- Catechismo della Chiesa cattolica.
- Una cosa divertente che non farò mai più, di David Foster Wallace.
- Torre di cristallo, di Robert Silverberg.
- Questa è l’acqua, di David Foster Wallace.
- L’occhio del purgatorio, di Jacques Spitz.
- Montedidio, di Erri de Luca.
- Padrone della vita, padrone della morte, di Robert Silverberg.
- Le fiabe di Beda il Bardo, di Joanne Kathleen Rowling.
- Alla luce del camino, di Aldo e Armando Caputo.
- La casa degli invasati, di Shirley Jackson.
- Il petalo cremisi e il bianco, di Michel Faber.
Catechismo della Chiesa cattolica, dello Spirito Santo & altri AA.VV.
Mi sono scaricato da vatican.va i pdf del catechismo in versione integrale e me lo sto leggendo, un po’ al giorno, sul mio lettore ebook.
Già.
Una cosa divertente che non farò mai più, di David Foster Wallace.
Io sono un grande ammiratore di DFW, ho pianto qualche lacrima quando ho saputo che si era ammazzato, e perciò quando ad agosto i grandi distributori hanno applicato una serie di super-sconti fantasmagorici – prima che entrasse in vigore il provvedimento del Soviet Supremo che stabilisce il limite legale del 15% di sconto sul prezzo di copertina, limite sulla cui opportunità ci sono state accese discussioni tra me e una certa blogger bibliotecaria di mia conoscenza – bene, quello è stato il momento in cui ho rotto il mio metaforico porcellino e ho approfittato del momento favorevole per comprare quanti più libri possibile di David Foster Wallace, tra cui appunto il suddetto.
Per inciso, la traduzione italiana è difettosa: il titolo originale era A Supposedly Fun Thing I’ll Never Do Again, ma l’abolizione dell’avverbio (= asseritamente, presumibilmente) provoca uno slittamento semantico che rischia di seppellire tutto il significato dell’opera.
ASFTINDA è il reportage giornalistico di DFW che partecipa a una crociera extralusso e poi descrive quello ha passato e quello che ha pensato. Detto così sembra poco, eppure è un libro meraviglioso e Wallace dà il meglio di sé, sia quanto a stile (l’umorismo, la totale padronanza delle subordinate incastonate nelle subordinate, la continua mescolanza tra registri linguistici di ogni livello – ho anche imparato parole di cui non sospettavo l’esistenza come “omeostasi”, “monologico”, “espletivo genitale”, “ectomorfico”, “melisma”, “ad naus”), sia quanto a contenuto. E chi ha letto Infinite Jest, ilmagnum opus di Wallace, scoprirà affascinato che questo libro ne è praticamente la fase embrionale.
Qui infatti DFW anticipa quelle folgoranti riflessioni sull’essere umano e sulla sua insoddisfacibilità a priori che avrebbe poi svolto alla enne potenza nel suo capolavoro: la crociera extralusso promette ai passeggeri una Soddisfazione Totale, un Piacere Supremo connesso alla totale passività – zero preoccupazioni, zero fatica, Non Fare Assolutamente Niente – che di fatto non è altro che una regressione allo stato prenatale. Ma la brochure mente, perché “la mia parte infantile è insaziabile – e anzi, la sua essenza, il suo Dasein o quant’altro, consiste proprio nella sua insaziabilità a priori. In risposta alla prospettiva di una gratificazione e un accudimento straordinari, la mia insaziabile parte infantile non farà che accrescere la soglia di soddisfazione fino a conseguire di nuovo la sua omeostasi di grave insoddisfazione”.
Impossibile non fare il paragone con lo stato di coloro che in Infinite Jest hanno sperimentato la visione del fatidico film di James Incandenza: la regressione allo status di feto, incapaci di interrompere minimamente il piacere supremo del guardare all’infinito la pellicola – che fa vedere quella Bellissima Mamma filmata con le speciali lenti sfarfallanti che imitano la visione neonatale – senza deambulare, senza mangiare, senza bere, senza cogitare, fino al decesso per consunzione.
Una vita senza dolore (perlomeno nel tempo, nell’eterna rincorsa tra piacere e insoddisfazione) è letteralmente impossibile. Il Piacere Assoluto coincide con la Morte.
