dio Padre e la Grande Madre. Il modello maschile è tipico di società sviluppate e patriarcali, intende la creazione come una eiaculazione, cioè come un’attività esterna, intellettuale o artistica, e produce una divinità trascendente e distaccata, interessata a opere e azioni, tutta dedita a imporre, giudicare e castigare. Il modello femminile è invece tipico di società primitive e matriarcali, descrive la creazione come una gravidanza, cioè come un processo interno, fisico o biologico, e conduce a una divinità immanente e coinvolta, focalizzata sulla vita, e più propensa a chiedere, comprendere e aiutare.

Il passaggio da un genere all’altro è testimoniato dall’evoluzione della parola spirito: da femminile nelle lingue semitiche (ruah), essa divenne neutra in greco (pneuma) e poi maschile in latino (spiritus).

Una volta presa dimestichezza con i caratteri generali a cui abbiamo appena accennato li si potrà facilmente ritrovare negli specifici miti di creazione presenti nelle tradizioni religiose, come una rapida carrellata nello spazio e nel tempo dimostrerà.

 

Dal che si vede che il Nostro si mette a flirtare con il mito storico, caro alla vulgata new age, della pseudo-età dell’oro di quando le società matriarcali pacificamente adoravano la Grande Madre e poi la pacchia è finita quando si è cominciato ad adorare il Dio Padre e a fare la guerra.

Ebbene: posto che non sono in grado di seguire l’etimologia della parola spirito – salvo che dalla “evoluzione” odifreddiana dovrei forse dedurre che gli ebrei, poiché usavano la parola ruah, adoravano la Grande Madre – io ho dovuto rileggere due volte con attenzione il capitolo per realizzare che poi in concreto Odifreddi della Grande Madre non parla affatto. Per niente. Nell’ammucchiata di cosmogonie buttate lì una dopo l’altra, semplicemente non c’è. Andatela a cercare voi. Questo preteso carattere generale (lo stereotipo “Dio maschio cattivo – Dea femmina buona”), Odifreddi promette che “lo si potrà facilmente ritrovare” negli specifici miti religiosi della creazione, ma poi si guarda bene dal mantenere la promessa.

Ma quanti lettori, sballottati tra egiziani greci ebrei e così via, se ne accorgono?

 

Insomma, avete capito come si fa? Si accenna una considerazione velenosa sulla religione, e possibilmente sul cristianesimo in particolare; si dà l’impressione di poterla argomentare razionalmente e spiegare storicamente; dopodiché si stordisce il lettore con una carrettata di cultura a poco prezzo, per forza di cose estremamente vaga e generica. Alla fine l’accenno resta soltanto un accenno, poco argomentato e ancor meno provato; il lettore ideale però nel frattempo si è fatto l’idea che Odifreddi ha una cultura immensa, sicuramente sa quello che dice, e magari si è pure dimenticato quello che l’autore gli aveva promesso dieci pagine e venti citazioni fa; e perciò prende per buono tutto quello che gli propina il Nostro, che ha facile gioco a presentarsi come un geniale so-tutto-io.

 

E così, grazie a questo subdolo modo di scrivere, l’eccellente autore può in relativa sicurezza disseminare la sua opera di madornali fesserie; per esempio, a proposito dell’anima,

 

il secondo racconto [ndr della Genesi, quello di tradizione iahvista]  prosegue dicendo che la donna fu formata da una costola dell’uomo, ma non risulta dal testo se essa abbia un’anima oppure no: ambiguità che fu fonte di spiacevoli conseguenze, tuttora evidenti nella misoginia ebraica e cristiana.

 

Se Odifreddi avesse cercato meglio nella tradizione ebraica e cristiana, avrebbe forse potuto trovare qualche indizio sull’esistenza dell’anima della donna? Boh, forse sì, ma perché fare la fatica di cercare?

Oppure, nel capitolo “Paradossi”,

 

Uno degli insegnamenti più profondi e duraturi che il cristianesimo ha lasciato in eredità al mondo moderno è infatti proprio la concezione dell’irrazionalismo come superiore verità, invece che come vergogna: insegnamento di cui si sono poi appropriati quei sistemi filosofici e politici che hanno condotto il mondo contemporaneo all’assurdo e al paradossale.

 

Ed ecco due millenni di riflessioni sul logos e settecento anni di tomismo buttati nel gabinetto; e se abbiamo avuto l’irrazionalismo ottocentesco, con tutto quel che ne è seguito in termini di fascismo e nazismo, di chi è la colpa?

 

Il primo apparire del paradosso nella storia è la nascita del diavolo da Dio, cioè del male dal bene. Agli inizi Dio è solo, un’unità indivisa, ma nel momento in cui decide di guardare se stesso egli si sdoppia, diventando automaticamente osservatore e osservato, e crea così una scissione. E in greco “scissione” si dice appunto diabolh, un termine il cui contrario è sumbolh, la “riunione”: per questo Dio parla per simboli, e il diavolo per contrapposizioni.

