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Libri ottobre 2012

Anzitutto, desidero NON-ringraziare wordpress che ha tolto la possibilità di mettere i link interni al post (ma perché? perché?!?).
A me cambia poco, il problema è vostro: se vi interessa uno solo di questi libri, non potete più andarci direttamente, ma dovete cercarvelo in mezzo a tutto il resto.

Per facilitarvi le cose, faccio due post separati per singolo mese, anche se a ottobre ho letto poco.

 

333 – La formula segreta di Dante, di Robert Masiello.
Non fatevi ingannare, Dante c’entra ben poco, viene nominato un paio di volte all’inizio e poi scompare. Infatti il titolo originale è The Medusa Amulet, e si spiega perché Benvenuto Cellini ha fabbricato con le sue arti negromantiche (pare dopo aver evocato lo spirito di Dante) uno specchio con l’effigie della Medusa che dà la vita eterna a chi vi si specchia sotto la luna piena. Ma l’editore deve aver pensato che Dante lo conoscono tutti, la Medusa no.
Il libro si scosta poco dalla media dell’abituale pacchetto post-Codice da Vinci, di cui ricalca lo schema classico: congiure, dietrologie storiche, lo scontatissimo lato sentimentale (quando lui vede lei, dopo la prima sillaba abbiamo già capito che scatterà l’ammmore), un paio di descrizioni di chiese e/o musei, la sorpresa sull’identità del Cattivone. A questo si aggiunge però una cavalcata attraverso i secoli, vista con gli occhi dell’immortale Cellini, che non è affatto male. Mi è piaciuta in particolare la descrizione delle brutalità della Francia rivoluzionaria.
Se siete di bocca buona e lo trovate a poco, potreste dargli una possibilità; altrimenti lasciate pure perdere.

 

L’altra faccia della realtà, di AAVV.
Il libro è l’antologia Urania Millemondi dell’estate 2009. L’ho trovato su una bancarella a 1 € ed è stato un ottimo affare, la media qualitativa dei racconti è davvero alta. Mi sono piaciuti in particolare “Oltre lo squarcio di Aquila”, di Alastair Reynolds, che ha un paio di colpi di scena notevoli; “Un caso di concordanza”, di Ken MacLeod, che ricalca le orme di Guerra al grande Nulla di Blish; ma soprattutto “Seconda persona tempo presente”, di Daryl Gregory. Potete trovarlo in inglese in pfd qui.
È questa una riflessione davvero interessante sul tema dell’identità. Racconta di un’adolescente, Therese, che è andata in coma dopo aver provato una nuova droga, la “Z” (sta per Zen oppure Zombie), che distrugge l’autopercezione riducendo l’individuo a un burattino privo di preoccupazioni che agisce senza pensare, anzi senza pensare di pensare (ovviamente spopola tra i gggiovani). Dopo il coma, la protagonista non riesce a riallacciare i fili con la previa identità che considera morta per overdose, e si considera una nuova persona che deve ricominciare da capo, rifiuntando tutto della precedente ragazza compreso il nome. Il problema è che i genitori non sono d’accordo.
La storia è scritta in modo da dare ragione al punto di vista della protagonista, la quale peraltro è stata aiutata da un simpatico medico buddista (non so se è buddista anche l’autore). Infatti questa mi pare una concezione molto buddista dell’identità, che considera il corpo un semplice “veicolo” per l’anima, diversamente dalla concezione aristotelico-cristiana del sinolum come unità bipartita di corpo + anima definitivamente indissolubili.
Se fossi stato lì presente, avrei fatto notare alla ragazza che lei non è ricominciata da capo un bel niente, perché il corpo è sempre quello; e che le differenze di carattere tra la vecchia Therese e la nuova (per esempio, Therese era ben inserita in una parrocchia cristiana descritta come una massa di bigottoni ipocriti, mentre la narratrice pare sessualmente disinibita) puntano piuttosto alla conclusione che la narratrice è Therese non come lei era, ma come sotto sotto lei voleva essere.
Ma io nel racconto non c’ero, mannaggia.
Comunque, non sottovalutate il vostro corpo.
Voi non avete un corpo. Voi SIETE un corpo.


Vulcano 3, di Philip K. Dick.

Le cose erano diventate vive,
e gli esseri viventi erano stati ridotti a cose.

A quanto pare è considerato un PKD minore, eppure l’ho trovato sorprendentemente attuale per il presente momento storico. Il che non è poco, considerato che è stato scritto nel 1960.

 Dopo l’ennesima disastrosa guerra mondiale, la democrazia è ritenuta pericolosa, perché le popolazioni sono troppo emotive ed irrazionali per prendere le decisioni giuste ed eleggere i capi giusti. Perciò le elitès, ops, volevo dire le nazioni, hanno deciso di passare alla tecnocrazia ed hanno affidato il potere amministrativo a un potente supercomputer, il terzo modello della serie Vulcano, che è indubbiamente il miglior tecnocrate che si possa avere essendo esso stesso un prodotto della tecnica. Il computer elabora, decide, nomina gli umani che occupano le posizioni amministrative più elevate, ai quali impartisce le appropriate direttive di governo; essendo una fredda macchina calcolatrice il suo giudizio non può essere inficiato dall’emotività, dalla corruzione per motivi personali, dall’egoismo. Insomma, Vulcano 3 è il governante ideale, e così il governo del mondo è diventato “una scienza amministrata da esperti”. I quali esperti, non essendo eletti dal popolo bue ma nominati da un computer, sono per definizione ottimi gestori della cosa pubblica.
Pare, insomma, che il mondo diventi un posto molto felice. Almeno secondo la versione ufficiale dei mezzi d’informazione, i quali, incidentalmente, sono tutti controllati dal governo tecnocratico.
Inspiegabilmente, non tutti sono d’accordo con questa utopia: il movimento popolare clandestino para-religioso dei Guaritori sostiene la felicità universale è una frottola, che la tecnocrazia non garantisce affatto maggior equità, che povertà e delitti non sono affatto stati cancellati; che i tecnici al potere ci hanno messo poco ad acquisire i vizi dei vecchi politici, e infatti gli amministratori agli ordini di Vulcano 3 sono avidi, corrotti, si scambiano sgambetti e raccomandazioni proprio come ai vecchi tempi; che il supercomputer, per giunta, “ha detronizzato Dio”.
Peggio ancora, strani incidenti accadono, così che qualcuno comincia a farsi venire sospetti sulla vera natura di Vulcano 3…

Insomma, il libro mi è piaciuto. Ve lo consiglio vivamente.
Penso che nella mia letterina a Babbo Natale gli chiederò di farne arrivare qualche copia a Palazzo Chigi, Bruxelles, il Palazzo di Vetro a New York.
Qualcuno dovrebbe leggerlo, lì.

 

Verso Mauritius, di Patrick O’Brian.
È il quarto libro della serie di Jack Aubrey e Stephen Maturin, nonché il primo che non mi abbia entusiasmato.
Non che non sia piacevole da leggere, per carità; O’Brian sa scrivere e seguire i due protagonisti è sempre bello; è solo che non ho trovato quel quid che mi aveva così colpito in precedenza. Giunto alla fine mi sono reso conto che, a parte le prime pagine dedicata al nuovo status familiare di Jack e alla sua terribile suocera, e a parte la triste figura dell’invidioso Clonfert, non c’era niente che mi fosse rimasto impresso, poco che mi ricordassi davvero.
Forse è stato un momento di stanchezza dell’autore, o forse sono io che sono stato troppo viziato dalla superlativa qualità dei precedenti libri.
Il prossimo, comunque, è molto migliore.