Se a questo aggiungiamo che la madre di Deirdre, la bambina novenne che dà scacco matto in ventitré mosse a DFW, ricorda inquietantemente Avril Incandenza, e che il progetto commerciale di Winston il facchino giocatore di ping pong – “La crociera del futuro è La crociera a casa. Per andare a fare la crociera extralusso nei Caraibi non devi muoverti da casa. Colleghi gli occhialoni e gli elettrodi e via. Niente passaporti. Niente mal di mare. Niente vento, niente scottature, niente coglioni dell’equipaggio. Viziatura Domestica Immobile Virtuale Totale” – sembra precisamente il famigerato Intrattenimento, allora non ci sono scuse: chi ha letto e amato Infinite Jest deve leggere anche questo libro.
Note.
Torre di cristallo, di Robert Silverberg.
Ottimo Silverberg d’annata. Ho il vago sospetto che Ronald D. Moore, quando ha ricreato Battlestar Galactica, abbia copiato si sia ispirato a questo romanzo: ci sono gli esseri umani artificiali tenuti in schiavitù, i “Nati dalla Vasca” (!), che nel futuro del XXII secolo anelano la libertà; c’è l’elemento religioso, il culto degli androidi verso il loro creatore Krug, dettagliatamente esposto nella sua teologia e nella sua liturgia; e c’è, alla fine, la ribellione violenta degli schiavi.
La religione degli androidi è una mescolanza di ebraismo, cristianesimo e buddismo. Silverberg assegna nomi evocativi ad alcuni personaggi: il figlio di “Dio-Krug” si chiama (Em)Manuel, e la sua amante Lilith. Degno di nota che mentre la maggior parte dei sintetici fa coincidere semplicemente Dio con Simeon Krug, l’essere umano che li ha inventati e che si è arricchito vendendoli, i più evoluti tra loro distinguono tra “l’idea di Krug il Creatore, Krug il Salvatore, Krug il Redentore”, e l’uomo concreto che “è solo una delle manifestazioni di quell’idea. E neppure la manifestazione più importante”.
Questa sarebbe una distinzione molto importante, ma purtroppo gli androidi non riescono a fare il salto intellettuale necessario e smitizzare completamente la figura dell’uomo Krug, vedendolo casomai come strumento immanente di un Creatore trascendente *. Evidentemente non conoscono questa storiella. L’illusione che Krug sia perfettamente buono e ami gli androidi e voglia concedere loro la libertà, distrutta di fronte alla scioccante constatazione della realtà (Krug è uno stronzo egoista che se ne fotte degli androidi e pensa solo a costruire la sua Torre di Babele di cristallo per lanciare messaggi agli alieni), porta nella conclusione alla furia del figlio rifiutato, alla rivolta mondiale degli androidi e ovviamente alla distruzione della suddetta Torre di Babele di cristallo.
Forse c’è un messaggio di Silverberg di messa in guardia nei confronti delle illusioni religiose, o forse semplicemente non si poteva raggiungere altrimenti il climax finale.
Comunque, un libro bellissimo.
Note.
*N.B. nel caso domani gli androidi li fabbricassero davvero: è meglio non pasticciare col DNA umano e clonazione e tutto quanto, ma se uno scienziato fabbrica un uomo “artificiale”, non è che lo ha creato: il vero Creatore è quello che ha creato il modello originale, nonché la materia le equazioni biochimiche e tutto quanto. Ogni androide è mio fratello.
Questa è l’acqua, di David Foster Wallace.
Io sono un grande ammiratore di DFW, ma questo non significa che debba automaticamente adorare tutto ciò che scrive. Il problema di questa antologia è che i) costa troppo per le poche pagine che la compongono, e infatti ho aspettato a lungo per comprarla approfittando di un super-sconto, ma vabbè questo è un problema editoriale ii) a parte il pezzo finale, che è la trascrizione del discorso tenuto per il conferimento delle lauree al Kenyon College il 21 maggio 2005, tutti questi racconti – che risagono agli esordi della produzione letteraria dell’autore – sono, come dire, Belli Però. Nel senso che pare proprio che DFW, all’inizio della sua carriera, dovesse a tutti i costi farsi notare e perciò concentrare in ogni paragrafo, ogni riga, ogni parola, inumani contorcimenti stilistici / eccedenza di parole semi-sconosciute / insomma manifestazioni di eccezionale talento, sì, Belli, Però il troppo stroppia. Prendi ad esempio il primo racconto, Solomon Fisherman: una storia d’amore e cancro scritta splendidamente, ma conclusa da un § così stilisticamente complicato da risultare incomprensibile, e infatti non ho capito come (se) finiva la storia, il che di fatto mutila la qualità della storia stessa.