 

Qualcuno sa da quale tradizione religiosa Odifreddi ha tirato fuori questa cosa di Dio che crea il diavolo guardandosi allo specchio e scindendo sé stesso?

E non vi perdete questa perla, a proposito dei paradossi del doppio vincolo (cfr post n.2):

 

Si noti comunque che comportamenti di tipo schizofrenico sono possibili anche nella vita quotidiana non patologica, in reazione a doppi vincoli isolati […] Una volta presane coscienza, i doppi vincoli si scoprono negli aspetti più svariati dell’attività umana. [ndr seguono esempi] La sessualità: si desidera che la propria partner eterosessuale sia “santa di giorno e puttana di notte”, o che il proprio partner omosessuale sia “un vero uomo”.

 

Insomma, per il Nostro è schizofrenico ritenere l’omosessuale un vero uomo: qualcuno allerti Grillini!

E ancora: nel capitolo “Giochi matematici”, dissertando sulla scommessa di Pascal e la teoria dei giochi:

 

Il ragionamento di Dio è il seguente. La cosa migliore è che l’uomo creda, meglio senza rivelazione, ma se necessario attraverso essa: infatti, “beati sono coloro che non hanno visto e hanno creduto (Giovanni, XX, 29), ma “se non vedete segni e prodigi, voi non credete” (IV, 48). Se però l’uomo sceglie di non credere, la cosa migliore è che lo faccia in mancanza di rivelazione, perché sarebbe la sua rovina se egli rifiutasse di credere anche di fronte alla rivelazione: “Chi non crederà sarà condannato” (Marco, XVI, 16).

Il ragionamento dell’uomo si può invece riassumere nel seguente modo. La cosa migliore è che Dio si riveli e l’uomo creda, la cosa peggiore che Dio si riveli e l’uomo non creda. Il problema sta dunque nel decidere che cosa fare nel caso che Dio non si riveli, e Pascal suggerisce appunto che sia meglio credere.

La teoria dei giochi considera un’opzione irrinunciabile (in termini tecnici, dominante) per un giocatore, se essa è preferita qualunque sia il comportamento dell’avversario: non seguirla sarebbe irrazionale, visto che la si preferisce in ogni caso. Non rivelarsi è irrinunciabile per Dio: se l’uomo crede avrà più merito e se non crede avrà meno demerito.

 

Qui parrebbe addirittura che Odifreddi sia sul punto di rendere un buon servizio al cristianesimo, fornendo un aggancio matematico per il Deus Absconditus, per il “c’è abbastanza luce per chi vuole credere e abbastanza buio per chi non vuole credere” di Pascal (che però si guarda bene dal citare).

Sennonché, forse preoccupato da tale orribile eventualità, ecco che subito dopo il Nostro aggiunge che

 

Un Dio razionale che abbia le preferenze che abbiamo appena descritto non deve allora rivelarsi: poiché tali preferenze sono state dedotte dal Vangelo [ndr con delle deduzioni inconfutabili!], il suo protagonista non può essere un Dio razionale, e dunque Cristo o non è Dio, o non è razionale. Entrambe le alternative sembrano possibili: da un lato, egli stesso non ha mai affermato direttamente di essere Dio, ma solo di esserne il figlio (cosa che, ci dicono, dovremmo essere tutti); dall’altro lato, la teologia irrazionale è appunto una variazione sul tema dell’irrazionalità del cristianesimo.

 

E così, al modico prezzo di qualche svarione esegetico, il rischio di parlar bene del cristianesimo è sventato. E per quanto riguarda Pascal,

 

Credere è invece irrinunciabile per l’uomo, se si accetta la posizione di Pascal: se Dio si rivela è impossibile non credere, e se non si rivela si rischia a meno di credere. Ma la posizione di Pascal non è l’unica possibile, visto che persino un apostolo, Tommaso, preferiva quella contraria: “non ci credo se non ci metto il dito” (Giovanni, XX, 25). Nel caso di Tommaso, credere non è irrinunciabile per l’uomo, perché nel caso che Dio non si riveli è meglio non credere. E neppure non credere è irrinunciabile, perché nel caso che Dio si riveli è meglio credere. Non ci sono allora comportamenti irrinunciabili per l’uomo, in questo caso. La scommessa di Pascal si è rivelata dunque un cinico bluff teologico.

 

Dal che si evince che Odifreddi pensa, o quantomeno vuol far pensare al lettore, che l’apostolo Tommaso fosse un ateo totale, che si rifiutava di credere non già alla resurrezione di Cristo e soltanto in quel suo limitato momento di debolezza, ma proprio al concetto stesso dell’esistenza di Dio. Ogni commento è superfluo.

 

Giunto alla fine, nell’ultimo capitolo “opzioni per il terzo millennio”, il Nostro tira le somme: dopo aver stabilito una volta per tutte, per esempio, che la creazione e la fine dell’universo cosmologicamente parlando sono solo possibilità e non necessità, o che il fallimento delle prove dell’esistenza di Dio dimostra che non solo non è razionale credere in Dio ma che è razionale non credervi… insomma, dopo aver brillantemente risolto i grandi problemi su cui l’umanità si affanna da millenni, Odifreddi potrebbe anche tirare un sospiro di sollievo e considerare l’opera terminata.

