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Libri giugno-luglio 2012

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Racconti umoristici, di Iginio Ugo Tarchetti.
Ossia:
1) In cerca di morte: accanito giocatore d’azzardo perde tutto, per amore della moglie stipula un’assicurazione sulla vita e cerca di farsi ammazzare, senza mai riuscirci;
2) Re per ventiquattrore: giovane letterato di simpatie democratiche, nominato improvvisamente re – con relativo harem – di un’isola tropicale dai bizzarri costumi, stranamente diventa improvviso fautore della più rigida monarchia assoluta.
Umoristici forse è una parola esagerata, almeno per i nostri standard odierni, comunque questi due racconti si leggono con un sorriso.

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Graffiti nella Biblioteca di Babele, di AAVV.
Le antologie Urania sono una specie di gioco di fortuna, non sai mai quello che potrebbe capitarti. Questa volta, spiace dirlo, la qualità media dei racconti non brilla per eccellenza e anche il racconto che dà alla raccolta il titolo (che mi aveva avvinto per ovvi borgesiani motivi) si rivela alquanto mediocre. Salvo soltanto:
Tutto, più o meno, di Terry Bisson: un inserviente in un laboratorio si porta a casa un sasquatch artificiale e se lo tiene come affezionato animale domestico, finché quello a poco a poco si dissolve spontaneamente in una pozzanghera di DNA. Non un capolavoro di storia, ma mi è piaciuta la fine: A volte penso alla creatura e alla sua breve vita, al “banchetto”, come dice il poeta. Per quanto breve, quella vita le è arrivata di sorpresa, come fa con tutti noi, se ci pensate. E poi, non tanto improvvisamente, se n’è andata. Questo è tutto, più o meno.
Live al Budokan, di Alastair Reynolds: produttori musicali ricreano un T-Rex in laboratorio per farlo diventare una stella del rock’n’roll. Poi il dinosauro comincia a improvvisare i suoi assoli di chitarra.
La casa di un uomo è il suo castello, di Michael Swanwick: dialogo tra un poliziotto, che indaga sul possibile omicidio di un uomo scomparso, e la casa dello scomparso, sospettata di averlo ucciso. Ma ovviamente la casa non l’ha ucciso. Come poteva? È innamorata di lui.
Dalla lontana Cilenia, di Karl Schroeder. È un racconto piuttosto lungo e complesso sui giochi di ruolo dentro altri giochi di ruolo dentro altri giochi di ruolo ancora. Alcuni di questi GDR sono più potenti delle nazioni “reali” e possono organizzare crimini, attacchi terroristici, cose così.
Il Progetto Cassandra, di Jack McDevitt: un responsabile pubbliche relazioni della NASA scopre che i primi astronauti sulla Luna avevano trovato un messaggio, lasciato dagli alieni, scritto in greco antico. Le autorità hanno tenuto segreta la cosa perché il messaggio è intollerabile: non si conosce alcuna civiltà, in alcun luogo, che sia sopravvissuta al progresso della tecnologia. Nessuna dura più di qualche secolo. Facile capire perché il messaggio sia stato secretato sotto il nome in codice di Cassandra.
Tredici chilometri, di Sean McMullen: è uno steampunk, cioè una storia di “fantascienza retrospettiva” ambientata nell’epoca vittoriana (nell’introduzione dei curatori si dice che lo steampunk è più vicino al fantasy che alla sf, ma io non sono d’accordo). Per fantascienza retrospettiva s’intende costruire una mongolfiera che possa arrivare a 13 km di altezza, cosa che all’epoca era appunto fantascientifico, adesso non so.

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WWW 2: in guardia, di Robert J. Sawyer.
Secondo volume di una trilogia di cui Urania ha pubblicato il primo volume l’anno scorso, e presumibilmente pubblicherà il terzo l’anno prossimo. La traduzione italiana purtroppo fa perdere l’allitterazione dei titoli (WWW1: Wake, WWW2: Watch), ma non c’era alternativa.
Mentre nel primo libro si descriveva l’emergere in internet di “Webmind” l’intelligenza artificiale, qui si racconta il suo rivelarsi al mondo, relazionandosi con una ragazza semicieca e difendendosi dal governo cattivo che vuole spegnerlo. L’autore – a parte un brevissimo accenno alla noosfera di Teilard de Chardin – sembra assumere che questa intelligenza sia sorta del tutto spontaneamente e casualmente, in una prospettiva evoluzionista alla Dawkins (esplicitamente citato), tirando in ballo gli automi cellulari e pacchetti di dati e altre cose che non capisco e di cui non so giudicare la verosimiglianza.
(piccolissima riflessione da profano: ok, diciamo pure Webmind è sorto per caso. Ma da quale humus è sorto? Da internet, che certamente non è nata per caso. Gli elementi base che compongono Webmind si sì sono combinati casualmente, sennonché ciascuno di essi era già portatore di una complessità intrinseca, ordinata, teleologica. Il risultato di un lancio del dado è “casuale”; ma il dado non lo è, anzi è stato costruito precisamente con lo scopo di generare risultati “casuali”; ma allora, possiamo davvero considerare “casuale” e “non voluto” come sinonimi? Detto altrimenti: fosse pure vero che l’uomo sia nato per caso e non voluto da un accidentale tamponamento di aminoacidi o quel che era, in che modo questo dovrebbe dimostrare che sono causali e non voluti gli aminoacidi, e l’universo in cui sono sorti, e le leggi razionali che ne descrivono il funzionamento?)
Comunque, quando esce il terzo volume, li darò da leggere a chi so io, e sentiamo che mi dice.

