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Libri gennaio 2013

Recuperando velocemente i passati mesi di letture:


Lo Hobbit, di J.R.R. Tolkien, con annotazioni di Douglas Anderson.

 Ri-ri-riletto ad anni di distanza, subito dopo esser tornato dal cinema, e amato come la prima volta (e la seconda e la terza).
Il film  è molto fedele, tranne che per alcune aggiunte narrative che tolgono ritmo all’insieme (cose che capitano quando ti dicono a metà produzione che devi fare 3 film invece di 2 e ti tocca raschiare il fondo del barile delle scene che ti eri riservato per la extended version) nonchè per la caratterizzazione di Thorin Scudodiquercia (che nel libro partecipa della comicità dei nani mentre nel film se ne distacca per diventare un personaggio eroico e tragico); ed è molto bello, motivo per cui aspetto il prossimo film onde poi poter ri-ri-ri-rileggere il libro.
Grazie JRRT.

 

La città dei libri sognanti, di Walter Moers.

Come fu che Ildefonso De’ Sventramitis giunse per la prima volta a Librandia, la città dei libri, e quel che vi trovò di sopra e di sotto.
Come avevo già detto, trattasi di un libro BELLISSIMO, cosa che acuisce la delusione per la mediocrità del seguito ma intanto fa sì che il libro, in quanto singolo libro, sia consigliabilissimo a tutti coloro che amano i libri.
Ripeto: se amate i libri, questo dovete leggerlo. Ci troverete libri, libri e libri; libri viventi, libri volanti, libri perigliosi, libri trappola, libri fantasma; e poi scrittori di libri, venditori di libri, nasconditori di libri, cacciatori di libri, ciclopi librovori cioè mangiatori di libri (insomma), e non ricorso quanti altri -ori di libri ancora.
Tutto ciò che può concepibilmente avere a che fare con un libro, e molto di ciò che non può ma lo ha comunque, è qui. In questo libro.

 

American Dust, di Richard Brautigan.

 Il titolo originale era So the Wind Won’t Blow It All Away, ma forse l’editore ha deciso che era troppo difficile da leggere e però voleva comunque pubblicare un titolo inglese perché italiano fa troppo provinciale che non si può trattare così un Autore colonna della Controcultura Hippy, così è andato a pescare l’altra metà della frase che apre ogni capitolo del libro:

so the wind won’t blow it all away… Dust… American… Dust.

 Non precisamente allegro, ma di allegro c’è ben poco in questo viaggio nella coscienza di un adolescente americano, non tanto a posto con la testa, controfigura dell’autore, segnato da un evento tragico in cui sono implicati sangue e proiettili, di cui si porterà la responsabilità per tutta la vita, e attorno a cui ruota tutto il libro in un continuo andirivieni cronologico.
Non sono stato sorpreso più di tanto nello scoprire che Brautigan, due anni dopo la pubblicazione di questo libro così malinconico e depresso-deprimente, s’è fatto saltare le cervella.
Requiescat in æternum.

 

Il suicidio della rivoluzione, di Augusto del Noce.

 Dovevo saperlo che era troppo bello per essere vero: il famoso libro di Del Noce, contenente la sua famosa profezia all’epoca derisa e poi puntualmente realizzata sulla futura dissoluzione del marxismo, in vendita a soli 3 euro in edicola, nella collana “Laicicattolici – I maestri del pensiero democratico” del Corriere della sera (quanti bei nomi, eh?).
Era troppo bello.
E infatti non era vero: quest’agile volumetto di 168 pagine NON è il vero libro Il suicidio della rivoluzione (che di pagine, nell’edizione in brossura della Rusconi, ho scoperto poi contarne 368) ma bensì una collazione di capitoletti presi da Scritti politici 1930-1950 (edito da Rubbattino) e un solo capitolo tratto dal libro di cui porta il nome, cioè il capitolo su Gramsci.
Il che è bello ed istruttivo, per dirla guareschianamente.
Dopodiché, pazienza: anche incompleto e parte di un tutto, il capitolo di Del Noce su Gramsci (e su Gentile, e Benedetto Croce, e la stupidità dei cattolici che si sono fatti mettere nel sacco dalla strategia gramsciana fino a individuare il vero avversario non già nel comunismo ma bensì “nel vecchio cattolicesimo preconciliare, come se il Concilio avesse significato l’estensione della rivoluzione alla Chiesa, e l’universalità della Chiesa dovesse venire interpretata come permeabilità a tutte le rivoluzioni che hanno avuto successo”) vale comunque i 3 €, altroché.
Però, potevano dirmelo prima.