E invece purtroppo no, perché restano ancora i cretini che non ragionano:

 

In questo capitolo finale aggiungeremo alcune considerazioni generali sulle opzioni che si presentano a coloro che, nonostante ogni mancanza di evidenza, intendono perseverare sulla via della fede. Fermo restando, però, che sarebbe problematico ammettere nel mondo moderno occidentale, anche solo come provvisoria ipotesi assurda, la credenza nella religione cattolica, che è messa in discussione da due sue caratteristiche.

 

E quali sono?

 

La prima, generica, è il dogmatismo su cui si fonda, che la rende incompatibile con la concezione della dignità umana conquistata politicamente attraverso le rivoluzioni inglese, americana, francese e russa, e teorizzata filosoficamente da illuminismo, romanticismo, marxismo ed esistenzialismo.

 

Anzitutto notare il mirabile tempismo del Nostro che nel 1999, dieci anni dopo la caduta del Muro, con la massima tranquillità e glissando su qualche milione di cadaveri ci ricorda la dignità umana conquistata dalla rivoluzione russa. Ma soprattutto il problema è: Odifreddi, che critica il dogmatismo cattolico, sa cos’è il dogmatismo? Che intende lui per dogmatismo?

 

La seconda, specifica, è l’elenco dei dogmi che determinano la fede cattolica: [ndr segue un elenco di alcuni dogmi]. Come si possono infatti credere affermazioni che non si possono capire? E come si può capire, ad esempio, quello che Jung definì “lo scandalo del dogma mariano”, e cioè l’affermazione che il corpo della Madonna è stato assunto in cielo? Per quanto siamo in grado di capire, nessun “corpo” può viaggiare più velocemente della luce: dovremmo forse pensare che la Madonna sia al più a 1950 [ndr perché proprio 1950? Perché non di meno e non di più? Forse perché il dogma è stato dichiarato nel 1950?] anni-luce da noi, dedurre che il “cielo” sta da qualche parte nella nostra galassia, e provare a localizzarlo con il telescopio?

 

E qui raggiungiamo veramente lo zenit della presunzione e il nadir del trash intellettuale. Abbiamo trovato l’immagine ideale con cui chiudere questa modesta disamina del capolavoro odifreddiano. Galileo con il suo cannocchiale si accontentava modestamente di capire come vadano i cieli; ma il Nostro, che è allo stesso livello di Galileo se non oltre (ed è anche lui un perseguitato), invece col telescopio vuole capire proprio come si vada in cielo. Immaginiamolo dunque a scrutare in lungo e in largo l’universo, e a risultati assenti scuotere la testa e trarre le debite somme. Lui non è in grado di capire come possa un corpo viaggiare più veloce della luce, perciò nessun corpo può viaggiare più velocemente della luce; lui non vede il paradiso nella nostra galassia, perciò il paradiso non esiste. E certo.

Questo, proprio questo, è il grand’uomo che si batte contro il dogmatismo.

 

Insomma, avete afferrato l’assioma di fondo su cui Odifreddi basa la Sua magniloquente attività intellettiva? Tutto ciò che Lui non è grado di capire o di vedere, non esiste. Ovvio. Il Suo intelletto penetra tutto ciò che è, che è stato e che sarà; la Sua incomparabile cultura abbraccia e comprende tutti i campi dello scibile in cui l’umanità si sia mai cimentata, dalla matematica alla patristica, dalla logica formale alla storia universale, dalla filosofia alla filologia, dalla fisica all’esegesi comparata. Se qualcosa esiste, è tautologia dire che Lui può individuarla, dedurla, analizzarla, intenderla approfonditamente e spiegarla decentemente nello spazio di qualche paragrafo. Sì, Lui può.

Piergiorgio Odifreddi: Yes I Can.

 

 

 


Quando l’acqua va dalla valle al monte

Quando l’acqua va dalla valle al monte

 

 

L’aver visto per caso e di sfuggita ieri sera Magdi Cristiano Allam in televisione, intervistato su non ricordo quale rete locale per il suo impegno politico nelle prossime elezioni, mi ha ricordato che avevo da parte un post iniziato e mai finito (uno dei tantissimi) a proposito della sua conversione al cattolicesimo; conversione che circa un anno fa creò un po’ di scalpore, per le ovvie implicazioni politico-islamiche legate al personaggio in questione.

La bellissima circostanza dell’essere questo blog sideralmente distante da una testata giornalistica, posto che viene aggiornato senza alcuna periodicità e ultimamente pure in modo assai sporadico, e mai e poi mai potrebbe essere considerato un prodotto editoriale ai sensi della legge 7 marzo 2001 n. 62, vuol dire pure che non sono in alcun modo tenuto a pormi problemi scemi di attualità, puntualità, stare al passo con i tempi e altre consimili fesserie. Perciò, anche se sono lievemente in ritardo a parlare di Magdi Cristiano Allam, chissenefrega e ne parlo adesso.