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Galateo per tutte le occasioni, di Sabrina Carollo.
E insomma, come dicevamo, qualcuno nutre la ridicola teoria secondo la quale i miei modi sarebbero in alcune occasioni men che raffinati e ricercati. Ohibò (burp). Così, allo scopo di rieducarmi, sono stato gentilmente invitato a studiare (sul serio; con tanto di interrogazioni) questo libro, all’uopo regalatomi, che in effetti è una miniera di consigli di buona educazione, alcuni dei quali riesco perfino a ricordare ed applicare.
Meritevoli di segnalazione:

  • l’autrice dedica il volume a Giacomo e alle sottocoppe di peltro;
  • Impietoso giudizio sul femminismo: la parità dei diritti, o almeno questo suo goffo tentativo che ci ritroviamo a vivere, ha apparentemente assolto i signori da alcune piccole, gradevolissime cortesie che sono sparite molto più rapidamente di quanto non siano apparsi benefici rivoluzionari femministi a ripareggiare il conto. Commentatrici, concordate?
  • Dal capitolo “L’arte del buon consigliere”, testuale: Se a chiedervi consiglio è vostra moglie: dimenticatevi la normale diplomazia, la correttezza, e soprattutto la realtà. Proiettatevi in una dimensione parallela, pensate a quello che rispondereste se foste un marziano appena atterrato e dite l’esatto opposto. Se il consiglio riguarda i chili di troppo, lei non ne ha. Mai. Mah. A me onestamente pare una concezione alquanto misera del matrimonio e dell’affectio coniugalis, e a voi?
  • Ibidem: Se a chiedervi consiglio sono i vostri figli: questo lo mettiamo giusto per scrupolo, nella remotissima occasione in cui nessun coetaneo sia in zona, il telefono sia momentaneamente rotto, il cellulare senza ricarica, Internet intasata, il motorino bucato e gli autobus in sciopero. Se si tratta di abbigliamento, dovete farvi forza e scegliere il capo più trasandato tra i due (o venti) proposti. Forse avete qualche chance che, per spirito di contraddizione, non lo scelgano loro. Di cuore e di vizi non si tratterà mai, dunque tranquilli: per quel tipo di consiglio comunque aspettano quell’amico (amica? boh…) con il piercing sull’occhio e la testa mezza rasata.

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1Q84, di Haruki Murakami.
Comprato in e-book su amazon, solleticato dalla temporanea offerta speciale a cui lo davano (€ 1,99), in circa due mesi mi sono letto sul kindle questo malloppone. La cosa buffa è che non ho avuto la percezione di quanto fosse lungo – perché sull’aggeggio non ha senso parlare di “pagine”, visto che l’utente decide la grandezza dei caratteri; casomai ci sono le “posizioni”, e il libro in questione ne ha 13685 – finché non ho visto in metropolitana una signora che ne leggeva l’edizione cartacea e ho pensato “uà, ecco perché ci ho messo tutto quel tempo!” (beh, complice anche il fatto che leggevo altre quattro cose contemporaneamente).
1Q84 è un libro stranissimo, uno dei più strani che abbia letto da molto tempo a questa parte; così strano che non saprei ancora dire se e quanto mi è piaciuto. Ho trovato lo stile molto freddo e glaciale, non percepivo nessuna partecipazione emotiva nello scrittore; sembra un entomologo che descrive l’accoppiamento degli insetti – dico letteralmente, anche quando i suoi personaggi si accoppiano sul serio. Questo non vuol dire che Murakami non scriva bene; è che scrive bene nel modo in cui ha scelto di scrivere, che non sono sicuro di apprezzare.
La trama è ancor più particolare. I capitoli sono alternati tra i due protagonisti, una donna che fa un lavoro molto particolare (ufficialmente insegnante di stretching, occasionalmente assassina di mariti che picchiano le mogli) e uno scrittore che si fa convincere da un editor senza scrupoli a fare il ghost writer conto terzi. Tra questi due poli si muovono alcuni personaggi strani, tipo una ragazza che fa le domande senza punto interrogativo e una setta “religiosa” (*) dominata da esseri preternaturali che fanno apparire due lune nel cielo che solo qualcuno riesce a vedere. Non è un libro realistico nel senso stretto del termine, ma non è neppure un fantasy o un horror; non è una storia d’amore (o forse sì, ma i due innamorati non sono precisamente tali); insomma so cosa non è, ma non so cosa è. Per molto tempo non ho avuto la minima idea di dove volesse andare a parare, e in effetti non lo so neppure ora, visto che arrivato alla fine ho scoperto –ta-daan!!! – che la storia è incompleta (e compatisco quelli che non l’hanno pagato € 1,99); ciò che ho letto contiene i volumi 1 e 2 di una trilogia di cui è uscita da poco la terza parte… che immagino di voler leggere, prima o poi, ma non ho fretta.

