PROMETEO REDENTO
Il segretario dell’O.T.U. dichiarò aperti i lavori dell’assemblea.
“Onorevoli rappresentanti, siamo qui riuniti per discutere un argomento di importanza fondamentale; un argomento da cui dipende il nostro futuro, il futuro dei nostri figli, il futuro dell’umanità intera.”
Ciascuno annuì, consapevole della solennità del momento. La questione era di tale rilevanza che i delegati erano venuti da tutti i confini del mondo conosciuto, attraversando distese enormi per rappresentare le proprie popolazioni; affinché il summit epocale avesse luogo era stata dichiarata una moratoria internazione su ogni conflitto, e non pochi deputati avevano dormito su territori nemici con la garanzia della più inviolabile immunità diplomatica. Per la prima volta nella storia della specie umana tutte le genti erano assolutamente, sebbene temporaneamente, in pace.
“Ma prima di aprire la discussione, vi prego, osservate”.
Il segretario occupava la postazione principale all’apice di una gigantesca piattaforma, da cui si poteva osservare l’intero panorama sottostante, e indicò quel panorama ai convenuti. Era una vista mozzafiato che scioglieva il cuore: dove una volta c’erano il verde e la vita ora si estendevano terre desolate di aridità, resti carbonizzati, silenzio e morte. Molti piansero senza vergogna.
“E voi sapete bene, onorevoli rappresentanti, qual è la causa di questa catastrofe! È stato forse un disastro naturale? Una carica di animali selvaggi? La collera di un dio? No, amici e colleghi, niente di tutto ciò… è stata la hybris dell’uomo, il suo orgoglio che lo ha spinto a illudersi di poter controllare l’incontrollabile… siamo stati noi, ed è stato il fuoco!”
A quella parola molti delegati rabbrividirono e si toccarono il membro, sia che lo ostentassero nudo, secondo la tradizione dei conservatori, o che lo coprissero con pelle di capra, all’uso progressista. Lance di amigdala furono sbattute e peana apotropaici furono intonati. Per un po’ l’intera piattaforma carsica fu in preda al caos, finché il segretario riportò l’ordine sbattendo il suo enorme osso cerimoniale sulla pietra.
Una reazione simile sarebbe apparsa esagerata solo a chi non avesse saputo quale orribile tragedia si era consumata in quel luogo un tempo felice. La tribù che aveva abitato nella valle era stata ricchissima e popolosa, a tal punto che i più facoltosi potevano permettersi il lusso di lasciare in vita e nutrire i parenti vecchi o storpi. La valle era fertile, la foresta adiacente era piena di piante, funghi, selvaggina. Ma alla fine proprio quell’abbondanza si era rivelata una maledizione.
Com’era scoppiato l’incendio? Secondo la ricostruzione fatta dalle autorità inquirenti sulla base delle deposizioni testimoniali, tutto era cominciato quando Bisonte-peloso era tornato a casa prima del solito, stanco e arrabbiato dopo una giornata di caccia infruttuosa, e aveva sorpreso la sua femmina Cagna-che-si-accuccia a copulare con un aitante giovanotto chiamato Coda-lunga-e-nerboruta. Aveva cercato di ammazzarli entrambi, ma i due amanti fedifraghi erano riusciti a scappare; il loro terrore doveva essere tale che erano corsi a nascondersi nella foresta, nonostante stesse calando il tramonto e la notte fosse imminente. Ma Bisonte-peloso non si era dato per vinto ed era andato dal vecchio Zanna-di-mammut, il guardiano-del-fuoco della tribù, colui che aveva la responsabilità di utilizzare e monitorare quella pericolosa tecnologia. Il cacciatore cornificato aveva preteso che Zanna-di-mammut lo accompagnasse nella foresta portando con sé un fiore-di-fiamma per illuminare le tenebre notturne, in modo che lui potesse trovare le tracce dei due fuggitivi. Inutilmente il vecchio lo aveva implorato di aspettare la mattina successiva e la luce del giorno; pieno d’ira funesta, provocato dagli astanti che lo deridevano, Bisonte-peloso aveva percosso Zanna-di-mammut e aveva osato prendere egli stesso un tizzone ardente, incurante delle urla della folla atterrita, e si era diretto di corsa verso la foresta.
