- Demoni amanti, di Shirley Jackson.
- Follia per sette clan, di Philip K. Dick.
- Tutto, e di più – storia compatta dell’∞, di David Foster Wallace.
- Così dolce, così innocente, di Shirley Jackson.
- Shock 1, di Richard Matheson.
- Shock 2, di Richard Matheson.
- Controrealtà, di AAVV.
- Fate, Time and Language – an Essay on Free Will, di David Foster Wallace e AAVV.
§→ questi simboli indicano uno spoiler, evidenziare per leggere ←§
Demoni amanti, di Shirley Jackson.
Antologia di racconti, che nell’originale si chiamava The Lottery (la storia più famosa di SJ), e che l’editore italiano, forse nella speranza che il potenziale acquirente pensasse che il libro descrive copule tra angeli caduti, ha pensato bene di rinominare come sopra giocando sul fatto che c’è un racconto che si chiama Le diable amoureux (ovviamente non parla di coiti). Cosa questo dica sul mercato editoriale italiano, può essere oggetto di speculazione.
Si tratta di racconti realistici, folgoranti, che sovente portano i propri personaggi in situazioni stranianti e poi li lasciano lì, la storia termina e il lettore resta a chiedersi cos’è successo dopo e io che farei al posto suo eccetera.
Esempio: nel racconto Charles, una madre descrive preoccupata la cattiva influenza che suo figlio subisce dal compagno di classe Charles. Ogni giorno il figlio torna dall’asilo e racconta con tono inquietantemente ammirato le birichinate dell’amico, e la mamma vorrebbe tanto dirne quattro alla donna che ha generato un tale discolo. §→ Un giorno la narratrice si reca a un incontro genitori-insegnanti e nomina Charles; il maestro la guarda perplesso e dice in classe non c’è nessun Charles. ←§ Fine.
Poi c’è il racconto conclusivo, La lotteria (Adelphi lo mette a disposizione qui, per chi volesse leggere). È l’unico racconto non strettamente realistico e metterlo alla fine e senza preavviso è un ulteriore colpo per il lettore ignaro (io non lo ero, ne avevo letto citazioni in almeno cinque o sei opere, ma me lo sono goduto lo stesso), proprio perché uno ha letto tanti racconti di un certo tipo e si aspetta che lo sia anche l’ultimo e invece si becca la mazzata psicologica. La storia è semplice, in un villaggio innominato ogni anno si tiene una lotteria. La data è il 27 giugno, cioè si usa il calendario gregoriano, e i personaggi hanno nomi comuni, buoni vecchi nomi americani tipo Joe o Bill: tutte cose che aumentano la sensazione di realismo e familiarità, e dunque lo shock finale quando la medesima è distrutta. SJ descrive brevemente i preparativi, la tranquillità con cui gli abitanti si preparano all’evento di routine. Il sorteggio è diviso per famiglie e ci sono dei tiratori designati che tirano per la propria, pescando un foglietto da una cassetta nera. Il lettore comincia a percepire qualcosa di strano quando esce la famiglia sorteggiata e la moglie, §→ anziché esultare, protesta. Ma la lotteria va avanti, adesso devono pescare i membri della famiglia, padre madre e tre figli. Il bambino piccolo è orgoglioso di partecipare alla cosa dei grandi. I cinque tirano ed è la moglie a pescare il foglio con il cerchio nero, dopodiché “anche se la gente del villaggio aveva dimenticato il rituale e perso la cassetta originale, sapeva ancora come si usavano le pietre”, le pietre che i bambini avevano raccolto all’inizio della novella e ammucchiato in un angolo della piazza senza che il lettore capisse perché, e la donna “era adesso in mezzo a uno spazio vuoto, e tendeva disperatamente le braccia mentre la gente del villaggio avanzava verso di lei. — Non è giusto — protestò ancora. Una pietra la colpì sulla tempia. — Non è giusto, non è giusto — gridò ancora, e poi tutti calarono su di lei.” ←§
Si dice (spero sia una leggenda) che quando il racconto fu pubblicato nel 1949, molti lettori scrissero alla rivista pensando che fosse un fatto vero, e volevano sapere dove succedeva e se si poteva assistere.