 (*) le virgolette perchè “«Noi non possediamo dottrine esatte, – spiegarono. – Non abbiamo bisogno di manuali di regole codificate. Quello che facciamo è svolgere ricerche sui principî del buddismo primitivo, ed eseguire le pratiche ascetiche che esso prescriveva. Ciò a cui miriamo attraverso l’esecuzione concreta di tali pratiche, è raggiungere un risveglio spirituale che non sia legato alle parole ma sia fluido e vitale. L’idea che vorremmo trasmettervi è che sono questi singoli risvegli individuali a formare, nel loro insieme, la nostra dottrina. Non è dalle dottrine che scaturisce il risveglio: prima esistono i risvegli individuali, e in seguito a quelli nascono spontaneamente le dottrine che stabiliscono le nostre regole. È questo il nostro metodo principale. In tal senso, il nostro sviluppo si distingue grandemente dalle altre religioni esistenti»”. Che siano gli shakers del buddismo?

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Viaggio in Italia – alla ricerca dell’identità perduta, di Salvatore Natoli, Ilvo Diamanti, Luigi Zoja, Enrico Pozzi, Marco Aime, Luca De Biase, Gianpiero Dalla Zuanna.
Si può scaricare gratuitamente e legalmente dal web (qui o qui).
Libro oltremodo antipatico. In superficie si presenta come un saggio sull’identità italiana, tra il sociologico e l’antropologico; in concreto, tuttavia, l’approccio accademico è poco altro che un pretesto un’occasione per inoculare al lettore continue frecciate politiche contro la Lega e Berlusconi, peraltro intrise di quel pensiero di sinistra del tipo più spocchioso (e difatti gli autori provengono da quella precisa area culturale, ed è facile intuire quali giornali ospitano i loro articoli): quello da “questione morale”, quello da “chi non vota per noi è cretino oppure egoista”.
Insomma quello, appunto (tanto per citare un famoso saggio di Luca Ricolfi su questo tipo di sinistra), antipatico.
Mi è rimasto così tanto sul gozzo, questo libro, che mi sono ripromesso di farci un post ad hoc.

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I figli di Matusalemme, di Robert A. Heinlein.
Storia di una stirpe di uomini particolarmente longevi, invidiati dai normali e costretti prima all’occultamento, poi alla fuga nello spazio in cerca di un pianeta proprio. Non mi è piaciuto particolarmente, per la verità; incuriosisce solo il personaggio di Lazarus Long, l’immortale (che deve essere immortale davvero, se il mitico dottor Hugo Pinero non era riuscito a dirgli quando sarebbe morto), che ricorre in altri libri di Bob H.

 

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Le grandi storie della fantascienza (vol. 1 – anno 1939), di AAVV.
Antologia, a cura di Isaac Asimov e Martin H. Greenberg, dei migliori (secondo loro) racconti di fantascienza usciti nel 1939. Qui l’elenco.
Cioè, gente, il ’39, vi rendete conto. Parliamo di archeologia della fantascienza. Ci sono racconti in questo libro che immaginano quali “meraviglie del possibile” (cit.) cose che per noi sono più che scontate banalità, sono praticamente normali come il sole e le stelle; per dire, il racconto Creature eteree di Theodore Sturgeon si svolge in un fantasioso futuro dove hanno inventato addirittura LA TELEVISIONE A COLORI.
Fa impressione, eh?

§ interpolazione autobiografica

(ho ancora il nitido ricordo di quando, da bambino, vidi per la prima volta Blade Runner in televisione; e rimasi colpito da una scena in cui Deckard telefona a Rachel e la vede, cioè era una videofonata; e pensai distintamente “wow! In questo film ci sono i telefoni con le immagini! È un film di fantascienza! Sto guardando un film di fantascienza! Sono diventato GRANDE!” perché all’epoca, ovviamente, le videofonate erano fantascienza; è una di quelle cose che, se le dici a gente anche solo di pochi anni più giovane, capace che ti guardano come se fossi un vecchio con la barba)

§ fine interpolazione autobiografica

 C’è qui una caratteristica della fantascienza che, ritengo, dovrebbe renderla assolutamente apprezzabile da tutti gli storici di professione e gli appassionati di storia in genere; il fatto che essa può funzionare, come dire, da “marcatura” temporale. Gli storici dell’anno 3000 avranno a disposizione un formidabile ausilio per stabilire che nel decennio x la tal cosa era avveniristica, nel decennio y era innovativa, e nel decennio z era normale.
Vi pare poco?
Racconti preferiti:
Io, Robot di Eando Binder, un’ esplicita riscrittura della storia di Frankenstein;

L’uomo nodoso di L. Sprague de Camp, la storia di un uomo di Neanderthal che vive in mezzo a noi e avrà, a occhio e croce, 52.000 anni o giù di lì. È un tipo simpatico.
Ruggine di Joseph E. Kelleam; una storia di robot morenti in un mondo morto che prendete i fazzoletti, altro che Wall-E!
E soprattutto…