Nessuno aveva mai più visto né lui, né la femmina, né il suo amante; nessuno sapeva cosa in che modo il fiore-di-fiamma fosse sfuggito al controllo dello stupido che lo brandiva; ma quella notte si era consumata l’ecpirosi. La tribù aveva assistito atterrita all’incendio che aveva devastato l’intera foresta e poi si era propagato alla valle. Sfortunatamente si era in estate, quando la tribù dormiva all’aperto nei rifugi fatti di legna e pelli; quei disperati avevano cercato di arrivare alle caverne per l’inverno, le femmine con i cuccioli da latte e gli uomini con i bambini più grandi, mentre i vecchi inutili restavano indietro a bruciare e a incoraggiare con le loro urla la corsa degli altri, ma le grotte erano troppo lontane, e poi gli uomini avevano buttato a terra i bambini urlando alle femmine recalcitranti di fare lo stesso con i marmocchi, ma quasi tutte le femmine avevano continuato a portare i loro cuccioli, e alla fine il fuoco inesorabile aveva raggiunto tutti, lenti o veloci che fossero. Due giorni e due notti era durato l’immenso rogo, dopodiché dalle tribù vicine erano arrivati i saccheggiatori, attirati dalla fama di ricchezza e delusi perché non c’era più niente da rubare: avevano soltanto potuto osservare attoniti la massa nera di cenere e carbone che si estendeva a perdita d’occhio là dove una volta c’erano state la valle fertile e la foresta lussureggiante, mentre non sapevano se compiangere di più quelli che erano morti o quelli che erano atrocemente sopravvissuti.
La fama del disastro si era sparsa per ogni dove e la paura del fuoco, che era una tecnologia diffusasi solo da poche generazioni e che ancora intimoriva la gente, aveva toccato livelli inauditi. Il “rosso”, come lo chiamavano quelli che avevano terrore anche del nome, divenne sinonimo di morte e distruzione. In molti villaggi si scatenò l’odio verso i guardiani-del-fuoco, già visti con malanimo e considerati una casta corporativa che rifiutava di condividere i segreti del proprio mestiere per lucrare sul freddo della povera gente; fu loro ordinato di deporre gli strumenti del mestiere e giurare di non evocare mai più il rosso; quelli che si rifiutarono furono ammazzati, stuprati con lance di amigdala e divorati, non sempre in quest’ordine. In altri casi i capitribù rigettarono l’idea di abolire il mezzo che aveva permesso loro di superare l’inverno: per difendere il progresso ammazzarono i contestatori, scannarono figli e genitori, finirono per sterminare il loro stesso clan. La guerra trasversale tra piristi e antipiristi si sovrappose ai vecchi conflitti; faide che duravano da generazioni si convertirono in improvvise alleanze, fratelli uccisero fratelli nel letto comune, ogni villaggio versò il proprio tributo di sangue e uno slogan antipirista segnò quell’epoca disperata: il rosso chiama il rosso.
Alla fine, quando la violenza aveva raggiunto il culmine, fu diffuso un messaggio che arrivò anche al più sperduto clan del mondo conosciuto: il segretario dell’Organizzazione delle Tribù Unite aveva lanciato una moratoria universale e convocato delegati in rappresentanza di tutte le tribù affinché si raggiungesse una decisione comune sull’argomento. I conflitti furono interrotti, le asce di selce vennero messe da parte, ogni clan scelse un delegato e lo inviò attraverso fiumi e montagne verso il luogo scelto per il summit, la famigerata valle bruciata.
L’aria era pesante e il cielo era grigio. Si preannunciava tempesta, con tuoni e pioggia a volontà.
“Ugh”, mormorarono i delegati più vecchi, nel loro linguaggio arcaico e ieratico, “oggi ci sarà un altro episodio di violenza domestica tra gli dèi, uno di quelli grossi. Va sempre allo stesso modo: il dio scorreggia, la dea lo insulta, il dio la picchia e lei piange… anche mia moglie è proprio una rompiscatole.”
Il segretario dichiarò aperto il dibattito agitando per aria il suo enorme osso cerimoniale, regalo postumo di un meta-lupo particolarmente imponente, e i delegati iniziarono immediatamente a discutere. Cioè a litigare.
“Il fuoco è troppo pericoloso, è una tecnologia incontrollabile! Dobbiamo vietarlo!”
“Dobbiamo salvare i nostri figli!”
“Signori, sono d’accordo, ma non è così semplice. Vogliamo stabilire un divieto, ma abbiamo i mezzi per renderlo effettivo? Sine poena nulla lex. Cosa intendiamo fare, sorvegliare giorno e notte ogni abitante di ogni tribù aspettando di coglierlo in fragrante mentre brucia qualcosa?”
“Questo non è un gran problema. Grazie alla cupidigia e alla mania di segretezza dei guardiani-del-fuoco, la maggior parte della gente non ha la minima idea di come si fa a evocare il rosso. Facciamo una purga mirata, eliminiamo quei parassiti della società, e il problema è risolto. Per tutti gli altri che dovessero avere la tentazione di provare da soli a gestire un fiore-di-fiamma, basterà tagliare qualche paio di mani qua e là per dare il buon esempio. Vedrete che in una generazione o due vivremo finalmente in un mondo assolutamente sicuro e de-pirizzato.”