Ciò che più mi ha colpito è che non c’è assolutamente nessuna delucidazione del perché si tenga la lotteria. La cosa che più si avvicina a una spiegazione è quando un tizio dice che in un villaggio vicino non la fanno più, e un vecchio protesta sostenendo che la lotteria c’è sempre stata e che a interromperla si attirano guai. La storia sembra dunque essere una messa in guardia contro la tradizione, o meglio la degenerazione della stessa, laddove per degenerazione intendo “facciamo così perché abbiamo sempre fatto così” al posto di “facciamo così perché ci hanno insegnato che è giusto”. Qui si aprirebbe un discorso molto interessante sul concetto di tradizione, che è innanzitutto traditio ovvero consegna, passaggio di idee di generazione in generazione, e della differenza tra un concetto statico e uno dinamico di tradizione (Tolkien la descriveva come un albero), eccetera, ma il discorso diventa troppo lungo per questo post perciò mi limito a dire LEGGETELO.
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Follia per sette clan, di Philip K. Dick.
Molto bello e divertente, ennesima variazione sul tema “cosa è reale e cosa no e come faccio a capire la differenza”, stavolta sviluppata nella dicotomia sanità mentale / pazzia. La risposta alla fine sembrerebbe essere che la sanità mentale è un sottotipo di pazzia, ma la conclusione e il tono generale del romanzo sono così parodistici che non sono proprio sicuro che sia esattamente questo il “messaggio” del libro (ammesso che ce ne sia uno). Il protagonista Chuck è il tipico antieroe dickiano, perdente, mite, succube delle donne caparbie e/o dal seno grosso, in sostanza una trasfigurazione letteraria dell’autore.
P.S. Un paio di citazioni di San Paolo fatte dai personaggi aggiungono un altro anello alla catena della teologia paolina nella letteratura di PKD, che vorrei esaminare quando avrò finito di leggere tutti i suoi libri.
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Tutto, e di più – storia compatta dell’∞, di David Foster Wallace.
DFW racconta la storia del concetto di infinito in matematica rendendola avvincente come un romanzo.
Fino alle prime 100 pagine sono riuscito a seguirlo, poi però la faccenda è diventata così esoterica – nel senso di inaccessibile ai profani – che la mia limitata cultura matematica ne è uscita decisamente sconfitta, e ho capito sì e no il 10% di quello che scrive. Sono tutti concetti che mi piacerebbe approfondire, ma dovrei dedicarvi un quantitativo tale di tempo che onestamente faccio prima ad aspettare di morire e constatare l’infinito per esperienza personale. Pazienza.
Però mi resta la curiosità di
- Approfondire la figura di Bernard Placidus Johann Nepomuk Bolzano, da aggiungere al mio elenco di scienziati credenti (in questo caso anche prete) (però DFW dice che era una specie di eretico perché tenne discorsi pacifisti all’università dove insegnava) (embè? Mica perché uno è pacifista è automaticamente eretico → approfondire);
- Wallace, sulla scia di Bertrand Russell e altri simpaticoni, in sostanza sposa la tesi per cui lo sviluppo del concetto di infinito è stato ritardato di circa un migliaio di anni dalla concezione aristotelica di attualità/potenzialità dell’infinito, e di fatto anche dalla Chiesa che ha sposato e dogmatizzato l’aristotelismo; io, prima di pronunciarmi sulla verità/falsità della cosa, vorrei approfondire l’argomento – qualcuno mi può consigliare letture in merito, possibilmente fruibili anche da profani?
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Così dolce, così innocente, di Shirley Jackson.
Altro libro della Jackson, altro titolo modificato (l’originale è Abbiamo sempre vissuto nel castello), ma almeno stavolta il titolo italiano non è fuori luogo. È una storia di agorafobia e tragedia familiare raccontata in prima persona da una pazza. Non si tratta di uno spoiler perché il lettore è in grado di accorgersi immediatamente che la voce narrante non ha tutte le rotelle che girano, ma è impressionante la perizia con cui l’autrice ci introduce al punto di vista di una persona mentalmente disturbata.