 

Dio – le domande dell’uomo, di Andrè Frossard.

Il cristianesimo è la religione della ragione. Si distingue dal razionalismo perché non si tappa le orecchie quando la ragione dice «Dio».

Fantastico questo libro, scritto da un famoso ed eccellente convertito, di godibilissima e facilissima lettura. Si tratta delle risposte date da Frossard a più di duemila domande ricevute da studenti dell’ultimo anno di scuola superiore.
La particolarità di Frossard è che segue una metodologia espositiva che sarei tentato di definire “tomista”. Voglio dire che, come faceva San Tommaso nella Summa, prima espone le obiezioni a lui portate, e poi espone le ragioni per cui tali obiezioni sono sbagliate.
(N.B. questa metodologia è anche il motivo per cui è pieno così di ignoranti che attribuiscono a San Tommaso idee da egli esplicitamente confutate, ma le dimensioni del libro di Frossard sono ben più esigue della Summa ed egli non corre questo rischio)
Così l’autore spiega brevemente ed efficacemente i perché di tante cose, con una capacità di sintesi e un’ironia che – esagero? – lo pongono a livelli degni di un Chesterton:

Il consiglio di Pascal (siate stupidi) era rivolto a gente che non aveva bisogno di ascoltarlo per metterlo in pratica.

Cartesio temeva effettivamente di annoiarsi a contemplare Dio per diecimila anni. Mai ha avuto l’idea chiara e distinta che Dio potrebbe annoiarsi molto prima a contemplare Cartesio.

Come non amarlo?


I dodici segni dello zodiaco + Sei problemi per don Isidro Parodi,
di Jorge Luis Borges & Adolfo Bioy Casa
res.

 Trattasi di due libri da poco prezzo, ordinati su Amazon perché avevo voglia di leggere qualcos’altro di Borges e perché, appunto, costavano poco. Così ho scoperto solo quando mi sono arrivati che i racconti del primo libro sono già contenuti nei sei del secondo, ergo potevo fare a meno di comprarlo. Pazienza.
A parte questo, impossibile lamentarsi: puro Borges, godibilissimo.Ma chi è Don Isidro Parodi?

il macellaio Agustìn R. Bonorino, che aveva partecipato al carnevale di Belgrano vestito da calabrese, ricevette una bottigliata mortale alla tempia. Nessuno ignorava che la bottiglia di Bilz che lo aveva ucciso era stata lanciata da uno dei ragazzi della banda Pata Santa. Ma poiché Pata Santa era un prezioso elemento elettorale, la polizia decise che il colpevole fosse Isidro Parodi, che alcuni affermavano fosse anarchico, volendo dire in realtà che si trattava di uno spiritista. Di fatto, Isidro Parodi non era né una cosa né l’altra: era padrone di un negozio di barbiere nel quartiere sud e aveva commesso l’imprudenza di affittare una camera a uno scrivano dell’8° Commissariato, il quale gli doveva ormai più di un anno di affitto. Quest’insieme di circostanze avverse segnò il destino di Parodi: le dichiarazioni dei testimoni (che appartenevano alla banda di Pata Santa) furono unanimi: il giudice lo condannò a ventun anni di reclusione.

 Naturalmente, sappiamo bene che queste cose succedono solo nei libri e nelle cose di fantasia, e che nel mondo reale gli organi inquirenti e requirenti sono sempre mossi soltanto dal più puro amore di giustizia.
E così Isidro Parodi, senza mai muoversi dal suo loculo, passa i suoi anni di galera a risolve enigmi polizieschi: la gente va a trovarlo in carcere e gli espone i propri problemi con la giustizia, e l’insolito detective li ascolta, ricostruisce la verità e indica il vero colpevole. Dalla sua cella passano personaggi stravaganti e sopra le righe, come il playboy Gerardino Montenegro o lo scrittorucolo Carlos Anglada, altrettante parodie di tipi esistenziali dell’ambiente “bene” di Buenos Aires, quello stesso ambiente che Borges e Bioy Casares satireggiano con grande piacere loro e dei lettori, muovendo i racconti su tre diversi livelli (struttura gialla, satira sociale e virtuosismo letterario) in un mix eccellente e divertentissimo.

 

Io sono febbraio – storia dell’inverno che non voleva finire mai, di Shane Jones.

 Vabè che avevo pagato solo € 1,99 per l’ebook di questa fiaba mal scritta, senza né capo né coda, di incerta trama e ancor più incerto significato, ma sono comunque 1,99 € che rimpiango. Almeno era breve e non ci ho perso molto tempo.

 

 

 Veritatis splendor, di Giovanni Paolo II.

