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Meat Me

LXXXI:         Ma il titolo che significa?

 Claudio:         Si tratta di un gioco di parole che ha senso solo in inglese, una fusione tra i verbi eat e meet, che significano mangiare e incontrare. Il risultato è l’impossibile verbo meat, che non esiste perché meat è un sostantivo che significa carne, nel senso di carne da mangiare, come una bistecca. Il significato del gioco di parole sarà chiaro alla fine del post.

 LXXXI:         Insomma, incontrami + mangiami = “càrnami”. Ma come ti/mi/ci è venuto di fare un titolo così? E a proposito, perché stai/sto/stiamo scrivendo   questo post a mo’ di domande e risposte, se tu sei me e io sono te?

 Claudio:         Mi piacciono i titoli bizzarri, e questo voleva essere un omaggio ad Anthony Burgess. Anche a lui piacevano i giochi di parole. La forma e le riflessioni di questo post sono  ispirate al suo libro “1984 & 1985”, quello che ci/ti/mi ha regalato il commentatore piccic, che ringrazio ancora.

 LXXXI:         Grazie piccic anche da parte mia, cioè sua, insomma nostra, quello che è.

 Claudio:         Il libro è diviso in due parti. La prima è un saggio su 1984 di Orwell, anche se poi il discorso si allarga ad altre famose distopie letterarie, es. Brave New World di Huxley, Noi di Zamjatin, Arancia meccanica di Burgess medesimo…

 LXXXI:         Cosa significa distopia?

 Claudio:         Il contrario dell’utopia. Per utopia si intende una storia ambientata in un luogo immaginario (ou topos = luogo che non esiste) in cui va tutto bene. La distopia parla di un luogo, ma più spesso di un possibile futuro, in cui va tutto male. Peraltro Burgess conia e predilige i termini eutopia (eu = buono) e cacotopia (kakòs = cattivo), ma ormai le parole correnti sono utopia e distopia e perciò usiamo quelle.

 LXXXI:         Forse Burgess ne sarà dispiaciuto.

 Claudio:         Peggio per lui. Comunque, la particolarità della prima parte è che i capitoli sono scritti alternativamente in forma discorsiva e in forma di domanda e risposta. Pensa che all’inizio credevo che fossero una vera intervista, solo che non capivo se lui era la D. o la R., poi ho letto su wikipedia che si era auto-intervistato. Questo mi ha fatto venire l’idea per il post. La seconda parte invece è un lungo racconto distopico ambientato nel 1985, in un’Inghilterra messa in ginocchio dal socialismo, dell’ideologia della totale eguaglianza a tutti i costi che porta all’appiattimento verso il basso, dallo strapotere dei sindacati e dall’avanzante colonizzazione culturale dell’islam.

 LXXXI:         Può darsi che non siamo molto lontani dalla realtà.

 Claudio:         Eh già. Comunque, il libro è molto bello e interessante. Un vero nutrimento culturale, e l’espressione è da intendere alla lettera. Infatti una cosa che mi ha colpito particolarmente è la metafora che Burgess tira fuori a un certo punto a proposito di erbivori e carnivori dal punto di vista gnoseologico. Ne parla nel settimo capitolo della prima parte, “I figli di Bakunin”, una disamina estremamente acuta di quello che oggi chiameremmo giovanilismo. Parte analizzando la figura di Bakunin e il suo impatto sull’anarchismo, che è stato anzitutto un mito giovanile perché “Lo Stato è, e sbadigliamo a dirlo, un’immagine paterna”. Da qui passa all’eterno conflitto generazionale e le sue ricadute politiche: “La causa degli studenti diventa qualsiasi causa universale diventata di colpo urgente. In larga misura, gli studenti ribelli di Parigi del maggio 1968 furono diretti da agitatori adulti. I gruppi giovanili sono macchine utilissime: i giovani possiedono energia, sincerità e ignoranza.” Infatti nel libro 1984 i bambini sono fondamentali per il potere totalitario del Grande Fratello, il quale peraltro “ha il buon senso di non farsi chiamare Padre Nostro.

 LXXXI:         LOL.

