Contro il Codice
Aspettando con ansia il film, parliamo del libro.
Dopo l’ennesimo conoscente che mi ha parlato bene del Codice da Vinci dicendomi “dovresti leggerlo, pensa… e se fosse tutto vero?” mi sono definitivamente rotto le scatole: l’ho letto. E posso smontarlo con piena cognizione di causa. Chi non l’ha ancora letto sappia innanzitutto che non si è perso molto, e poi che qui seguono varie rivelazioni sulla trama.
L’unico lato positivo che posso attribuirgli è un intreccio decentemente congegnato (tolto il sentimentalismo dell’agnizione conclusiva ed happy end amoroso); lo stile è sciatto e monotono. Brown sembra essersi preoccupato quasi esclusivamente di costruire una trama più dietrologa e anticattolica possibile, e del resto tali pregi sembrano essere più che sufficienti ai suoi fan. Vediamo un po’.
Per esempio, il libro presenta l’Opus Dei come un incrocio tra una setta segreta e una nuova inquisizione, di cui fanno parte pazzi spietati che odiano il progresso e le donne. L’assassino albino che ne fa parte, Silas, è descritto come un monaco: fatto però completamente campato in aria, perché non ci sono monaci nell’Opus Dei (che insiste molto sul concetto di santificazione nel lavoro ordinario e nel mondo moderno, cosa che Dan Brown non conosce o non vuol dire), solo laici che svolgono una professione e sacerdoti.
Quando Silas si reca alla sede londinese dell’Opera, c’è scritto che “in quelle case i residenti trascorrono la maggior parte del tempo nelle loro stanze, in preghiera”. Leggendo questo punto mi sono messo a ridere fragorosamente: o l’autore non ha mai visto un posto dove abitualmente vive gente dell’Opus Dei (io sì) e non sa che di solito lì si lavora, o voleva che i lettori pensassero a una specie di monastero dove vivono tizi fuori dal tempo e attaccati al passato (infatti altrove parla anche di pagliericci).
In un altro punto del libro una suora, tale sorella Sandrine, pensa a quel che ha sentito dire su come sono trattate le donne in questa cattivissima setta: adibite a vili mansioni igieniche senza ricompensa, costrette a dormire per terra, meno istruite degli uomini e punite fisicamente per far scontare loro il peccato di Eva… Che fantastica serie di fesserie. Chiunque s’informasse seriamente verrebbe facilmente a sapere che l’Opus Dei è ripartito in una sezione maschile ed una femminile, e ne fanno parte donne che sono studentesse, avvocati, medici, professoresse universitarie… Alla faccia delle povere disgraziate sottomesse. Insomma, sorella Sandrine è molto male informata e con lei tutti quelli che prendono come fonte attendibile il Codice Da Vinci.
Quanto a Dan Brown, vorrei tanto sapere chi sono i “cinque membri dell’Opus Dei” che nomina nei ringraziamenti (e che sono gli unici anonimi, tutte le altre persone che hanno fornito informazioni sono citate per nome e cognome: perché mai?).
Quanto alle “rivelazioni” sul Santo Graal, sui discendenti di Cristo e Maria Maddalena, sul Priorato di Sion… un intreccio intricato, nella cui invenzione però bisogna sapere che Brown non ha molto merito. Proviamo a ricostruire i fatti. In un certo punto il protagonista del libro, Robert Langdom, in fuga dalla polizia di Parigi che lo crede un assassino e dal pazzo monaco dell’Opus Dei che vuole ammazzarlo, si reca dall’unico amico che può aiutarlo: tale sir Leigh Teabing, storico del Graal. I due durante la notte faranno un corso accelerato di storia alternativa a Sophie Niveau, la crittologa che accompagna e aiuta Langdom. Ad un certo punto si cita di sfuggita “un libro pubblicato nel 1982 da tre autori”, senza però nominare né l’uno né gli altri.
Il libro è “The Holy Blood and the Holy Grail”, che sostiene seriamente le stesse cose del Codice; gli autori sono Henry Lincoln, Richard Leigh (ricorda qualcosa?) e Michael Baigent (che anagrammato dà Teabing: un codice dentro il codice!). Questi ultimi due si sono sentiti presi per i fondelli perché Brown, oltre a copiare pari pari la loro tesi senza dargli il becco d’un quattrino, ha pure usato i loro cognomi per un personaggio diciamo controverso (oltre al danno la beffa)… e gli hanno intentato una causa per plagio, la quale credo si sia conclusa con una transazione.
Ma ci sono altri richiami nascosti: ho riconosciuto anche i nomi di Saunière, il curatore del Louvre che all’inizio del libro è ucciso in modo orribile dal fanatico albino, e Château Villette, casa francese di Leigh Teabing. Rennes-le-Château era una chiesa il cui parroco, appunto don Bérenger Saunière, pare abbia trovato nel 1897 durante un restauro importanti ed antichi documenti con cui poi si sarebbe arricchito ricattando la gente giusta. Lincoln, Leigh e Baigent sostenevano nel loro libro che il curato avesse trovato le prove del Santo Graal, ovvero del Sang Real che è la discendenza di Cristo, insomma le pergamene recuperate illo tempore dai Templari (massacrati dal Papa per paura che facessero saltar fuori la verità, cioè che il Vangelo è menzogna) e poi custodite dal Priorato di Sion… Scrive Brown all’inizio del suo libercolo: “Il Priorato di Sion – società segreta fondata nel 1099 – è una setta realmente esistente. Nel 1975, presso la Biblioteca Nazionale di Parigi, sono state scoperte alcune pergamene note come Le Dossiers Secrets in cui si forniva l’identità di numerosi membri del Priorato.”