“Gente, un momento. Il rosso è pericoloso, è vero, ma proprio per questo è anche una valida arma di difesa. Tutte le bestie hanno paura dei fiori-di-fiamma. Quante vite sono state salvate grazie al fuoco? Prima di rinunciarvi, pensiamoci bene…”
“Ringrazio l’esimio collega per aver toccato un punto delicato”, disse un rappresentante che indossava una collana di piume multicolore. “Il fuoco è anche un’arma, anzi la più micidiale di tutte le armi finora scoperte, né lancia né clava gli sono lontanamente paragonabili. Ma è proprio questo il motivo per cui è urgentissimo metterlo al bando. Che cosa succederebbe se una tribù lo usasse non per difendersi dalle bestie, ma per attaccare un’altra tribù e rubarle il territorio?”
A quella prospettiva, molti delegati gemettero e si tastarono il membro mormorando “il rosso chiama il rosso!”. Altri si rifiutarono di credere che un capotribù potesse essere così stupido: se il fuoco fosse finito fuori controllo avrebbe distrutto assaliti ed assalitori, rendendo la terra inabitabile per un periodo sterminato di tempo, decine e decine di inverni. Ma, d’altra parte, mai sottovalutare la stupidità dei politici. Un motivo in più che rendeva assolutamente necessario un ferreo divieto antipirico.
“Un momento, un momento! Non prendiamo decisioni affrettate! Il fuoco è pericoloso, ma è anche una fonte molto redditizia di energia termica e mi ha salvato le chiappe negli ultimi due inverni. Con cos’altro ci scalderemo? Abbiamo una vaga idea di come soddisfare il nostro fabbisogno energetico?”
“Ma certo che ce l’abbiamo! Ci sono sempre le pellicce, quante ne vogliamo, basta ammazzare un animale e scuoiarlo… se lui non ammazza prima te, certo… è un metodo che è sempre andato bene per i nostri antenati senza fuoco e andrà bene anche per noi.”
“Onorevoli colleghi, c’è un dettaglio che state trascurando. Il fuoco non è pericoloso soltanto per l’uomo, ma anche – ed è ben più grave – per l’ambiente. Vi prego di notare che un albero impiega moltissimo tempo per crescere, ma pochissimo per bruciare. Attualmente c’è abbondanza di legna da ardere, ma fino a quando? Avete mai pensato al fatto che più diventiamo numerosi e prima le scorte si esauriranno?”
A quanto pareva, nessuno ci aveva mai pensato. E allora?
“E allora, il nostro Pannello Intertribale sul Cambiamento Ligneo ha prodotto numerosi papers su questo drammatico issue ed ha raggiunto un consensus uniforme: se si tengono costanti certi fattori, quali ad esempio l’esponenzialità della crescita demografica e la ricorsività del tasso di combustione, allora la progressione diventa…” – il delegato snocciolò in rapida successione una serie di numeri e cifre che nessuno capì e quasi tutti fecero finta di aver capito – “… insomma, l’esito finale della proiezione è che entro poche generazioni tutta la legna del mondo sarà stata bruciata e non ci saranno più alberi.”
“Oh, dèi!”
“Ma è terribile!”
“Che mondo vogliamo lasciare alle prossime generazioni? Dobbiamo fare qualcosa, adesso!”
“Mi scusi, onorevole… non ho capito il suo nome… ma questi dati sono sicuri?”
“Mi chiamo Alce-di-sangue-rappreso, e purtroppo devo risponderle di sì: se le premesse dei nostri studi sono fondate al 100%, allora lo sono anche le conclusioni”, rispose il delegato tra le grida di terrore. “Dobbiamo prendere atto che questo stile di vita fire-based non è ecosostenibile, non può durare per sempre: il fuoco è una fonte energetica non rinnovabile, prima o poi dovremo abbandonarlo comunque. Per non farci cogliere impreparati dobbiamo cominciare fin da adesso a studiare il modo per migliorare il rendimento energetico delle fonti rinnovabili, per esempio le pellicce… si possono trovare nuove e più redditizie tecniche di scuoiatura… oppure si può usare il proprio corpo o quello altrui, come l’esercizio ginnico o l’accoppiamento.”
“Uh. Ehi. È vero!”, molti sembrarono favorevolmente colpiti da quest’idea. “L’accoppiamento riscalda, lo sanno tutti!”
“Ed è una fonte facilmente rinnovabile, basta prendere una femmina e metterla in posizione orizzontale.”
“Ma anche in altre posizioni…”
“Prepareremo subito uno studio comparatistico che quantifichi l’incremento termico consequenziale alle diverse metodologie di accoppiamento. Naturalmente dovrà essere peer reviewed”.