La legge morale naturale è la partecipazione della legge eterna nella creatura razionale.

 Ecco, se solo questa fosse l’unica cosa che avessi capito leggendo l’enciclica, già sarei molto contento. Per fortuna, ho capito anche qualcos’altro. Non abbastanza, però, motivo per cui dovrò rileggere.


Donna, perchè piangi?

Ammiravo profondamente il cardinale Joseph Ratzinger, l’autore della Dominus Iesus; ho ammirato ancor di più il pontefice Benedetto XVI. Non credevo che questi sentimenti sarebbero significativamente cambiati.
Ebbene, oggi…

… lo ammiro ancora di più. Più di prima. Più che mai.

Mi colpiscono tre reazioni diverse alla notizia, tre sentimenti, tre atteggiamenti quasi antropologici: l’esultanza, lo scandalo, la tristezza.
In forme diverse, ne capisco le ragioni, ma non le condivido in alcun modo.

 

Comprensibile la gioia dei nemici della Chiesa, controprova che il Papa ha sempre fatto bene il suo mestiere: per loro (s’illudono) è un pericoloso avversario in meno. Casomai ci sarebbe stato da farsi domande se gli avessero detto, no, non te ne andare. Sono capitato sul sito di Liberazione e ho visto che in homepage hanno titolato “il papa si arrende”. Non ne sono sorpreso.
Illusi, ancora una volta, non capiscono la differenza tra la resa e il sacrificio. Non sanno che i santi, pure quando stanno da qualche parte in clausura zitti a pregare, pure quando muoiono, continuano a combattere il male; forse anche più efficacemente di prima.

 

Comprensibile anche lo scandalo di chi pensa al duro giudizio di Dante sul gran rifiuto, chi fa il paragone con la croce che Giovanni Paolo II portò nei suoi ultimi anni. Ma per favore, non esagerate. Certi stracciamenti di vesti, certe recriminazioni contro il tradimento, il pastore vigliacco che fugge davanti ai lupi, sono decisamente fuori luogo.
Il paragone con Celestino V, o il papa cinematografico di Nanni Moretti, non regge. Quelli hanno lasciato nel pieno delle loro forze, all’inizio della loro missione, per paura confessata. Benedetto XVI ha dato tutto sé stesso in quasi otto anni di lotte contro i lupi, fuori e dentro la Chiesa (soprattutto dentro). Nel suo gesto non vedo la fuga del disertore; vedo invece la saggezza del re stanco, ma libero dalle catene dell’orgoglio e del potere, che per il bene superiore affida il trono a mani ormai più capaci delle sue.
Giovanni Paolo II fece una scelta diversa. Papa fino alla fine, papa sofferente, muto, infermo di salute ma fermo nella fede. Una testimonianza di dignità nella malattia di cui questo mondo, innamorato dell’eugenetica e del mito della vita degna di essere vissuta, immemore delle cause che portarono all’orrore di un secolo fa, aveva estremo bisogno. Fu una scelta santa, ma il prezzo da pagare fu l’amministrazione petrina lasciata de facto a mani che non sempre sapevano o volevano far bene, la barca sbandante con un timoniere troppo debole per correggere gli errori di rotta.
Ecco, io credo la scelta di Benedetto XVI sia dovuta principalmente al fatto che da cardinale vide da vicino questo rovescio della medaglia, i danni che provocò o avrebbe potuto provocare, e che abbia deciso che in questo frangente la Chiesa non può permetterselo di nuovo.
C’è un tempo per ogni cosa; c’è un tempo per un Papa malato e stanco, e un tempo per un Papa forte e vigoroso.
Questi, purtroppo, non sono tempi da Papi stanchi.

 

Comprensibile, più di tutto, la tristezza di chi dice “ci mancherà”.
È vero. Ci mancherà.
Ma, detto brutalmente, prima o poi sarebbe morto comunque; forse dopo anni di malattia, che grazie alla sua saggezza non diventeranno anni di pseudo-governo inflitti a una Chiesa che ha estremo bisogno di veri pastori.
Nessun Papa è eterno; solo lo Spirito Santo lo è. Il miglior commento che abbia letto a questa vicenda? “La Chiesa si rinnova sempre, rinasce sempre. Il futuro è nostro.
E poi, perché dobbiamo piangere chi sarà per sempre vivo?


Io non piango per la fine di Benedetto XVI. Invece lo ringrazio commosso per questi anni che ci ha dato, per il suo coraggio, la sua intelligenza, il suo sacrificio.

Non è tempo di piangere.

È tempo di pregare.

Conclave is coming