C’è però un problema: il Priorato di Sion risulta essere, per ammissione di coloro che lo hanno inventato, del tutto falso. Gli autori dei Dossiers (Philippe de Chérisey, Gérard de Sède, Pierre Plantard… anche quest’ultimo cognome è presente nel libro di Brown, sarebbe quello di una linea di discendenza dalla Maddalena) hanno successivamente ammesso, messi alle strette, il falso. Pubblicamente e per iscritto. De Sède e Plantard avevano scritto nel 1967 un libro, “L’Or de Rennes ou la Vie insolite de Bérenger Saunière, curé de Rennes-le-Château”, la cui veridicità avrebbe dovuta essere appunto confermata dalle pergamene fabbricate da de Chérisey nello stesso anno 1967 e poi “casualmente” scoperte. Un vero e proprio Priorato di Sion dovrebbe tecnicamente esistere, perché pare che Plantard abbia depositato lo statuto in Francia (rifacendosi nel nome ad un’antica ed estinta comunità monastica), ma nel 1956: siamo un po’ lontani dal 1099.
Le fantasie storiche che Brown ammannisce ai suoi lettori non finiscono qui. Langdom e Teabing rivelano ad una sconvolta Sophie Niveau che, fino al Concilio di Nicea del 325, nessuno si sognava di attribuire natura divina a Cristo: era un grand’uomo, e tanto basta. È tutta colpa dell’imperatore Costantino: è stato lui a inventarsi per i suoi fini politici che Gesù era il Figlio di Dio, commissionare quattro vangeli che supportassero la cosa, distruggere gli altri vangeli che dicevano la verità attribuendo loro l’infamante etichetta di apocrifi, e dare il via alla persecuzione delle donne (la Chiesa bruciava sul rogo le streghe perché odia le donne). Fantastico. A questo punto mi chiedo quanti lettori del Codice sapranno che il Canone Muratoriano, testo che gli archeologi datano abbastanza concordemente alla fine del II secolo d.C., già sistema i vangeli come li conosciamo noi (4 canonici, gli altri apocrifi e poco attendibili). E che ci sono copie dei versetti dei vangeli in cui si parla della divinità di Cristo che risalgono al I secolo. Ben pochi, temo.
Per non parlare di un altro leitmotiv del libro, il femminino sacro e la rivalutazione del paganesimo. Ad esempio, in un passaggio davvero esemplare, Brown scrive: “I giorni della dea erano finiti, la società maschile era arrivata al potere, d’ora in poi ci sarebbe stata una crescente mancanza di rispetto per la Madre Terra”. E già, certo: prima del cristianesimo versione Costantino le donne erano felici, e in condizioni di assoluta parità con gli uomini, e il rispetto per l’ambiente regnava sovrano.
È meravigliosa anche la citazione tratta dal Vangelo apocrifo di Tommaso, che si ferma proprio al punto giusto. Pietro si lamenta con Gesù perché preferisce la Maddalena agli altri apostoli e dice che non tollera che una donna sia più importante di lui, Gesù lo rimprovera. Perfetto: Cristo era femminista, la Chiesa è sempre stata misogina e bugiarda. Ma se Dan Brown avesse proseguito la citazione e riportato completamente la risposta di Gesù a Pietro, avrebbe dovuto scrivere: “Ecco, io la guiderò in modo da farne un maschio, affinché ella diventi uno spirito vivo uguale a voi maschi. Perché ogni femmina che si fa maschio entrerà nel Regno dei cieli”. Alla faccia del femminismo.
Per concludere: se agli entusiasti di Dan Brown piace il romanzo avendo ben chiaro che si tratta di pura invenzione, io non farò i salti di gioia ma non ho nulla in contrario. Se condividono l’astio verso la Chiesa espresso dai personaggi del libro, e che il libro in sé (per quanto possa dichiararsi opera di fantasia) innegabilmente suggerisce, a me spiace ma indubbiamente si tratta di un loro diritto. Quel che non possono fare è basare una teoria storica/pseudostorica/complottistica o comunque “ideologica” sul Codice da Vinci, né conviene perché sarebbe davvero un fondamento fragilissimo.
Umberto Eco, uomo non sospettabile di parzialità cattoliche, ha detto che il meccanismo del Codice è lo stesso genere di immondizia che aveva voluto ridicolizzare col Pendolo di Foucault (che a questo punto consiglio vivamente, essendo un buon antidoto contro ogni forma di gnosticismo): elargire una vertiginosa serie di rivelazioni, arcani svelati, verità occulte finalmente rese pubbliche, insomma dire al lettore qualsiasi cosa purché sia il contrario di quel che gli hanno insegnato a scuola, fino a fargli pensare di essere meglio dei suoi maestri: “ma allora neanche loro erano così intelligenti, queste cose mica le sapevano!”. Dovrà sentirsi come un iniziato ammesso a segreti (sorvolando sul fatto che essi, nel momento in cui sono pubblicati, non sono più tali) che le familiari figure d’autorità con cui aveva sempre avuto a che fare, genitore, professore, sacerdote, politico, capoufficio, eccetera eccetera, ignoravano. Grande. Sai che rivincita psicologica?
Se poi tra i lettori c’è anche chi fa i salti di gioia a sentir parlar male di certa gente, a prescindere da ogni criterio di plausibilità, il cerchio si chiude. “Detesto la Chiesa e perciò sono contento che la gente che legge questo libro cominci a pensarne male, e che importa se si tratta di fesserie”. Insomma il fine giustifica i mezzi. E il Codice è servito.