“Quando torneremo a casa dovremo fare molti esperimenti in merito, dopotutto ne va del futuro dei nostri figli.”
“È la scienza, bellezza.”
“FATE L’AMORE, NON FATE IL FUOCO!!!”
“Onorevoli delegati, un momento, un momento… non posso negare che nelle vostre argomentazioni ci sono certi elementi positivi da valutare attentamente, però…”
La discussione andò ancora avanti per molto, molto tempo.
A un certo punto il segretario batté il suo enorme osso sulla pietra per attirare l’attenzione dei presenti.
“Onorevoli convenuti!” urlò a squarciagola, “penso che si sia parlato abbastanza. Ora vi propongo di osservare e ascoltare: chiamiamo tra noi due testimoni, uno contro il fuoco, l’altro a favore.”
Quest’iniziativa gettò lo sconcerto nell’assemblea. Testimoni? Da dove li aveva tirati fuori, e a che scopo? I delegati incuriositi guardarono incuriositi i collaboratori del segretario entrare in una grotta, che era stata adibita a sede di rappresentanza dell’O.T.U., e uscirne portando con sé… molti rabbrividirono e si toccarono il membro… una figura inquietante. Era completamente avvolta da capo a piedi in una gigantesca pelliccia d’orso che la copriva completamente, ogni centimetro della pelle. Già c’era qualcosa di innaturale nell’andare in giro a quel modo, con l’inguine e le ginocchia e l’ombelico coperti, da mettere a disagio; ma c’era anche il modo strano in cui camminava, come se le gambe fossero in qualche modo diverse, e il fatto che non emetteva un singolo suono, e il braccio sinistro lungo circa la metà di un braccio normale, mentre il destro era raccolto sotto la pelliccia all’altezza del petto oppure non c’era proprio.
Il segretario aspettò che la figura misteriosa arrivasse al suo fianco, in modo che tutti potessero vederla, dopodiché fece cenno ai suoi collaboratori di sollevare la veste villosa che la copriva.
Urla di terrore esplosero nel pubblico. Senza dubbio la cosa era stata un essere umano, prima, una femmina. Ma ora? Si poteva ancora chiamare “umano” quella poltiglia deambulante di carne rossa? Quella faccia raggomitolata, le orecchie liquefatte ridotte a due buchi ai lati della testa, il naso cancellato. Un occhio era scomparso, sostituito da una superficie insolitamente liscia di carne, mentre l’altro era azzurro come il ghiaccio e fissava nel vuoto. Niente capelli né peli tra le gambe. Il braccio sinistro finiva all’altezza del gomito, e il destro, oh dèi, oh possenti numi, oh stramaledette potenze del cielo e della terra, il destro reggeva un affarino bianco, uno scheletrino minuscolo e fragile, tenendolo all’altezza dell’unico seno violaceo che le restava, il capezzolo nella bocca senza denti del piccolo teschio.
Lo stava allattando.
“Questa”, disse nel silenzio attonito il segretario, “è la testimone contro l’uso del fuoco. È l’unica donna sopravvissuta all’incendio della valle ancora in vita. Aveva partorito da poco e suo figlio è stato ucciso dal rosso, e si rifiuta di lasciarlo, e forse è ancora viva proprio per questo. Non può parlare perché non ha più la lingua, ma vuole comunque dare la sua testimonianza.”
La cosa li guardò tutti con quell’unico occhio, dal fondo di un abisso di odio implacabile. Li odiava – lo sentivano, lo sapevano – li odiava tutti perché loro erano sani e lei era bruciata, li odiava tutti perché loro sarebbero tornati dalle loro femmine e le avrebbero montate e mai più nessuno avrebbe montato lei, li odiava tutti perché loro avevano dei cuccioli o li avrebbero avuti e a lei era rimasto solo il piccolo scheletro. Li guardò per un tempo che parve interminabile, mentre nel cielo opaco iniziavano a rumoreggiare le prime scorregge del dio. La dea stava per piangere forte.
Alla fine, dopo che li ebbe odiati abbastanza, la cosa si voltò – il dietro non era più bello del davanti – e andò a sedersi. Le stesero addosso la pelle d’orso, e il mondo divenne un posto migliore.
“E adesso, l’altro testimone”.
I delegati si chiesero chi mai, a questo punto, poteva essere a favore. Il segretario aveva organizzato tutto proprio bene. I suoi collaboratori andarono e tornarono portando con sé un vecchio, dall’aria spaventata ma lucida, con qualche cicatrice ma fondamentalmente a posto. Chi era quel tipo e che ci faceva lì? Il segretario rispose alla domanda implicita che aleggiava con una sola parola.
“Zanna-di-mammut.”