La linea della vita di Robert A. Heinlein.
Sublime.
Sono molto affezionato a questo racconto; lo avevo già letto nel 1997, in un Urania dedicato alla saga della Storia Futura di Heinlein (costava qualcosa come 4.000 Lire). È il primo racconto della saga ed è la storia di uno scienziato anticonvezionale, il dottor Hugo Pinero, che ha inventato una tecnica per predire alla gente il giorno e l’ora precisi in cui moriranno. Ovviamente è una di quelle notizie che vanno maneggiate con cautela.
Ricordo benissimo il senso di cocente ingiustizia che provai dopo aver finito la storia. Mi sentii triste come se mi fosse morto un parente. Non vi spoilero, ma in questo racconto ci sono delle persone che fanno una cosa bruttissima. Uccidono un uomo, ma non fu quello che mi colpì; di morti ammazzati ne avevo già letti sui libri e visti in tv abbastanza da riempire tre guerre mondiali. No, questi uomini distruggono una scoperta scientifica; e non lo fanno in nome di un qualche ideale, ma – senza neanche nasconderlo, senza nessuna vergogna, neppure un po’ d’ipocrisia – soltanto in nome del profitto e dell’egoismo. E ciò, al ragazzo ateizzante e intellettualmente inquieto che sarebbe diventato ClaudioLXXXI, parve una cosa atroce, la summa dell’iniquità.
E quel ragazzo si chiese: ma perché sto così male? Da dove viene questo senso di ingiustizia? Hanno fatto una cosa orribile, ma perché è orribile? Sicuramente loro non lo dicono. Ma allora CHI lo dice che è orribile? Se non c’è un Dio, possono esserci cose orribili?
Il ragazzo si farà, anche se ha le scarpe strette…

 

Tutte le storie di Padre Brown, di Gilbert Keith Chesterton (in lettura).

Bibbia e morale, di AAVV(in lettura).

 

Entrambi un poco alla volta, senza fretta, ma per motivi diversi.
Il primo perché me lo sto centellinando per godermelo il più possibile.
E l’altro perché… onestamente… è noioso!
(e sì, eh; non è che, solo perché un libro parla di Gesù e faccende teologiche, non può essere noioso; purtroppo)


Libri maggio 2012

Costruire sulla roccia, di AAVV (Il Timone).
Libro comprato a 1 € grazie a sissi2002 (grazie). Greatest hits di articoli apparsi sul Timone, scritti da autori come Introvigne, Cammilleri, Agnoli, Gnocchi & Palmaro, eccetera. Insomma apologetica hardcore.

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Racconti fantastici, di Iginio Ugo Tarchetti.
Scaricato gratuitamente da amazon essendo scaduto il copyright, il libro essendo del 1869 e l’autore morto in quello stesso anno.
Non conoscevo assolutamente il nome di Tarchetti, i miei ricordi liceali sulla Scapigliatura milanese sono pressoché inesistenti, ma i racconti sono gradevoli e si leggono con piacere. Il libro offre anche l’opportunità di constatare i cambiamenti della lingua italiana nel tempo, per esempio si nota spesso l’uso della forma verbale pronome alla 1a +verbo alla 3a, es. io avea, io correva, io disse. Chissà se era un peculiare modo di esprimersi dell’autore o una forma corrente a quel tempo.

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Diario del figliol prodigo. Vent’anni dopo, di Guy Luisier.
Altro libro comprato a 1 € grazie a sissi2002 (grazie). L’autore, un sacerdote francese, ha avuto un vero colpo di genio: il figliol prodigo (che adesso non si chiama più così, vedi sotto) scrive un diario, vent’anni dopo essere tornato, dove descrive le sue impressioni, il suo faticoso riadattarsi alla vita nella casa del padre, il rapporto con il suo glaciale fratello e i di lui figli gemelli.
È breve, si legge in poco tempo, ma è una lettura feconda. Se lo trovate in giro, non fatevelo scappare.

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De Bibliotheca, di Umberto Eco.
Il libretto è scaricabile gratuitamente da qui, e consiste in un intervento tenuto dall’autore nel 1981 alla celebrazione dei 25 anni di attività della Biblioteca Comunale di Milano.
Eco comincia con una citazione dalla Biblioteca di Babele di Borges, perché “in un luogo così venerando è opportuno cominciare, come in una cerimonia religiosa, con la lettura del Libro, non a scopo di informazione, perché quando si legge un libro sacro tutti sanno già quello che il libro dice, ma con funzioni litaniali e di buona disposizione dello spirito”. Concordo. Da qui si sviluppa tutta una serie di riflessioni sulla natura e la funzione, diciamo pure l’essenza, della biblioteca – la quale peraltro, come sanno tutti quelli che hanno letto Terry Pratchett, è fondamentalmente un buco nero ben istruito.
Alcune considerazioni contingenti sono un po’ datate (per forza: nel 1981 nasceva ClaudioLXXXI, è una vita fa, ma vi rendete conto?!?) e sono state inevitabilmente superate dalla diffusione di internet ebook eccetera; per esempio il discorso sulla xerociviltà, cioè la civiltà della fotocopia, destinato a diventare sempre più marginale man mano che i lettori diversamente onesti, invece di fotocopiare il libro pagina per pagina (che almeno pagavano, se non con soldi, con tempo e fatica), se lo fanno portare a dorso di mulo comodamente stravaccati davanti al pc.
Altri concetti e problematiche invece sono tuttora perduranti: per esempio la divertente descrizione in 21 punti della biblioteca incubatica, cioè la biblioteca come non dovrebbe essere ma come spesso è, del tipo

I) Quasi tutto il personale deve essere affetto da limitazioni fisiche […]

P) Gli orari devono assolutamente coincidere con quelli di lavoro, discussi preventivamente coi sindacati: chiusura assoluta di sabato, di domenica, la sera e alle ore dei pasti. Il maggior nemico della biblioteca è lo studente lavoratore; il migliore amico è Don Ferrante, qualcuno che ha una biblioteca in proprio, quindi che non ha bisogno di venire in biblioteca e quando muore la lascia in eredità.