 Claudio:         E poi, senti qua:

 In qualsiasi discussione sul futuro politico dei Paesi del mondo libero, dobbiamo prendere in seria considerazione il pericolo che i movimenti giovanili rappresentano per la causa della libertà tradizionale. Questa affermazione sembrerà priva di senso alla gioventù stessa, la quale è convinta di essere l’unica custode della libertà in un’epoca in cui i vecchi sembrano desiderosi di limitarla sempre più. È vero che la vecchiaia cerca di limitare la libertà della gioventù, ma solo perché questa libertà è licenza. Se gli uomini sono nati liberi, è solo nel senso socing che anche gli animali sono nati liberi: la libertà di scegliere fra due modi di azione presuppone la conoscenza di ciò che la scelta comporta. Noi acquistiamo conoscenza tramite l’esperienza diretta, come il bambino che si è scottato ha paura del fuoco, oppure tramite l’esperienza altrui, che è contenuta nei libri. La voce dei neoanarchici è quella del cineasta Dennis Hopper: “Non c’è niente nei libri, amico”, o quella del cantante pop inglese che dice “La gioventù non ha bisogno d’istruzione. La gioventù le cose se le cerca per conto suo”. Il dottor Samuel Johnson, dopo aver ascoltato un esponente del primitivismo, osservava: “Questo è molto triste, signore. Questo è animalesco”. Più che leonino è bovino. Ci vuole molto tempo per ottenere brucando in un prato la proteina che si trova in un rapido pasto di carne. Noi vecchi offriamo la carne dell’istruzione: la controcultura ritorna all’erba.

 LXXXI:         Quando dice che gli hippy tornano all’erba, allude alle canne?

 Claudio:         Non so il testo originale, può essere. Sarebbe un altro gioco di parole tipicamente burgessiano. Ma attenzione ai concetti fondamentali che qui sono espressi. Anzitutto c’è che la libertà presuppone la conoscenza di ciò che è vero; come in Gv 8: 32, “conoscerete la verità e la verità vi farà liberi”; come in 1984, “La libertà consiste nella libertà di dire che due più due fanno quattro.” È la verità a fondare la libertà e non viceversa. La libertà non è semplicemente la possibilità materiale di fare questo invece di quello, dire quest’opinione o quell’altra. Se io non so cosa è vero, se non conosco le vere cause e circostanze e conseguenze delle mie decisioni, allora la mia libertà è indebolita, perché non ho tutti gli elementi per compiere una scelta consapevole. Si scopre così che il primo ostacolo che la mia libertà incontra non è il prepotente che vuole opprimermi, ma il mio stesso istinto. Per istinto qui intendo l’impulso atavico a fare senza sapere, fare prima di pensare. Il nemico è dentro di me.

 LXXXI:         Questo mi ricorda quel proverbio Bene Gesserit che dice grossomodo “cerca i tuoi istinti e troverai la schiavitù, cerca la disciplina e troverai la libertà”. È una di quelle simpatiche citazioni con cui iniziavano i capitoli dei libri della saga di Dune.

 Claudio:         La terribile sorellanza non rientra tra le mie autorità morali predilette, ma questa l’hanno centrata. Un sistema di pensiero che ci incoraggia a perseguire la libertà in senso puramente materiale, trascurando l’importanza della verità oggettiva in favore dell’opinione che “decide” cosa è vero, di fatto indebolisce la libertà. Decidiamo senza sapere davvero cosa stiamo decidendo, e spesso (perché siamo ignoranti, perché siamo manipolabili) decidiamo quello che qualcun altro aveva già deciso che dovessimo decidere. Così il liberalismo estremo, la visione anarco-radicaloide, alla lunga si rivela illiberale.

 LXXXI:         Stai forse suggerendo che il paternalismo è una soluzione migliore?

 Claudio:         Dipende da cosa intendi per paternalismo. In linea generale, non voglio un’autorità che ci impedisca di agire, ma che ci avverta di ciò che veramente comporta il nostro agire. È una brutale semplificazione, ma diciamo grossomodo che sono paternalista per il sapere e liberalista per l’agire. Sto parlando insomma di educazione, che è il luogo dove il problema gnoseologico si lega al problema del libero arbitrio. Perché nessuno nasce con la conoscenza innata. Se non sbaglio, l’etimo di educare è tirare fuori. Ma tirare fuori lo si può fare solo, appunto, da fuori. Nessuno può educarsi da solo, proprio come nessuno può tirarsi fuori da un fosso prendendosi da solo per i capelli come faceva il barone di Munchausen­. Abbiamo bisogno di maestri. Ecco la fiducia. Ecco la dietetica conoscitiva di Burgess.