Si scatenò il caos. Urla, bestemmie, mostruosi improperi rivolti al vecchio. Alcuni raccolsero delle pietre e gliele lanciarono addosso, altri impugnarono le lance di amigdala e cercarono di scavalcare il cordone protettivo che si era formato. Ne nacquero delle zuffe e un paio di nasi furono rotti, il rosso chiama il rosso. Alla fine i commessi assembleari riuscirono a riportare l’ordine e il segretario cominciò a interrogare il testimone.
“Qual è il tuo nome completo?”
“Zanna-di-mammut, figlio di Zanna-di-lupo.”
“Quanti inverni hai visto?”
“Tanti. Troppi. Trentacinque, quaranta, non me lo ricordo più.”
“Come sei diventato guardiano-del-fuoco?”
“Ero troppo vecchio per andare a caccia, non avevo figli che potessero darmi da mangiare per pietà, stavo diventando un peso per la tribù. Volevo essere ancora utile. Ho imparato il mestiere dal precedente supervisore della tecnologia ignea, dopodiché…”
“Siete una cricca di parassiti!”, urlò qualcuno dal fondo dell’assemblea. “Capitalizzate i bisogni dei poveri che devono riscaldare la prole, per garantirvi il potere! Sfruttatori! Plutocratici! Vi ammazzeremo tutti! Una purga generale! Quando aboliremo il fuoco, vi faremo tutti…”, tafferugli, rumori, applausi, alla fine l’interruzione cessò.
“Per favore, colleghi, lasciate parlare il testimone. È giusto ascoltare anche una dissenting opinion. Zanna-di-mammut, come hai fatto a salvarti solo tu dall’incendio?”
“Ogni guardiano-del-fuoco ha… io… ho giurato di non rivelare i segreti del mestiere, ma ormai non ha più importanza… ogni guardiano aveva una zona franca vicino alla capanna, un cerchio di terra già bruciata, che dunque il fuoco non ha più interesse a mangiare, circondata da pietre, con un buco scavato nel terreno in cui rifugiarsi. Ci sono entrato e ci sono rimasto per tutto il tempo dell’incendio. Ero quasi morto di sete quando mi avete trovato.”
“Terra già bruciata… cioè, hai usato il rosso per salvarti dal rosso. Uhm. Interessante. Intelligente.” Socchiuse gli occhi. “Zanna-di-mammut, tu pensi che dovremmo abolire il fuoco?”
Il vecchio deglutì, affrontò gli sguardi ostili dei delegati e si fece coraggio.
“Ascoltate… lo so che qui mi date tutti la colpa per quello che è successo, ma mettetevi nei miei panni… non è stata colpa mia. Non è colpa mia!”, urlò con un improvviso scatto di dignità. “Io gliel’avevo detto a quell’imbecille che il fuoco è pericoloso, va maneggiato con cautela, gliel’avevo detto! Mi ha picchiato, lo hanno visto tutti, mi ha rubato il fiore-di-fiamma contro la mia volontà! Se mi avesse lasciato fare il mio lavoro non sarebbe successo niente! NON È STATA COLPA MIA!!!”
Urlò, ma i tuoni coprirono la sua voce. Il dio scorreggiava, ma la dèa non aveva ancora pianto le sue lacrime. Forse quei due avevano imparato a sopportarsi. Il vecchio gridò ancora un paio di volte che non era colpa sua, e nessuno notò la cosa, da sotto la pelliccia d’orso, alzare lentamente la testa mentre cullava il suo bambino. Zanna-di-mammut aspettò che tornasse il silenzio, poi riprese a parlare.
“Abolire il fuoco, dite. Beh, io dico che è una pessima idea. Non parlo per me, ormai non me ne frega niente di restare senza lavoro, sono vecchio e posso anche crepare. Credete che non abbia gli incubi la notte mentre rivedo la gente che brucia? Credete che non rabbrividisca quando guardo quella cosa con uno scheletro attaccato alla tetta? Ammazzatemi, ammazzate tutti quelli che sanno come si accende il fuoco, ormai che me ne frega. Ma aspettate che arrivi il prossimo inverno serio. Aspettate di vedere il vostro piscio che diventa ghiaccio ancora prima di toccare terra. Aspettate di sentire i vostri marmocchi che piangono, e piangono, e piangono, e poi non piangono più. Aspettate e poi rimpiangere il fuoco, rimpiangerete noi guardiani…”
“Non è vero!”, urlò qualcuno, ma c’era incertezza nella voce, “non vi rimpiangeremo! Noi non condanneremo i nostri figli, noi li salveremo! Il fuoco è pericoloso, è assolutamente incontrollabile!”