T) Possibilmente, niente latrine.

oppure l’annoso problema relazionale: come deve porsi la biblioteca nei confronti degli utenti?

bisogna scegliere se si vuole proteggere i libri o farli leggere. Non dico che bisogna scegliere di farli leggere senza proteggerli, ma non bisogna neanche scegliere di proteggerli senza farli leggere. E non dico neanche che bisogna trovare una via di mezzo. Bisogna che uno dei due ideali prevalga, poi si cercherà di fare i conti con la realtà per difendere l’ideale secondario. […] correre maggiori rischi sulla preservazione dei libri, ma avere tutti i vantaggi sociali di una loro più ampia circolazione. Cioè se la biblioteca è, come vuole Borges, un modello dell’Universo, cerchiamo di trasformarla in un universo a misura d’uomo, e, ricordo, a misura d’uomo vuol dire anche gaio, anche con la possibilità del cappuccino, anche con la possibilità per i due studenti in un pomeriggio di sedersi sul divano e, non dico darsi a un indecente amplesso, ma consumare parte del loro flirt nella biblioteca […]

E(c)co, io conosco una bibliotecaria che, alla prospettiva di veder ragazzotti in calore pomiciare nella sua biblioteca, minaccia di amputare lingue col tagliacarte.
Lei sì che ha le idee chiare sul problema relazionale, altroché.

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Come cambia la Bibbia, di Roberto Beretta & Antonio Pitta.
Si tratta di un agile libretto scritto a quattro mani da un giornalista (RB) e un biblista (AP) al fine di divulgare, spiegare, commentare alcuni dei cambiamenti più notevoli subiti dalla Bibbia CEI nell’ultima revisione del 2008.
Peraltro, mi sono accorto che il libro è del 2004 ma non è aggiornato, e alcune revisioni di cui parla (es. il lettuccio del paralitico che diventa una barella) sono state abolite all’ultimo minuto (e così la barella, poveretta, è rimasta il solito lettuccio). Questo in parte ne riduce l’utilità, che resta comunque pregevole per il profano che volesse farsi un’idea della complessità delle questioni.
Ordunque.
Non è mia intenzione essere polemico, né trinciare giudizi in un ambito del quale sono consapevole di avere scarsissime cognizioni. L’Italia è già troppo affollata di sapientoni da facebook quotidiano a tiratura nazionale osteria che parlano parlano e sarebbero sempre tutti quanti bravissimi a) investigatori b) giudici c) presidenti del consiglio con l’interim di tutti i ministeri d) papi e) allenatori della nazionale di calcio; naturalmente senza sbagliare mai e senza mai farsi corrompere dal potere, loro. Non voglio aggiungermi alla legione maledetta, perciò non dirò “io avrei fatto così” e “non dovevano fare così”. Mi limito solo a esprimere le mie perplessità e a dire che, da semplice fedele e fruitore del testo, mentre per la maggior parte dei cambiamenti si capisce la logica della revisione per tenere dietro al cambiamento linguistico, alcune scelte mi restano (vuoi per difetto oggettivo, vuoi per limite mio) incomprensibili. Peraltro non le capiscono neanche RB & AP, che segnalano ma non spiegano, o meglio, spiegano la propria perplessità.
Del tipo: ma era proprio necessario sostituire in Matteo 26:24 il vecchio “vedrete il Figlio dell’uomo seduto alla destra di Dio” con il nuovo e lievemente criptico “seduto alla destra della Potenza”?
Oppure: ma è stata davvero una buona idea superare l’espressione figliol prodigo? Da un punto di vista strettamente biblistico capisco: “figliol prodigo” non fa strettamente parte del testo del vangelo; ormai pochissimi ricordano l’originario significato di prodigo, cioè spendaccione e dissipatore; e poi questo titolo focalizza l’attenzione solo su uno dei tre personaggi, mettendo in secondo piano gli altri due. Insomma, c’erano sicuramente buoni motivi per cambiare.
Tuttavia, il problema ha angolazioni anche non strettamente bibliche. “Figliol prodigo” è un esempio calzante di inculturazione cattolica, cioè di come il cattolicesimo esce dall’ambito strettamente religioso per travasarsi nel tessuto civile di un popolo, una lingua, una cultura. Quante opere d’arte hanno l’espressione figliol prodigo nel titolo? Quante volte abbiamo sentito questa espressione in libri, film, articoli di giornale, in ufficio, per strada, del tutto fuori da qualsiasi riferimento clericale? (un esempio a caso) È ormai una frase topos. È una fantastica economia del linguaggio: la dici e con pochi fonemi hai comunicato all’interlocutore, se condivide il tuo stesso patrimonio culturale – un patrimonio che nonostante tutto resta ancora molto impregnato di cristianesimo – un intero universo concettuale che altrimenti per essere espresso richiederebbe tempo e fiato e perifrasi. È, per farla breve, una bandiera verbale piantata dal cristianesimo sulla cultura occidentale, a segnalare “IO SONO QUI”.
Insomma, io non so se valeva la pena rinunciare a ciò, specie in un momento storico in cui si deve fronteggiare la pretesa di espellere il cattolicesimo da ogni ambito pubblico (dunque anche culturale, anzi, soprattutto culturale). Spero di sì, come spero che chi ha avuto l’ultima parola per decidere la revisione linguistica lo abbia fatto sulla base di valide ragioni che io, non essendo un tuttologo, non conosco.