 

Dunque, il “problema” della suddetta conversione è che un sacco di gente pensa, anche perché così gliel’hanno spiegata, che Allam sia passato dall’Islam alla Chiesa cattolica. Il che è semplicemente falso.

Prima di convertirsi, infatti, Magdi Allam non era un musulmano: era un ateo razionalista, seppur di “cultura” musulmana, cioè in qualche modo destinatario del patrimonio di idee e tradizioni islamiche dal quale però aveva preso le distanze da tempo. Conosceva l’islam, quanto bene o male non saprei proprio dirlo, però non ci credeva, tant’è che nei suoi articoli si descriveva talora come “musulmano laico”.

Ebbene, ma guarda un po’, questo dettaglio fondamentale fu completamente ignorato da molti commentatori della sua conversione, perlopiù proprio da coloro che appartenevano a quell’area di riferimento genericamente definita “laica”. Considerate per esempio la lettera da lui inviata al direttore del Corriere della Sera, nella quale il neoconverso spiegava lungamente le ragioni che l’avevano portato a chiedere il battesimo: quel brav’uomo di Paolo Mieli, forse perché la lettera era troppo lunga, forse per altri motivi chissà quali, pensò bene di pubblicarla monca (qui la trovate completa), e tagliando in particolare proprio i paragrafi in cui Allam descriveva nei dettagli il suo percorso umano e spirituale, che lo aveva portato negli anni ’70 “alla stagione dell’ateismo sventolato come fede”. Apperò.

 

Ora, a mio avviso è proprio questo, piuttosto che le polemiche sulla qualità del giornalismo performato da Allam o l’opportunità di mandare in mondovisione il musulmano battezzato dal papa col rischio che qualche imam si offenda e ci dichiari guerra, per non parlare della faida tra cattolici filoisraeliani e cattolici antisionisti… questo è il cuore della questione.

È il caso di ricordare che, all’indomani della morte di Giovanni Paolo II, appariva sul Corriere della Sera un editoriale di Emanuele Severino il quale, per rendere omaggio all’illustre defunto, non trovava di meglio che paragonarlo a “uno che, in mezzo a un torrente in piena, sostenga che l’acqua va dalla valle al monte”. Cioè un folle, insomma. Il concetto, espresso altresì con insolita claritas considerati gli standard del filosofo, era che il superamento del cattolicesimo (nonché della filosofia aristotelico-tomistica su cui esso si erige) è inevitabile, invincibile come la forza di gravità; tant’è che Severino riconosceva la grandezza del Papa proprio in quanto ne bollava l’operato come un inutile seppur tragicamente eroico sforzo di frenare le magnifiche sorti e progressive della filosofia dell’ultimo secolo e mezzo, la quale “è la punta d’acciaio che anima, dà forza, fa procedere il nostro tempo: essa mostra che lo scavalcamento dei valori del passato è un processo inevitabile”.

Bene: questa specie di forza gravitazionale della fine della fede vale, secondo una certa mentalità “laica”, non solo a livello generale ma anche per i singoli individui. È ancora ancora comprensibile che si passi dal branco dei musulmani al gregge dei cristiani: cretini gli uni, cretini gli altri. Tutti minus habentes, anche se ai primi non conviene dirlo ad alta voce perché ci si può ritrovare con la gola tagliata, molto meglio disegnare coraggiosamente il papa con un preservativo in testa chè al massimo si rischia la pubblicazione su Micromega e l’intervista sorridente da Fabio Fazio. Che invece si converta al cattolicesimo un ateo, un razionalista, uno che non crede dunque pensa, ecco, questo è inverosimile. Di solito accade il contrario: sono alcuni credenti cresciuti nel crudele indottrinamento clericale ad evolvere mentalmente, liberarsi dai dogmi e ascendere alle vette del pensiero laico. Il percorso normale è dal credere al non credere, che è come dire dal non pensare al pensare: dal monte alla valle.

Certo, può succedere che i vecchi e i moribondi si sentano addosso la signora con la falce e allora si convertano per paura, oppure ti può morire un figlio o capitare qualcos’altro di così doloroso che hai bisogno di una morfina spirituale e allora ti converti per sofferenza; tuttavia si tratta pur sempre di ipotesi legate a un deprecabile decremento di razionalità, a una senescenza dell’intelletto sgradevole ma non inspiegabile. Ma che un ateo si converta così, senza esserci costretto? Che uno si faccia cattolico apostolico romano come esito di un percorso razionale, senza abdicare di uno iota alla propria intelligenza e consapevolezza e lucidità? Via, non scherziamo. Ridicolo, impossibile, intollerabile, assurdo come acqua che va all’insù.