Shirley Jackson è stata una delle mie recenti scoperte letterarie più felici. Vi consiglio vivamente di leggerla.
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Shock 1, di Richard Matheson.
Primo volume di una famosa antologia di racconti di Matheson, di qualità variabile tra il sufficiente e il discreto. Particolarmente piaciuti Dissolvenza e fuga (uno sceneggiatore esprime l’incauto desiderio che la propria vita sia come un film e ne paga le conseguenze) e Il dispensatore (nuovo vicino semina caos nel quartiere; mi ha ricordato il romanzo di Stephen King Cose preziose).
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Shock 2, di Richard Matheson.
Secondo volume della suddetta antologia, con una qualità media decisamente buona. Particolarmente piaciuti I vampiri non esistono (come da titolo, gran finale a sorpresa), Scadenza (un uomo, un anno), Muto (storia toccante di un bambino vittima di un esperimento scientifico).
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Controrealtà, di AAVV.
Si tratta del numero 52 di Urania Millemondi, uscito nell’agosto 2010. È la versione in italiano della collezione americana The Year’s Best SF n. 12, cioè la selezione dei migliori racconti di fantascienza pubblicati nel 2006. L’avevo già letto l’anno scorso ma mi è venuta voglia di riprenderlo. La qualità media dei racconti è eccezionalmente alta per gli standard delle antologie Urania; di solito ne apprezzo circa la metà, qui invece mi sono piaciuti quasi tutti, con un paio di storie che gridano ECCELLENTE!!!. Me lo sto rileggendo un po’ alla volta per gustarlo meglio.
(N.B. sono un fiero sostenitore della rilettura, anche più volte. Credo fermamente che se un libro non merita una seconda lettura, allora non meritava neanche la prima. C’è un piacere tutto particolare nel ripercorrere strade già battute, del tipo: la percezione dei rimandi infratestuali, l’apprezzamento della scena senza l’assillo del “cosa succede dopo”, la comprensione di livelli di significato che erano sfuggiti la volta precedente. Guardo il mio foglio excel e mi deprimo nel constatare che rileggo troppo poco, l’ultimo “2°” risale addirittura a febbraio – La realtà in trasparenza di JRRT – e scuoto la testa. Vorrei poter rileggere ogni libro che ho letto, sfortunatamente l’applicazione di tale ideale richiederebbe una vita di durata tendente a ∞, così mi devo accontentare di rileggere quel che più mi “chiama”, sempre con un vago senso di colpa perché sottraggo tempo a chissà quali altre nuove meraviglie che mi aspettavano e che lascerò al momento della fine. Pazienza. Avrò tempo per leggere quando sarò morto.)
Già solo l’introduzione mi aveva “acchiappato” con una riflessione meritevole di commento:
i critici letterari sono spesso avvezzi a leggere narrativa per la sua sincronicità, ovvero per il modo in cui le miriadi di voci di un dato momento concorrono a rappresentare quel punto preciso dello spaziotempo. Questa non è la stessa idea che John Clute ha del “vero anno” di una storia, l’idea che ogni pezzo di narrativa rifletta inevitabilmente e inconsciamente l’anno in cui è stato composto, non importa se ambientato milioni di anni nel futuro e in un’altra galassia. È anche l’opposto del modo in cui i lettori di fantascienza vogliono leggere la loro narrativa: questi desiderano che le affascinanti idee degli autori li trasportino dalla loro quotidianità verso luoghi e tempi fantastici che potrebbero concretizzarsi, ma che non esistono ancora. Vogliono evadere dal presente.
La fantascienza ha sempre posseduto un certo grado di deliberata sincronicità, particolarmente evidente nella SF americana satirica degli anni ’50 e nella SF dell’Europa orientale prima della caduta del Muro di Berlino. Ma in maggioranza, i lettori di SF preferiscono una buona storia a una buona allegoria. A tutti piace distanziarsi dalla realtà, puntare verso il futuro. Ma è già adesso che ci troviamo nel futuro, e non è affatto il luogo piacevole che volevamo che fosse.