“Incontrollabile. Puah. La vita è incontrollabile, deficiente”, disse con disprezzo Zanna-di-mammut sputando per terra. Ormai non aveva più nulla da perdere. “Se volete avere il controllo assoluto, diventate dèi, oppure ammazzatevi. Ammazzatevi da soli e ammazzate i vostri figli e andate sotto terra e allora non avrete più niente da temere e potrete controllate di essere ben mangiati dai vermi. Un attimo prima pensi che sarà una giornata come le altre, un attimo dopo stai crepando: questa è la vita. Non c’è un fottuto niente di assolutamente controllabile nel mondo, anche se ci sono molte cose che sono quasi controllabili. La tecnologia ignea è una di queste. Un bravo guardiano-del-fuoco sarà quasi sempre in grado di evitare incendi, purché sia davvero bravo ovviamente, e mi pare giusto che si faccia pagare bene per la sua bravura. Oh, chiariamoci bene, putacaso recedete da questa pazzia e decidete di non abolire il fuoco: prima o poi ci sarà un altro incidente. Ci sarà sempre gente bruciata, ci saranno sempre persone ridotte a mostruosità inguardabili. Il rosso è un dio e come tutti gli dèi è un avido bastardo e vuole i suoi sacrifici. Ma i sacrificati saranno sempre meno dei salvati. Per quanto numerose possano essere le casualties, non lo saranno mai quanto tutte le persone a cui il fuoco avrà permesso di…”
“Bastardo!” Nuovo tumulto, nuove urla, nuovo tentativo di linciaggio. “Tu metti le vite umane su una bilancia e poi le pesi! Che diritto hai di decidere che qualcuno deve morire perché qualcun altro possa vivere? Non sei neppure uno sciamano e il fuoco non è un vero dio! Assassino, sei solo un assassino! Assassino! As-sas-si-no!!!” Andarono avanti per un bel pezzo, cantilenando assassino a squarciagola, finché il segretario riuscì faticosamente a riportare l’ordine.
“Silenzio! Silenzio!”, ripeté sbattendo più volte il suo osso di meta-lupo. Alla fine riuscì a riportare una parvenza di ordine. “Zanna-di-mammut”, disse alla fine, col fiato grosso, “quanto puoi controllare il fuoco?”
“Io dico”, rispose il vecchio con circospezione “di poterlo quasi controllare, quasi senza pericoli. Ma è un quasi di cui ci si può accontentare, se uno non si fa troppe illusioni. Sono… ero molto bravo nel mio mestiere. È un quasi che è quasi vicino al completamente.”
“Provalo.”
“E come? Dovrei accendere un fuoco, qui, adesso?”
“Sì” disse il segretario, guardando il cielo gonfio di nuvole, mentre urla di sorpresa e paura scoppiavano nell’assemblea. “Evoca il rosso, qui, adesso.”
Naturalmente presero precauzioni.
Fecero largo, larghissimo cerchio attorno a Zanna-di-mammut. Gli infaticabili commessi assembleari, come ordinato dal segretario, eseguirono meticolosamente le istruzioni del guardiano-del-fuoco: portarono una quantità enorme di legna e l’accatastarono al centro della piattaforma, sulla nuda roccia, a buona distanza da qualsiasi potenziale combustibile. Questa volta non ci sarebbe stato nessun pericolo d’incendio. Poi ebbe inizio la procedura di evocazione del fuoco, che fino ad allora era rimasta talmente custodita dal segreto professionale da essere praticamente avvolta nel mistero.
Zanna-di-mammut prese il suo flauto, ricavato da un femore di orso delle caverne e perforato su un lato con fori di grandezza diversa a distanza regolare. Era un oggetto che faceva parte degli strumenti del mestiere di ogni supervisore della tecnologia ignea, ma non se n’era mai capito il perché; alcuni sostenevano che il suono della musica evidentemente piacesse al fuoco e lo convincesse a manifestarsi, ma questo non era molto convincente perché, quando i guardiani-del-fuoco si chiudevano nella loro capanna per espletare le loro misteriose operazioni, per poi uscirne con un fiore-di-fiamma e farsi lautamente pagare dalla gente infreddolita e spaventata, nessuno di quelli che origliavano da fuori (pochissimi per la verità) aveva mai sentito il minimo accenno di musica. Ma ora tutti potevano vedere, da debita distanza ovviamente, Zanna-di-mammut che sminuzzava dell’erba e la metteva nel flauto, dopodiché prendeva un bastoncino di legno e lo introduceva in un foro e cominciava a sfregare. Sfregò a lungo, a volte cambiando foro, finché cominciarono a partire delle scintille; inclinando il flauto soffiò attentamente l’erba attizzata sul mucchio di foglie che aveva previamente preparato, le foglie cominciarono a bruciare debolmente, prese un ramoscello e ve lo pose sopra e il fiore-di-fiamma sbocciò (lungo ooooh della folla) e si propagò all’altra legna messa da parte, prima la più sottile, poi la più spessa, finché prese fuoco l’intera catasta al centro della piattaforma.