 

Ecco, allora, perché della conversione di Magdi Cristiano Allam si aveva tutto l’interesse a parlare come del passaggio di un credente da una fede all’altra: perché questo è stato uno di quei casi in cui l’acqua davvero sale invece di scendere, e mostra che tutto sommato quella “punta d’acciaio” di cui parlava Severino non è poi così inarrestabile, perlomeno non a livello individuale e a pensarci bene neppure a livello globale.

Ma su questo, naturalmente, non conveniva aprire una riflessione seria: molto meglio presentarla come una questione interna ai rapporti cattogiudoislamici, cretini questi, cretini quelli.

 

 


Odifreddi pallone gonfiato

 

 

Pierluigi Battista scrive questo.

 

Egregio Piergiorgio Odifreddi, in una dichiarazione rilasciata al nostro Dino Messina ha sostenuto che il tempestoso precipitare della vicenda legata a Giuliano Soria rappresenterebbe «una vittoria dei clericali», soddisfatti per le sue dimissioni da capo del comitato dei garanti chiamati in extremis a salvare la continuità del Premio Grinzane Cavour finito nella bufera. La fantastica infondatezza della sua supposizione, così evidente alla luce di un elementare buonsenso, dovrebbe tuttavia indurla a riflettere su una vis polemica anticristiana la quale (sebbene finora baciata dal successo) se portata agli estremi rischia di condurre anche il più impertinente dei matematici tra le braccia del parossismo ossessivo e della fissazione paranoica: aggiungiamo pure, sempre che il richiamo alla terminologia religiosa non le suoni offensivo, del più scatenato misticismo egotistico. C’ è da immaginare che lei conosca, nelle sue peregrinazioni di studioso negli Stati Uniti e in Unione Sovietica, la sorte di quegli intellettuali che, strappati dal recinto delle loro competenze specifiche, si perdono nelle fumisterie del vaniloquio ideologico e della banalità più corriva. È accaduto anche a lei. Ma a lei il trasloco dal campo del rigore a quello dell’ ovvietà ha portato fortuna e popolarità. Abbandonati i territori astratti della matematica e delle esattezze geometriche, si è trasformato in portavoce dell’ ateismo più militante, tra gli applausi dell’ opinione pubblica stanca delle prepotenze clericali. Quando si è avventurato nei meandri dell’ etimologia più fantasiosa, asserendo che il termine «cretino deriva da "cristiano"», le sono giunti più consensi che pernacchie. Quando ha deriso il cristianesimo per affermare che, «essendo una religione per letterali cretini, non si adatta a coloro che sono stati condannati a non esserli», più che la protesta per una battuta così volgarmente oltraggiosa per chi è fedele di una «religione per letterali cretini», è risuonata la chiassosa approvazione dei laicisti «condannati» a essere, o a considerarsi, più intelligenti. Ora, professor Odifreddi, essendo la sua intelligenza non una verità dogmatica ma un’ ipotesi da accertare laicamente mediante il metodo delle prove empiriche, dovrà essere sua cura dimostrare che, proseguendo con la fissazione dell’ oscuro complotto clericale, la sua guida illuminata del campo ateo-laicista non corra il pericolo della deriva macchiettistica, del suo inesorabile slittamento nei clichés di un personaggio dell’ eterna commedia italiana. Si goda il suo meritato successo, e non lo guasti con stentoree dichiarazioni che, consenta la citazione, assomigliano sempre più al «cretinismo» religioso da lei orgogliosamente vituperato. Non si prenda molto sul serio, e sappia accettare laicamente la constatazione (scientifica) secondo la quale tra una verità profonda e una sciocchezza il confine è molto sottile e labile. Esca dal suo personaggio e torni dove si sente a suo agio, tra i numeri e la trigonometria. Abbandoni le sue pose ieratiche (pardon), perché non c’ è peggior clericalismo del clericalismo ateista. Al massimo dovrà rinunciare ai vertici del Premio Grinzane Cavour, ma non è un prezzo troppo elevato. Con immutata stima.

 

 

Piergiorgio Odifreddi risponde con quest’altro.

 