Insomma un DFW ancora acerbo, consigliabile solo se uno vuole approfondire la storia letteraria dell’autore, altrimenti da lasciar perdere.
L’occhio del purgatorio, di Jacques Spitz.
Non so se tecnicamente si possano definire fantascienza la storia di un uomo che vede il futuro di ciò che lo circonda (le cose arrugginiscono e si dissolvono, le persone gli appaiono progressivamente come vecchi, cadaveri, scheletri, polvere) e la storia della guerra dell’umanità contro le mosche intelligenti, ma è comunque un ottimo volume.
Vanitas vanitatum et omnia vanitas.
Suggeritomi e datomi in prestito da persona che me ne ha parlato in termini entusiastici, si è rivelato una noia mortale. Non so se dipende da una mia idiosincrasia per le storie oleografiche sui vicoli napoletani e la gente che ci abita, o perché Erri de Luca (di cui non ho letto nient’altro) è proprio una palla. Sono riuscito a finirlo solo perché è molto breve.
Padrone della vita, padrone della morte, di Robert Silverberg.
Un altro Silverberg di buona fattura, anche se si perde un po’ verso la fine (l’imbarazzante deus ex machina degli alieni che Risolvono Tutto). Sovrappopolazione, eutanasia, eugenetica, controllo delle masse naturalmente a fin di bene: anche la persona con le migliori intenzioni, quando le si dà il potere assoluto di decidere chi ha una vita degna di essere vissuta e chi invece no, può sbarellare un poco.
Note.
Le fiabe di Beda il Bardo, di Joanne Kathleen Rowling.
È sempre un piacere tornare, anche se per poco, in quel magico mondo. Le fiabe sono belle. I commenti di Dumbledore sono bellissimi.
Alla luce del camino, di Aldo e Armando Caputo.
Un altro dei libri a 1 € comprati grazie a sissi2002 (grazie).
In sostanza ci sono questi due fratelli torinesi che si rinchiudono nel loro casolare di campagna e si leggono a vicenda cose che hanno scritto su argomenti vari ed eventuali, dalla morale di Robinson Crusoe (“riesce addirittura a distinguere l’inganno dei riti preteschi, mentre la vera profonda religiosità del singolo uomo che si confronta con l’Essere Supremo è l’unica ad assumere un significato rilevante” – è una mia paranoia o c’è un vago sentore massonico?) all’apologia di quel grand’uomo di Massimiliano Robespierre, dall’etica kantiana applicata alla deontologia medica alla storia (leggenda nera?) del Malleus Maleficarum, eccetera eccetera.
Se uno vuole approfondire gli argomenti, può essere utile, ma lo stile non è particolarmente avvincente.
La casa degli invasati, di Shirley Jackson.
Ottimo libro di un’autrice che mi ripromettevo di leggere da tempo, una delle migliori variazioni sul tema “casa infestata” che abbia mai letto.
Molto ben costruito il personaggio di Eleanor, che probabilmente è sempre stato il fantasma della casa, essendo “uscita dal tempo” quando è morta.
Il petalo cremisi e il bianco, di Michel Faber.
Suggeritomi e datomi in prestito da persona che me ne ha parlato in termini entusiastici, si è rivelato ben presto una noia mortale. Lo stile didascalico (l’autore si rivolge direttamente al lettore e gli dice nota questo, fai attenzione a quest’altro) all’inizio era interessante, ma poi diventa esasperato e insopportabile, mentre la storia di questa prostituta dell’Inghilterra vittoriana che fa un uso spregiudicato del suo corpo ma ovviamente cela un animo così sensibile… yahwn… zzz… ronf. 985 pagine così non le reggo. Forse migliorava dopo, ma non lo saprò mai, l’ho mollato invocando il terzo diritto del decalogo di Pennac.