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Noi marziani, di Philiph K. Dick.
Un altro libro di PKD, di qualità discreta, con molte delle topiche ricorrenti dell’autore: la confusione tra vero e apparente (declinata nella variante schizofrenica, come in Follia per sette clan), i paradossi temporali, la lotta del protagonista debole e “perdente” per non soccombere in un mondo aggressivo e vorace. Però, in effetti, chi è il vero protagonista del libro? Jack Bohlen, il meccanico timido e complessato e incline alla schizofrenia? Oppure Arnie Kott, l’egoista e lubrico capo del sindacato idraulici che agisce con metodi mafiosi e vuole sfruttare tutto e tutti per i suoi fini? L’interrogativo è lecito perché alla fine, con quello che mi sembra uno dei rari happy end della produzione di PKD, il primo, ricompensato per il suo atto iniziale di generosità verso i poveri Bleekman, gli autoctoni di Marte, vince; e il secondo soccombe, a causa di un’inaspettata e fortuita ritorsione alla sua prepotenza.
E allora chi era davvero il perdente?

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Catechismo della Chiesa cattolica, di AAVV (finito).
Ebbene, criticate finché volete il libro elettronico.
Sì, avere la carta tra le mani è tutta un’altra sensazione. No, non si può fare l’orecchio alla pagina. C’è il rischio che il formato in cui oggi abbiamo comprato i nostri libri tra una decade sia illeggibile, e dovremo ricomprarceli tutti quanti. Se capita una guerra nucleare / epidemia di zombie / invasione aliena / naufragio su isola nel Pacifico abitata da orsi polari, puoi leggere solo finché ti durano le batterie, poi ciccia. Si scarica proprio quando arrivi all’ultimo capitolo. Se si rompe senza preavviso o te lo rubano, hai perso mezza biblioteca ed è una catastrofe. Non puoi prestare un libro. Non puoi far vedere ai tuoi vicini di autobus la copertina del libro stai leggendo, e diciamocelo, pure questa era una piccola soddisfazioncina (e un modo per rimorchiare – a me non è mai riuscito, ma a qualcun altro sì). Il libro di carta lo puoi conservare per i tuoi figli, e puoi sognare che magari lo leggeranno anche i tuoi nipotini. Ci puoi scrivere una dedica, annotare tutte le glosse che vuoi, disegnare le faccine a lato dei paragrafi più belli.
Tutte queste cose, e altre ancora. Sì. Certo.
Però io, se non avevo il lettore ebook, col cavolo che riuscivo a leggermi il catechismo della Chiesa Cattolica in versione integrale, quello pesante, scaricato in pdf dal sito del Vaticano, 955 pagine e 122 megabytes.
Me lo sono letto poco per volta, un paio di pagine al giorno, dal 24/09/2011 al 16/05/2012. Senza fretta (certo, ha aiutato il fatto che sapessi già come va a finire: i buoni vincono). Molto agevolmente. Anche quando avevo la borsa strapiena di roba di lavoro e dovevo cambiare tre autobus e due metropolitane, potevo dotarmi di un mattone che cartaceamente non mi sarei proprio potuto permettere di trasportare, con un sentito grazie dalla mia colonna vertebrale. Potevo leggerlo sempre, ovunque, in qualsiasi situazione. Per dire, se la natura chiamava e io volevo passare quei cinque-dieci minuti (ma anche 15 volendo prendermela comoda) a soddisfare le esigenze della mia anima tanto quanto quelle del mio corpo, potevo infilare l’aggeggio nella tasca e portarmelo appresso senza tema di suscitare inarcate di sopracciglio in coloro che putacaso mi avessero visto col Catechismo Cattolico sottobraccio mentre mi recavo al cesso.
(non fare quella faccia scandalizzata da sepolcro imbiancato, tu; ricorda che il cristianesimo è religione materialista! Siamo un sinolo aristotelico, corpo e anima, l’uno non meno dignitoso dell’altra e non meno destinato alla vita eterna!)

Comunque, il catechismo.
Non ho la pretesa di aver capito tutto, meno ancora di ricordare tutto quello che ho capito, ma mi è servito moltissimo per inquadrare e sistematizzare molte cose che avevo imparato in modo disordinato e asistematico. Probabilmente è uno dei doni più grandi che Giovanni Paolo II ha fatto alla Chiesa (forse non spettacolare come altre cose grandi che ha fatto, ma di maggiore impatto nel lungo termine). Una esposizione lucida e rigorosa del cristianesimo “integrale”, del depositum fidei, articolata in quattro parti:

“il Credo; la sacra Liturgia, con i sacramenti in primo piano; l’agire cristiano, esposto a partire dai comandamenti; ed infine la preghiera cristiana. Le quattro parti sono legate le une alle altre: il mistero cristiano è l’oggetto della fede (prima parte); è celebrato e comunicato nelle azioni liturgiche (seconda parte); è presente per illuminare e sostenere i figli di Dio nel loro agire (terza parte); fonda la nostra preghiera, la cui espressione privilegiata è il « Padre Nostro », e costituisce l’oggetto della nostra supplica, della nostra lode, della nostra intercessione (quarta parte).”

Da leggere e da consultare.