Vorrei rispondere ad rem (cioè, nel merito) all’attacco ad personam (cioè, pretestuoso) che Pierluigi Battista mi rivolge nella "Lettera al sacerdote dell’anticlericalismo" sul Corriere della Sera del 16 marzo, elogiata da l’Avvenire il 17 marzo.
Anzitutto, lo ringrazio per avermi chiamato "egregio". Credo infatti che sappia, nonostante la sua avversione per le etimologie, che l’aggettivo
significa "fuori del gregge", e
oggi in Italia chi esprime e difende un pensiero laico è effettivamente costretto a cantare fuori dal coro dei belati
. Cosa non sgradevole, comunque, visto che Albert Einstein notava nelle sue Idee e opinioni che "per essere l’immacolato componente di un gregge di pecore, bisogna prima di tutto essere una pecora".
Venendo all’articolo, Battista bolla la mia dichiarazione di ingerenza clericale nelle vicende del Premio Grinzane Cavour come "fantasticamente infondata, alla luce di un elementare buonsenso": ne deduco che, pur scrivendo sui giornali, non li legge. Neppure il suo, che il 4 marzo titolava "L’assenza cattolica agita il Grinzane". E neppure l’Avvenire, che il 3 marzo titolava "Grinzane, un futuro a senso unico?", e vedeva come "una barzelletta l’eventuale inserimento di un solo rappresentante dell’area cattolica". E neppure La Stampa, che il 1° marzo titolava "I cattolici reclamano un posto nei saggi".
Quanto all’appello al buonsenso come verifica di fondatezza, si tratta dello stesso argomento che viene puntualmente avanzato da coloro che la pensano come lui, ogni volta che qualche idea nuova viene alla ribalta: è stato infatti il "buonsenso" a far processare Galileo per aver sostenuto che la Terra girava attorno al Sole, e non viceversa, così come è stato il "buonsenso" a far avversare Darwin per aver sostenuto che l’uomo fu creato a immagine e somiglianza della scimmia, e non di Dio.
Purtroppo è difficile applicare il buonsenso alle vicende del Grinzane, quando il forzista Giampiero Leo e il pidino Stefano Lepri sono a verbale per aver ineffabilmente
sostenuto in Consiglio Regionale a Torino che la mia nomina era "sgradita al cardinale" (come se questo dovesse importare). E quando il forzista Enzo Ghigo e il pidino Gianfranco Morgando mi chiamano "matematico ateo", mostrando ripetutamente di ritenere che il secondo (e forse anche il primo) attributo siano degli handicap, invece che delle garanzie: dimenticando che la gestione di Soria e la sponsorizzazione di Ghigo e Leo erano sì "cattolicamente corrette", ma certo non si sono rivelate evangeliche.
Battista mi dice che dovrei "aver conosciuto nelle mie peregrinazioni di studioso negli Stati Uniti e in Unione Sovietica la sorte di quegli intellettuali che, strappati dal recinto delle loro competenze specifiche, si perdono nelle fumisterie del vaniloquio ideologico e della banalità più corriva". Non so cosa c’entri, ma è vero, li ho conosciuti: in particolare il linguista Noam Chomsky e il fisico Andrei Sacharov, attaccati dai loro detrattori maccartisti e persecutori brezneviani con le sue stesse parole. E avendoli conosciuti, non posso che prenderli ad esempio: in particolare il primo, come ho scritto nella prefazione a Il matematico impertinente.
Infine, a proposito del suggerimento di "tornare dove mi sento a mio agio, tra i numeri e la trigonometria", io ci sono sempre rimasto: un mio libro su Darwin è uscito da qualche settimana (Battista non se n’è accorto, ma fortunatamente il pubblico e i recensori sì), un altro sulla matematica esce in questi giorni, la scorsa settimana ho diretto un Festival della Matematica a New York, e questa settimana proseguiamo a Roma, ospitando in tutto otto premi Nobel e tre medaglie Fields. Temo che la fissazione sulle mie marginali opinioni in campo religioso siano soltanto un sintomo del fatto che la lingua batte dove il suo dente (di Battista) duole
.

 

 

Adriano Sofri commenta così.

 

Sbaglierebbe chi ritenesse l’idea che Dio sia costruito da noi umani, a nostra immagine e somiglianza, infantile, facilona e tantomeno deresponsabilizzante. Al contrario. L’idea che mi faccio di Dio la dice lunga, che me ne renda conto o no, su chi sono io. Io, per esempio, non credo in Dio, ma il Dio in cui non credo non è fesso come quello in cui non crede Piergiorgio Odifreddi. Più esattamente, il Dio in cui non crede Odifreddi è un pallone gonfiato. Mi vergognerei di non credere a un Dio così. Preferisco non credere, non so, al Dio misericordioso di Pascal. Mi spingerei a dire che la differenza fra credere o non credere in Dio sia meno influente, almeno per la nostra vita quotidiana, del Dio differente nel quale crediamo o non crediamo. La chiesa, e le chiese in genere, fanno molto per esaltare la cattiva distinzione fra credenti e non credenti. Bene: tutto questo per dire che ieri Repubblica ospitava un articolo di Odifreddi intitolato “Io e il Grinzane”, che ho letto per la curiosità di sentire che cosa volesse dire uno che era stato designato presidente di quel comitato dei garanti, a proposito dell’affare in generale, e in particolare della propria insinuazione che lo scandalo fosse stato suscitato da una ingerenza clericale cattolica. Dell’affare in generale ho letto solo un passaggio marginale secondo cui la gestione di Soria si è rivelata “non evangelica”. Quanto all’ingerenza clericale, solo la citazione di titoli di giornale sul malcontento di cattolici per la loro inadeguata presenza nella gestione del già prestigioso premio. Che rapporto passi fra questo malcontento e le buffe e grandiose malversazioni ammesse da Soria, non si capisce. Il punto più alto Odifreddi lo tocca quando, obiettando all’appello al “buonsenso” mosso al suo indirizzo da Pierluigi Battista, proclama che si tratta “dello stesso argomento avanzato… ogni volta che qualche idea nuova viene alla ribalta”: dal processo a Galileo all’ostilità a Darwin. Dunque l’espediente meschino del buonsenso ha colpito di volta in volta l’idea nuova secondo Galileo che la terra girasse attorno al sole, secondo Darwin che l’uomo fosse imparentato con la scimmia, e secondo Odifreddi che una cospirazione clericale abbia abbattuto il padrone del Grinzane. Auguro fraternamente ai non credenti di non finire per non credere a un pallone gonfiato.