Era un mucchio bello grande di legna e Zanna-di-mammut sperava che sarebbe potuto bruciare per ore, tante grazie alla dea che non aveva ancora cominciato a piangere, dando forse modo a quel branco di stupidi luddisti di cambiare le loro stupide idee. Ma era un’impresa disperata, perché solo pochissimi dei delegati si erano accostati al fuoco per guardarlo e sentirne il calore: la maggior parte della folla era così pirofobica da tenersene ben lontana, cantilenando scongiuri contro il rosso e palpandosi la cosiddetta virilità (pfui). Di questo passo sarebbe stato tutto inutile: lo avrebbero ammazzato assieme a tutti gli altri guardiani-del-fuoco, oppure gli avrebbero semplicemente proibito di fare il suo lavoro, nel qual caso sarebbe morto di fame perché era troppo vecchio per procurarsi il cibo da solo e ben difficilmente qualcuno si sarebbe impietosito di lui. Forse poteva imparare a suonarlo davvero, quello stramaledetto flauto, e mendicare un po’ di cibo mentre cantava la gloriosa abolizione del rosso per compiacere la nuova inteligencja. Sigh.
Aspetta. Non tutto era perduto. Il segretario si stava avvicinando… ecco, così… quel tipo era spaventoso e imperscrutabile e non potevi mai sapere cosa stava progettando, ma aveva carisma e di solito gli altri facevano quello che voleva. Se convinceva lui, convinceva tutti: era la sua ultima occasione. Ora stava studiando la fiamma da vicino. Se era spaventato, lo nascondeva bene, piuttosto sembrava incuriosito. Cominciò a fargli domande, chi aveva inventato quel modo di evocare il fuoco (non si sa, anche se molti se ne sono attribuiti il merito), per quanto tempo poteva bruciare quel falò (per ore, in inverno potrebbe salvare la vita di un’intera tribù), cosa ne pensava della previsione di Alce-di-sangue-rappreso sull’estinzione prossima ventura di tutti gli alberi del mondo (inattendibile: non sappiamo neppure quanti alberi ci sono al mondo), quanto tempo aveva impiegato per imparare a gestire il fuoco (qualche mese di apprendistato)… E intanto, ecco, sì, funzionava. Dietro l’esempio del segretario, anche altri si stavano avvicinando, sussurravano l’uno all’altro. Forse la pirofobia non era invincibile, forse avrebbero cambiato idea, guardate, il fuoco non è un mostro sterminatore, è pericoloso ma basta fare attenzione e… ma perché era improvvisamente calato il silenzio? Paura sui loro volti. Cosa c’era da temere? Andava tutto bene, il fuoco era sotto controllo, nessun pericolo d’incendio, nessuno si sarebbe fatto male, cosa poteva succedere di…
E allora la vide. Lei. La cosa. Era lì accanto, avvolta nella pelle d’orso ma con l’orribile volto scoperto, e nel suo occhio si riflettevano le fiamme, quell’unico occhio che ti guardava e ti faceva sentire come tu stessi bruciando. Cosa poteva dirle? Cosa poteva offrirle? Comprensione, scuse, solidarietà, stupidaggini. La cosa era al di là di tutte le emozioni umane. I suoi soli sentimenti erano l’amore per la piccola cosa che portava al seno e l’odio per tutto il resto dell’esistenza. Ciononostante doveva provare. Le parole vennero su da sole e si ritrovò a farneticare farfugliando.
“Ascolta, io – io non so cosa dire, quello che è successo è terribile – mostruoso – gliel’avevo detto, quell’idiota, gliel’avevo detto – ho sempre fatto bene il mio lavoro – mi dispiace, mi dispiace, mi dispiace tanto – perdonami – bruciavano tutti, li vedo ancora bruciare – perdonami, io – io mi prenderò cura di te, sì, ti resterò accanto, ti aiuterò a tornare umana, ti accudirò, ti curerò, ti nutrirò, ti laverò, ti vestirò, ti bacerò – sì, dèi!, ti bacerò, ti toccherò, ti monterò, cullerò tuo figlio – tuo figlio – tuo – AAAH!!! AAAAAAAAAAAAAHHHH!!! AYAYAEEEEAAYAEYAEYEAYAAEEAAAAAAAAAAA!!!”
Successe tutto molto in fretta.