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Buon vento dell’Ovest, di Patrick O’ Brian.
Terzo libro della saga di Jack Aubrey & Stephen Maturin; il titolo originale era HMS Surprise, che sarebbe il nome della nave capitanata da Jack; l’editore avrà pensato che fosse troppo ostico per il lettore italiano, optando per un riferimento a quel “buon vento dell’Ovest” più volte agognato dai nostri marinai durante i lunghi periodi di bonaccia nel Pacifico, vento che assurge a simbolo di tutto ciò di buono che sperano di ottenere dalla vita, aspettando, aspettando, aspettando… e quando arriva, il vento è una tempesta.
Bene, non mi profonderò un’altra volta in auspici tanatofili riguardanti Diana Villiers; peraltro, considerato come l’autore si diverte a torturare il povero Stephen, ho l’impressione che i patimenti di lui, e le occasioni per augurarmi il di lei decesso, siano solo all’inizio. Vorrei invece fare un’altra considerazione e cioè quanto questi libri siano eccellenti nel descrivere la guerra (ma si potrebbe dire: la vita tutta intera) fin nei suoi aspetti più prosaici, impietosi, brutali, senza per questo perdere l’eleganza del bello scrivere. E non sto parlando della necessità di mangiare i topi sulle navi o amputare una gamba nel bel mezzo di una battaglia navale, o almeno non soltanto di questo.
Le raccomandazioni, per esempio.
Casomai qualche lettore qui leggente appartenesse a quella schiera di italiani in cui certi pulpiti editoriali hanno instillato la convinzione autoafflittiva che certe cose succedono solo da noi, che negli altri paesi (magari protestanti, magari in quanto protestanti) le cose sono molto diverse e c’è un’etica pubblica sideralmente più rigorosa della nostra, bene, leggetevi O’Brian: vi aiuterà a scrollarvi di dosso un po’ di questo velleitario moralismo provinciale. Prendete per esempio quella scena nel secondo libro in cui, in un momento di tregua tra le guerre napoleoniche, Jack sta bevendo con un capitano francese suo amico (divenuto tale dopo averlo fatto prigioniero nel primo libro):

Jack e Christy-Pallière avevano bevuto parecchio e si stavano adesso raccontando le reciproche disgrazie professionali, ognuno stupito che l’altro avesse qualche ragione di lamentarsi. Anche Christy-Pallière era bloccato sulla scala delle promozioni, poiché, sebbene fosse capitarne de vaisseau, non c’era nella marina francese «un vero senso dell’anzianità di servizio… dappertutto intrighi, imbrogli… il successo solo agli avventurieri politici… i veri marinai buttati in un cantone» […] «Per voi è molto semplice», stava dicendo, «voi potete mettere insieme gli appoggi, gli amici, i Lord e i baronetti di vostra conoscenza e prima o poi, con le elezioni parlamentari che avete voi, ci sarà un cambiamento di ministero e i vostri evidenti meriti saranno riconosciuti. Ma da noi come vanno le cose? Interessi repubblicani, monarchici, dei cattolici, dei frammassoni, interessi consolari o, come mi si dice, molto presto imperiali, tutti in conflitto l’uno contro l’altro… catene che hanno preso le volte. Tanto vale scolarci questa bottiglia. Sapete», soggiunse dopo una pausa, «sono così stufo di starmene seduto in un dannato ufficio! La sola speranza, l’unica soluzione, è la…» La voce gli si spense.
«Suppongo che sia una cosa malvagia pregare perché scoppi una guerra», disse Jack, i cui pensieri avevano seguito esattamente lo stesso corso.

E ancora, in questo terzo libro, commentando la sfortunata carriera di un amico:

È una brava persona, comunque, un vero marinaio; ma non ha appoggi, e perciò non ha mai avuto un comando: diciotto anni come primo ufficiale. E poi, essendo riuscito a farsi saltare in aria una gamba, non ha potuto neanche trovare una nave; così si è rivolto alla Compagnia [delle Indie] ed eccolo qui a comandare un ‘vagone di tè’. Poveraccio: come sono stato fortunato, in confronto!»

Eh già, la meritocrazia.
E quante anticamere di segretari e ministri Jack ha dovuto occupare per andare a implorare l’agognata promozione a capitano di vascello; e quei nepotismi di famiglie di nobiltà marinara, che impongono i rampolli sulle navi pur sapendoli pessimi ufficiali, e al limite meglio piangerli in fondo al mare con onore che vederli vergognosi terrazzani senza giubba; e tutte le manovre politiche, le corruzioni, le vendette trasversali che si fanno più fitte man mano che si sale la scala del potere della marina inglese.
L’inizio del terzo libro, con la discussione in alto loco su come si debba spartire il tesoro spagnolo che era stato conquistato (con il concorso determinante di Jack Aubrey) alla fine di Costa sottovento, è un colpo nello stomaco per ogni anima bella che non conoscesse la meschinità del potere ad ogni latitudine; ed è impressionante vedere con quale faccia tosta, per un fottuto cavillo di diritto bellico, i mammasantissima dell’ammiragliato decidano che l’oro è della Corona, tutto quanto, e per i marinai che lo hanno recuperato rischiandoci la pelle, niente ricompensa di guerra. E peggio per Jack, sommerso dai debiti dopo che l’agente di borsa è scappato con la cassa, che aveva bisogno dei soldi per sposarsi.
Insomma, non è soltanto gente che si spara addosso per mare.
La definizione di libri d’avventura sta molto stretta a questa serie. O’Brian è capacissimo di rifilarci tra capo e collo in due righe una mazzata emotiva che ci stronca (una sola parola: Dil), ma è parimenti capacissimo di catturare l’attenzione anche con i momenti più narrativamente anticlimatici, lunghi, uggiosi. Come la vita vera, che difficilmente ci piacerebbe se la vedessimo in un film, perché già la viviamo ogni giorno. E difatti, nell’imminenza di una battaglia,