 LXXXI:         Erbivori e carnivori. La metafora cui accennavi all’inizio. “Noi acquistiamo conoscenza tramite l’esperienza diretta, come il bambino che si è scottato ha paura del fuoco, oppure tramite l’esperienza altrui, che è contenuta nei libri … Ci vuole molto tempo per ottenere brucando in un prato la proteina che si trova in un rapido pasto di carne”.

 Claudio:         Esatto. Il paragone cibo-conoscenza mi ha profondamente colpito. Sono andato su wikipedia a dare una rapida occhiata alla pagina sugli erbivori e ho appreso che “il ruolo funzionale dell’erbivoro nella catena alimentare è quello di trasformare le molecole vegetali (cellulosa, amido), in molecole animali (glicogeno), che poi potranno essere assimilate dai carnivori. La loro efficienza di assimilazione è molto bassa a causa della loro posizione anteriore nella catena.” Meravigliosamente affascinante, non trovi? Possiamo costruirci tutta un’articolata metafora nutritiva-gnoseologica.

 LXXXI:         Ok. Giochiamo a costruirla. Mi piacciono le metafore articolate. Se ci fossero anche figure geometriche sarebbe meglio, ma pazienza.

 Claudio:         Terra = realtà. Dico terra nel senso proprio di suolo, quello che abbiamo sotto le scarpe. La realtà come sostanza della conoscenza, substantia, sta sotto.

 LXXXI:         Malkhut.

 Claudio:         Lascia perdere le sephirot. Non complicare il discorso. Dunque, la terra è la realtà. Un terreno può essere fertile o infertile. Terra fertile = realtà conoscibile. I vegetali, strappati direttamente dal suolo, sono la conoscenza “grezza”, basilare, acquisita direttamente per esperienza personale. L’erbivoro gnoseologico è chi conosce fondamentalmente per esperienza. Come dice wikipedia (va’ a sapere se è vero, ma fidiamoci), la sua efficienza di assimilazione è molto bassa. Chi rifiuta per principio l’esperienza altrui, impara poco e male. Ma, al tempo stesso, l’erbivoro è indispensabile, perché la catena alimentare deve pur avere un inizio. Non ho alcuna particolare conoscenza etologica, ma sospetto che un ecosistema composto interamente di carnivori che si mangiano l’un l’altro sia insostenibile. Il carnivoro gnoseologico è chi conosce per fiducia, e come il carnivoro ha bisogno dell’erbivoro, così le catene della fiducia – credo la cosa che mi ha detto x e lui la crede perché gliel’ha detta y che la credeva perché gliel’aveva detta z che eccetera – iniziano sempre da qualcuno che ha fatto l’esperienza. Il discente apprende per fiducia verso il docente, ma il docente, o il docente del docente, ha appreso perché ha sperimentato. Posso credere senza vedere, purché qualcuno abbia davvero visto. Fatti, avvenimenti, incontri. D’altra parte il carnivoro ha un’efficacia di assimilazione molto maggiore dell’erbivoro: io posso imparare in dieci giorni un libro alla cui scrittura l’autore ha lavorato per dieci anni. E forse – mi arrischio a dire una cosa biologica che non so, in caso correggetemi – più lunga è la catena alimentare, più elaborate possono diventare le trasformazioni a cui sono sottoposte le molecole nutritive. Il discente che diventa docente rielabora, approfondisce, migliora ciò che ha “mangiato” del suo predecessore.

 LXXXI:         Ma non stai lasciando fuori qualcosa? Esperienza, fiducia. E dov’è la ragione? Nella tua metafora, come chiami colui che conosce per ragione?

 Claudio:         Lo zappatore.

 LXXXI:         …

 Claudio:         …

 LXXXI:         Mario Merola icona del razionalismo. Mi vergogno di essere te.