 

 

Son cose da conservare.

 


La speciale logica dell’odio

La speciale logica dell’odio

 

 

Dunque pare che, in procinto di andare in Africa e interrogato sul problema dell’AIDS, il Papa si sia pronunciato in questi termini (come riportati dal Corriere della sera):

 

« Non si può superare il problema dell’Aids solo con i soldi, che pure sono necessari, se non c’è anima che sa applicare un aiuto. E non si può superare questo dramma con la distribuzione di preservativi, che al contrario aumentano il problema. La soluzione può essere duplice, l’umanizzazione della sessualità e una vera amicizia verso le persone sofferenti, la disponibilità anche con sacrifici personali ad essere con i sofferenti. Questa è la nostra duplice forza: rinnovare l’uomo interiormente, dargli forza spirituale e umana per avere un comportamento giusto e insieme la capacità di soffrire con i sofferenti nelle situazioni di prova. »

 

 

Ora, per qualche strano motivo, queste parole hanno dato molto fastidio a qualcuno. Segue qualche esempio preso qua e là.

 

I radicaliparlano di «falsità antiscientifica» e lanciano un appello alla classe dirigente rimasta in silenzio: «Dimostri coraggio, coerenza e serietà smentendo quelle frasi che alimentano l’ignoranza e la diffusione dell’Aids»”.

 

I Comunisti italiani, secondo quanto riporta La Stampa (l’articolo peraltro è interessante e da leggere interamente), lamentano che “è incredibile indurre i cattolici a non usare il preservativo»”. Incredibile, già.

 

Analogamente, la FGCI scrive che “Il Papa afferma delle sciocchezze dal punto di vista scientifico e non fa altro che confermare l’impostazione medievale della Chiesa e di questo pontificato in particolare. Nei paesi dell’Africa Sub Sahariana vi sono circa 25-28 milioni di persone infette da HIV, più del 60% di tutta la popolazione ha l’Aids e più dei tre quarti delle donne. Di fronte a questi dati parlare di un risveglio ‘spirituale e umano’ è davvero come affidarsi a qualche amuleto magico. Certo il preservativo da solo non basta, bisogna anche compiere degli investimenti medici significativi, ma quanto meno aiuterebbe a limitare il dilagare del fenomeno. Continuare a vietarlo in nome dei principi del Cristianesimo e’ davvero una vergogna. Dopo i vescovi filonazisti, la scomunica dei medici che fanno abortire le ragazzine stuprate, non c’è davvero limite al peggio”. Sì, non c’è davvero limite al peggio.

 

Adriano Prosperi, su Repubblica, anche lui ricollegandosi a precedenti episodi mediatici, dalle parole del Papa deduce legittimamente che “l’anima di una bambina brasiliana o di una donna camerunense è meno importante di quella di un vescovo antisemita e negazionista”.

 

Sulla spazio che il Corriere della sera mette a disposizione dei commenti dei lettori, poi, è possibile trovare alcune perle che presumibilmente riflettono il comune sentire dell’uomo della strada:

 

“il papa dichiara pubblicamente di non usarte il preservativo per la prevenzione aiutando cosi la diffussione non solo aids ma tutte le malattie veneree che negli ultimi anni sono in netto aumento”

 

“è sotto gli occhi di tutti che la chiesa cattolica è precipitata con questo mediocre papa in un abisso di miseria etica e sociale. Il no al preservativo, pronunciato con spaventoso cinismo di fronte agli occhi di scheletri ambulanti morenti per aids, lascia esterrefatta la gente normale”

 

“La battaglia culturale per l’uso del profilattico è fondamentale per la prevenzione delle malattie sessuali trasmissibili. Ignorare questo è profondamente grave e assolutamente stupido”

 

“Sono da sempre un sostenitore della libertà di parola. In questo momento ho paura, perchè l’affermazione del Papa contiene la responsabilità di centinaia di migliaia di vittime. Per favore, usate il preservativo”

 

 

Ora, ecco, io potrei anche essere d’accordo con questi commenti se avessi mai sentito una volta un prete, nell’omelia domenicale, lanciarsi in un panegirico del sesso non protetto. Se avessi mai sentito un vescovo raccomandare ai suoi fedeli di fottere con quante più persone possibile, preferibilmente sconosciuti incontrati per caso e mai più rivisti dopo il coito, purché rigorosamente senza preservativo. Se avessi mai sentito all’angelus domenicale l’elogio del sesso occasionale e della botta e via, basta che non ci sia di mezzo il condom.