E ce ne sarebbero di cose da dire, sia su questo concetto di sincronicità (il futuro non è concepibile a sé, ma sempre in relazione al momento in cui è concepito: il futuro esiste solo come proiezione del presente), sia sul vero significato dell’evasione (ah, Tolkien: “non confondete l’Evasione del Prigioniero con la Fuga del Disertore”)!
Molti racconti di quest’antologia sono sincronici perché parlano di una catastrofe, della fine della civiltà, insomma sono chiaramente post 11/9/01. Quelli che mi sono piaciuti di più sono:
- Nanomacchine a Clifford Falls: la diffusione della nanotecnologia (macchine che producono istantaneamente qualsiasi cosa, dal cibo ai beni di lusso) promette il paradiso in terra. Tutti possono avere tutto. Fine della povertà, fine della fame nel mondo, fine dei bisogni materiali. Doveva essere il trionfo glorioso della Tecnica e invece è la distruzione della società. Bisognerebbe farlo leggere a Emanuele Severino. Mi è piaciuto così tanto che si merita un post a parte.
- Quando gli amministratori di sistemi dominavano la Terra: altro racconto postapocalittico, storia di un amministratore di sistemi intrappolato con altri sysadmins in un palazzo pieno di server e mentre fuori il mondo crolla per esplosioni nucleari guerre batteriologiche etc. questi nerd semiautistici sognano di fondare un nuovo mondo peace&love&bytes. Il linguaggio è magnificamente geek (ho imparato locuzioni come PEBKAC, gtg, killare, eccetera).
- → il resto dei racconti lo rileggo il mese prossimo.
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Fate, Time and Language – an Essay on Free Will, di David Foster Wallace e AAVV.
È la tesi di laurea (o qualunque cosa sia una undergraduate thesis) scritta da DFW in filosofia modale. Quando l’ho ordinato su Amazon non ne sapevo molto di più, se non che era di DFW ed era molto scontato e parlava di destino, tempo, linguaggio e libero arbitrio, insomma la copertina balzava letteralmente fuori dallo schermo e urlava COMPRAMI!!!
In realtà soltanto 78 pagine (30,95% del libro di 250 pagine) sono state effettivamente scritte da Wallace. Il resto è roba scritta da altri, e devo ancora capire se sia un bene o un male.
Insomma è andata così: nel 1962, questo tale filosofo Richard Taylor scrive un articolo in favore del fatalismo (pressappoco: non siamo noi a decidere ciò che facciamo). Nel 1985 DFW scrive la sua tesi come una replica-confutazione del lavoro di RT. La tesi resta a prendere polvere in uno scaffale del dipartimento di filosofia dello Amherst College. Nel 2008 DFW muore in tragiche circostanze, cioè si impicca (considero il suo suicidio come la dimostrazione ultima che l’intelligenza non garantisce la felicità), e a questo punto ci sono due modi possibili di interpretare i fatti:
- Gli ex-professori di Wallace, sconvolti dal dolore, decidono di rendere omaggio al loro brillante studente pubblicando la sua tesi di laurea, e per completezza arricchiscono il volume con il lavoro originale di Taylor criticato da DFW, nonché altri articoli di altra gente competente a parlare del fatalismo e annessi e connessi;
- Gli ex-professori di Wallace fiutano quattrini e, subodorando che tutto ciò che porta in copertina il nome di DFW si venderà come il pane, cercano affannosamente qualsiasi cosa pubblicabile in loro possesso e trovano la tesi, solo che è troppo breve per essere stampata da sola, così aggiungono al malloppo altra roba al fine di raggiungere una massa cartacea tale da giustificare il prezzo di copertina di $ 19,95.
Immagino che alla fine del libro avrò un’idea chiara di quale delle due interpretazioni sia più attinente alla realtà.
Intanto il libro l’ho iniziato, però essendo scritto in inglese e trattando di un argomento complicato con linguaggio da filosofi professionisti, penso che ci metterò un po’. Seguiranno aggiornamenti nei prossimi post mensili.