 Claudio:         Fammi spiegare. Se la terra fertile è quella parte di realtà che possiamo esperire, la terra infertile è la realtà oltre i nostri limiti percettivi. Il deserto, arido, privo di vita vegetale, è ignoto. Eppure la terra sterile può essere coltivata. Nessun deserto è per sempre. Ci sono animali che mangiano erba o carne o entrambi, ma solo l’uomo coltiva la terra; guarda caso, similmente gli animali fanno esperienze, e si fidano del branco, ma non hanno qualcosa di paragonabile alla nostra razionalità. La ragione è un ampliamento dell’esperienza, perché inferisce dai dati sensibili ciò che sta oltre il nostro piccolo limitato ambito percettivo: studio il passato per sapere il futuro, studio il vicino per sapere il lontano. Il contadino coltiva la terra per trarne frutto, il razionalista coltiva la realtà ignota e la rende nota. “Campi del sapere” è un’espressione assolutamente confacente.

 LXXXI:         Ma l’uomo, in sostanza, che animale gnoseologico è?

 Claudio:         Ah, qui arriviamo al clou. L’uomo è onnivoro. Deve esserlo, se vuole stare bene. Il principio basilare del mio piccolo sistema gnoseologico, quello che chiamo la tridimensionalità della conoscenza…

 LXXXI:         Hai presente quando i filosofi da strapazzo s’inventano nomi altisonanti che complicano idee semplici, per far credere di essere più intelligenti?

 Claudio:         Ehm. Touchè. L’idea è che, se pensiamo a esperienza ragione fiducia come alle tre dimensioni del sapere, la nostra conoscenza si muove sempre in uno spazio 3D. Ma d’ora in poi posso anche chiamarlo teoria dell’onnivoro gnoseologico. Non è che una cosa la sappiamo per esperienza e basta, un’altra per ragione e basta, un’altra ancora per sola fide… Ogni volta che sappiamo una cosa esercitando una di queste facoltà, la dobbiamo corroborare con le altre due. Insomma dobbiamo avere una dieta integrata. Il fideismo e l’ideologia sono l’equivalente gnoseologico dello scorbuto. Chi non mangia verdura fresca si ammala, perde i denti, avvizzisce. L’empiria e il raziocinio sono imprescindibili. È insano credere senza cercare conferme, senza voler capire ciò che è creduto. D’altra parte, chi rifiuta di mangiare carne, per compensare le mancanze proteiche, è costretto ad assumere quantità molto ingenti di vegetali, e non sono sicuro che basti. Chi rifiuta qualunque autorità educativa, è gnoseologicamente denutrito.

 LXXXI:         Sembra tutto molto interessante, ma è lapalissiano dirlo nella mia posizione. Adesso si spiega il titolo. Bella metafora.

 Claudio:         Per noi, non è una metafora.

 LXXXI:         Noi chi?

 Claudio:         Noi cattolici.

 LXXXI:         ?

Claudio:         Vedi, questa metafora del mangiare la conoscenza mi aveva molto impressionato la prima volta che l’ho letta, e l’ho masticata e ruminata – appunto – per un bel po’, prima di capire perché mi colpiva così. Perché è eucaristica. Perché per noi cattolici mangiare la verità non è una metafora, è un sacramento. La verità ci renderà liberi, c’è scritto nel vangelo, ma c’è di più. Cristo non ci ha semplicemente detto che ci stava dicendo la verità: ha detto di essere lui stesso, la verità. La catena della fiducia su cui si fonda la Chiesa comincia con l’esperienza degli apostoli, il loro incontro personale, i fatti che hanno visto e tramandato. Ma questa catena è alimentare nel vero senso della parola, perché si regge su davvero su una serie continua di pasti senza i quali crollerebbe. Se un maestro è uno che si fa metaforicamente mangiare per far assimilare agli altri ciò che lui ha imparato, noi abbiamo un Maestro che si offre letteralmente in banchetto e in olocausto. Il Cristo che nell’eucaristia si rende realmente presente, meetable, incontrabile, si fa anche realmente eatable, mangiabile. Carne. Meat. Una carne, che per fede sappiamo essere sostanzialmente carne, che però alla nostra esperienza sensibile è pane – cioè, fondamentalmente, un vegetale coltivato.

 LXXXI:         Esperienza.

 Claudio:         Ragione.

 LXXXI:        Fede.

 Claudio:         Prendete e mangiatene tutti.