Mah. Sarò stato distratto io, sarà che frequento brutta gente, ma queste cose non le ho mai sentite.

Certo, con l’aria che tira presso alcuni ambienti cattolicissimi, potrebbe anche succedere. Non si sa mai. Dopotutto, l’ermeneutica della discontinuità ha portato a ben altri progressi dottrinali. Al riguardo attendiamo fiduciosi le magnifiche sorti e progressive che ci porterà il Concilio Vaticano III prossimo venturo.

Fino a quel momento, però, resto un po’ perplesso.

 

Insomma: secondo questi campioni della razionalità, la Chiesa, siccome predica la castità, è corresponsabile della diffusione di una malattia che si trasmette tramite rapporti sessuali.

 

Allucinante.

 

Mi viene alla mente un passo di La ricerca di Averroè, il decimo racconto della raccolta L’Aleph, di Jorge Luis Borges:

 

“ [Averroè] aprì il Quitab-ul-Ain di Jalil e pensò con orgoglio che in tutta Cordova (e forse in tutto Al-Andalus) non esisteva una copia dell’opera perfetta quanto quella che l’emiro Yacub Almansur gli aveva mandata da Tangeri. Il nome di questo porto gli ricordò che il mercante Abulcasim Al-Asharì, ch’era appena tornato dal Marocco, avrebbe cenato con lui quella sera in casa dell’alcoranista Farach.

Abulcasim diceva di avere toccato i regni dell’impero di Sin (la Cina); i suoi detrattori, con la speciale logica dell’odio, giuravano che non aveva mai toccato la Cina, e che nei templi di quel paese aveva bestemmiato Allah.”

 

 


Fenomenologia del piccolo malvo

Fenomenologia del piccolo malvo

 

 

  1. Odierai la Chiesa cattolica con tutto il tuo cuore, con tutta la tua mente, con tutte le tue forze, con tutta la tua anima.
  2. Odierai quasi con la medesima forza gli atei non anticlericali – specie se grassi e barbuti e direttori di giornale – poiché essi pretendono che si possa, usando bene la ragione, andare d’accordo con la Chiesa: il che è inconcepibile.
  3. Diffonderai l’odio per la Chiesa con tutti i mezzi che potrai: attività politica, articoli di giornale, un blog, il lato B del blog… Sii infaticabile.
  4. Non esiterai, se qualche utente oserà confutare le tue affermazioni, magari addirittura adducendo prove specifiche, a cancellare i commenti di quell’utente.
  5. Sarai solerte nell’aggiornare molto frequentemente il tuo blog. Così, tutte le controversie in cui tu dovessi mai avere difficoltà saranno presto dimenticate: se un commentatore ti dirà una cosa sgradita, basteranno altri cinque post e quel commento precipiterà lestamente in basso nell’oblio. Dovrai essere tu a dettare il ritmo del tuo blog, a decidere quali discussioni vanno incoraggiate e quali vanno interrotte.
  6. Predisporrai infine, se necessario, un meccanismo di censura preventiva. Così non correrai rischi di essere contraddetto: sul tuo blog non ci saranno, neppure temporaneamente, commenti sgraditi.
  7. Non disdegnerai di usare il turpiloquio, di mandare a cagare molto spesso e con soddisfazione, di scrivere cazzo e culo e tutto il resto del vocabolario da convivio. Peraltro, se mai qualcuno dovesse rivolgere questo bello stile contro di te, tu lo biasimerai per la sua violenza verbale, sintomo sicuro della sua violenza fondamentalista religiosa.
  8. Porrai particolare cura nelle citazioni degli scritti dei tuoi avversari: starai bene attento a tagliare e cucire, a prendere quel che ti serve e omettere ciò che ti è scomodo, ad alterare a tuo vantaggio il senso delle frasi che citi.
  9. Avrai con la verità un rapporto elastico, funzionale. Talvolta manderai mail sotto falso nome ai giornali da te odiati raccontando aneddoti utili a loro, e poi renderai pubblicamente noto che l’aneddoto era una balla da te inventata. Così insinuerai nei lettori il dubbio che tutte le belle storie che sentono siano altre balle: far sembrare vera una storia falsa – che poi si scopra che è proprio falsa – è il miglior modo per far sembrar false tutte le storie vere che ti danno fastidio.
  10. E se dovessi essere incolpato per le opere altrui, casomai dovessero accusarti di aver creato un’identità fake con cui, spacciandoti per cattolico, esprimere concetti sì risibili e tormentosi da provocare nel lettore il giusto odio per la Chiesa – usando a tale scopo un blog dal nome evocativo, del tipo “dittatura ecclesiastica” oppure “tirannia clericale” – allora non ti dorrai più di tanto. Vorrà dire che la buona semenza sta dando frutto, che anche altri usano i tuoi metodi: bravi, andate e moltiplicatevi.

 

“Uomini che cominciano a combattere la Chiesa per amore della libertà e dell’umanità, finiscono per combattere anche la libertà e l’umanità pur di combattere la Chiesa” 

G. K. Chesterton