il signor White se ne stava solo, sconsolato e smorto in viso. «Credo, signore, che questo sia il vostro primo assaggio della guerra sul mare», gli disse [Jack]. «Temo che lo troviate piuttosto sgradevole, senza cabina e senza un vero pasto.» «Oh, no, non mi curo affatto di questo, signore», protestò il cappellano, «ma devo confessare che nella mia ignoranza mi ero aspettato qualcosa di più, diciamo, eccitante? Queste manovre lente e a distanza, quest’ansia prolungata dell’attesa non facevano parte dell’immagine che mi ero fatto di una battaglia. Tamburi e trombe, stendardi, esortazioni esaltanti, urla marziali, il tuffarsi nella mischia, comandanti che gridano: questo mi sarei aspettato, più che l’interminabile sconforto dell’attesa, la sospensione di ogni attività. Certo non mi fraintenderete se dico che mi domando come possiate sopportarne il tedio.» «L’abitudine, senza dubbio. La guerra è per nove decimi noia, e noi siamo abituati a questo nel servizio. Ma l’ultima ora compensa di tutto, credetemi.

Eppure è proprio per l’abilità di farci sentire, e addirittura piacere, questo tedio – questi nove decimi di noia di cui pure la nostra stessa vita è impastata – che Patrick O’Brian è definitivamente uno scrittore con gli attributi.

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Heretics, di Gilbert Keith Chesterton.
Allora, non è che voglio fare una marchetta al kindle, però ci son cose che meritano di essere dette.
Come raccontavo precedentemente, l’aggeggio mi ha spalancato le porte del mondo chestertoniano: 27 libri scaricati for free, in lingua originale. WOW.
Leggere Chesterton sul kindle presenta certi vantaggi. Anzitutto, leggere in inglese è particolarmente agevole, perché il marchingegno dispone di vocabolari integrati, se trovo una parola che non conosco ci sposto su il cursore e mi appare in basso la definizione dell’Oxford Dictionary of English (oppure a scelta del New Oxford American Dictionary; ma per GKC è meglio il primo); comodo e utile.
In secondo luogo, ho apprezzato tanto la possibilità di evidenziare i brani che più mi colpivano e mandarli in un file txt di ritagli, dal quale ho potuto comodamente copiaincollarli dove mi pareva, per esempio sulle mie note anobiane. E, come potete immaginare, di GKC, prolificissimissimo produttore di aforismi e frasi memorabili, quei brani sono veramente tanti, e veramente impressionanti. Frasi incisive come spade. Per esempio il celeberrimo paragrafo finale di Eretici

The great march of mental destruction will go on. Everything will be denied. Everything will become a creed …  We shall look on the impossible grass and the skies with a strange courage. We shall be of those who have seen and yet have believed.

ma anche giudizi estremamente trancianti sul mondo moderno e le sue irrazionalità (e in  ultima analisi questa parola può essere considerata un sinonimo di eresia, perché l’eresia è un peccato, prima che contro la fede, contro la ragione)

When the old Liberals removed the gags from all the heresies, their idea was that cosmic truth was so important that every one ought to bear independent testimony. The modern idea is that cosmic truth is so unimportant that it cannot matter what any one says.

[a proposito della fama borghese di Oscar Wilde e del suo processo per omosessualità] The age of the Inquisition has not at least the disgrace of having produced a society which made an idol of the very same man for preaching the very same things which it made him a convict for practising.

Quest’uomo non capiva tutto, nè parlava di tutto; ma capiva davvero ciò di cui parlava.
È più di quanto si possa dire della quasi totalità del genere umano.

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Tutte le storie di Padre Brown, di Gilbert Keith Chesterton (in lettura).
Io vado pazzo per i Mammut della Newton Compton – lo avevo già detto, no? – che con pochi soldi ti fanno entrare in possesso del “tutto o quasi” di qualcuno su qualcosa.
€ 14,90 per 720 pagine per tutti i (n. 50) racconti di Padre Brown: un richiamo irresistibile.
Più sopra ho detto, neanche ricordo più dove, che il libro di carta ha un vantaggio inarrivabile per il libro elettronico: lo puoi lasciare in eredità ai figli (o, almeno, puoi illuderti che vorranno leggerlo). Ecco, questo è proprio quel tipo di libro che vorrei trasmettere al frutto dei miei lombi, se e quando ne avrò (cosa che ora non è). Difatti, anche se i racconti di Padre Brown li avevo già scaricati in inglese da amazon, il malloppone l’ho comprato l’ho stesso e  lo sto leggendo a poco a poco, un racconto ogni tanto (senza esagerare, come consiglia Berlicche, altrimenti vado in assuefazione).

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Galateo per tutte le occasioni, di Sabrina Carollo (in lettura).
Agile e leggibile, non noioso contrariamente alle mie aspettative anzi abbastanza divertente (riesce perfino, per fare l’elogio delle presentazioni stringate, a citare il vitello dai piedi di balsa di Elio e le storie tese: + 100 punti simpatia), tutto sommato di gradevole lettura perfino per uno scabroso buzzurrone come il sottoscritto; e infatti il libro mi è stato imposto consigliato da qualcuno che vuole redimere il mio comportamento da… uhm… quelle asperità ed ineleganze che talvolta lo caratterizzano.
Umf.