La cosa lasciò improvvisamente cadere suo figlio per terra, senza badare al cranio che andò in mille pezzi sulla roccia (molti dei presenti gridarono per la paura e schizzarono un fiotto d’urina che bagnò le gambe dei loro vicini) e saltò addosso a Zanna-di-mammut, spingendolo nel fuoco, trattenendocelo mentre si divincolava, facendolo bruciare, bruciando essa stessa, avvolta nella grande pelle d’orso in fiamme. I delegati, terrorizzati – “il rosso chiama il rosso!” – guardarono il vecchio e la cosa che bruciavano e lottavano, il vecchio che urlava e la cosa che non emetteva alcun suono, mentre nell’aria gravida di pioggia si spandeva l’odore della carne umana bruciata. E bruciarono. E bruciarono. E bruciarono.
Restarono a guardarli per molto tempo, finché la dea cominciò finalmente a piangere.
La pioggia bagnò i vivi e i morti.
Il segretario dell’O.T.U. dichiarò chiusi i lavori dell’assemblea.
“La consultazione referendaria è terminata”, disse dopo che il temporale aveva spento il rogo, dopo aver fatto portar via quel che restava della cosa e dei pezzi sbrindellati di suo figlio e di quello che era stato l’ultimo guardiano-del-fuoco a esercitare il suo mestiere, dopo che i suoi collaboratori avevano finito di contare le pietre bianche e nere che erano state usate dai delegati per votare, “con una percentuale del 94,05% a favore dell’abolizione del fuoco.”
Gli applausi furono scroscianti, ma il segretario si chiese silenziosamente chi fosse stato quel 5,95% che aveva votato no. C’era sempre qualche testardo. Neanche vedere dal vivo un essere umano che brucia gli era bastato? Comunque, ormai era fatta.
“Onorevoli colleghi, questo è un giorno storico.”
“D’ora in poi non dovremo più temere il pericolo del fuoco.”
“Abbiamo salvato i nostri figli.”
“Abbiamo salvato l’ambiente.”
“Abbiamo salvato il mondo.”
“Un momento, un momento… adesso che ci penso… ma non stiamo dimenticando qualcuno?”
“Eh? Cosa? Chi?”
“Non fare il guastafeste!”
“Di che parli?”
“Della Gente Nuova! Nessuno ha pensato di invitare anche le loro tribù al summit?”
Si guardarono l’un l’altro, sconcertati, e guardarono il segretario. In effetti non ci aveva pensato proprio a invitare anche quei pochi clan della Gente Nuova, che era comparsa negli ultimi tempi: quelli se ne stavano perlopiù per conto loro, solidarizzavano poco. E poi, diciamocelo, erano così brutti che era difficile considerarli veri esseri umani: quel mento anormalmente pronunciato, quelle teste troppo piccole … Bah. Che si arrangiassero da soli.
“Non pensavo che fosse necessario invitare la Gente Nuova”, disse scrollando le spalle. “Nessuno dei loro clan è mai stato visto usare il fuoco, e francamente, sono troppo stupidi per imparare da soli come si fa ad accenderlo. Per nostra e per loro fortuna, direi, perché, imbranati come sono, se mai metteranno le mani sul rosso, probabilmente si distruggeranno da soli. Detto tra noi, non penso che abbiano un gran futuro davanti a sé. Non è il caso di preoccuparci di loro. Pensiamo piuttosto a noi stessi, e al risultato epico che abbiamo ottenuto. Onorevoli colleghi, oggi abbiamo preso una decisione di importanza fondamentale, che, ne sono assolutamente sono convinto, sarà decisiva per il futuro benessere dei nostri figli, il futuro di tutte le generazioni a venire, il futuro dell’umanità intera. Questo luogo segnerà per sempre la nostra specie, questo giorno sarà ricordato per sempre come il Giorno del Progresso!”
Applausi. I delegati approvarono entusiasticamente. Lance di amigdala furono sbattute e canti epici furono intonati. Per un po’ l’intera piattaforma carsica fu in preda al caos, finché il segretario riportò l’ordine sbattendo il suo enorme osso cerimoniale sulla pietra.
“Onorevoli colleghi, è venuto il tempo di salutarci. Tornate alle vostre tribù di appartenenza, dove eseguirete le purghe degli ultimi guardiani-del-fuoco rimasti e farete rispettare il divieto di antipirismo…” e di quelli che non lo faranno, pensò, di quella minoranza dissenziente, mi occuperò io personalmente, “ma prima di partire, vi prego, osservate un’ultima volta il panorama sotto di noi. Guardate per l’ultima volta la devastazione del fuoco, perché non si ripeterà mai più!”
Guardarono commossi, in silenzio, pieni di gioia e fiducia per l’avvenire, la valle; quella valle dove una volta c’erano il verde e la vita, e ora si estendevano terre desolate di aridità, resti carbonizzati, silenzio e morte; quella valle, proprio quella valle, che in futuro sarebbe stata chiamata (ma non da loro) Valle di Neanderthal.