un ateo molto leale con cui mi trovai a discutere fece uso di questa espressione: ‘Gli uomini sono stati tenuti in schiavitù per paura dell’inferno’. Gli ho fatto osservare che se avesse detto che gli uomini erano stati affrancati dalla schiavitù per paura dell’inferno, avrebbe almeno fatto riferimento a un inoppugnabile fatto storico.
World War Z.
C-A-P-O-L-A-V-O-R-O A-S-S-O-L-U-T-O.
L’apocalisse zombie come non l’avete mai conosciuta.
Ma prima di parlare di Breckenridge “Breck” Scott e del Phalanx, è d’uopo una premessa.
Non riesco purtroppo a ritrovare un articolo che ho letto molto tempo fa, e che non ho avuto l’accortezza di conservare, in cui si riassumeva un concetto esposto da (mi pare) Hannah Arendt nel suo La banalità del male: l’ateismo come oppiaceo della coscienza individuale.
Di fronte alla concezione marxista della religione come anestetico che trattiene il proletariato dalla sollevazione di massa contro le catene del padrone, la Arendt oppone che il nazismo ha potuto quel che ha potuto proprio in virtù dell’idea contraria: la consolazione infusa al singolo che nessun Giudizio lo avrebbe mai giudicato, nessun inferno lo avrebbe mai retribuito, dunque non c’era limite a ciò che egli poteva fare. L’orrore diventa normale quotidiano, il male è banale. Così si avvera il teorema di Dostoevksij per cui “se Dio non esiste, tutto è lecito”.
Viene alla mente quel che dice Saint-Savin, personaggio del romanzo L’isola del giorno prima di Umberto Eco, un ateo molto simpatico:
Ma non mi guardate come se non avessi sani princìpi e non fossi un fedele servitore del mio re. Un vero filosofo non chiede affatto di sovvertire l’ordine delle cose. Lo accetta. Chiede solo che gli si lascino coltivare i pensieri che consolano un animo forte. Per gli altri, fortuna che ci siano e papi e vescovi a trattener le folle dalla rivolta e dal delitto. L’ordine dello stato esige una uniformità della condotta, la religione è necessaria al popolo e il saggio deve sacrificare parte della sua indipendenza affinché la società si mantenga ferma. Quanto a me, credo di essere un uomo probo: sono fedele agli amici, non mento se non quando faccio una dichiarazione d’amore, amo il sapere e faccio, a quanto dicono, buoni versi.
Su cosa si basano questi sani princìpi e quest’auto-definizione di probità, non è spiegato: presumibilmente la personale coscienza filosofica del personaggio e le convenzioni sociali, e su cosa esse sono fondate a propria volta, non si sa. Ma comunque Saint-Savin vive e pensa nel 1600, il suo ateismo è ancora del singolo e per il singolo, ed è controbilanciato da una ferrea morale individuale e dalla fedeltà al re. Cosa succede una volta venuta meno la prima e corrotta la seconda? La risposta a questa domanda è proprio quella data da Hannah Arendt e Dostoevskij.
Mi azzardo ad affermare storicamente, senza averne le competenze e dunque aperto a confutazioni documentate, che è proprio fino al ‘600 che non si ha notizia nella storia dell’umanità di una società complessa – il mito del buon selvaggio meriterebbe un discorso a parte – che abbia abbracciato l’ateismo collettivo e sia sopravvissuta nel lungo termine. È invece nel ‘700 (preceduto beninteso da una lunga gestazione sotterranea) che gli intellettuali cominciano a sognare in massa ed esplicitamente la scristianizzazione totale (la patina di teismo o deismo, la verniciatura di diritto naturale razionalista, si scrosta molto presto) ed è lì che comincia il cammino che porta al pensiero dominante contemporaneo: Dio non esiste, verità e giustizia sono scatole vuote da riempire volta per volta, tutto è lecito o liceizzabile a piacere, non c’è peccato né giudizio.
Su questi presupposti, quanto può durare?
Fine della premessa e torno a parlare di World War Z.
Si tratta di un libro epico, scritto da una massima autorità sull’argomento ovvero Max Brooks già autore del Manuale per sopravvivere agli zombie (da tenere nel comodino a portata di mano, metti caso serva). Io l’ho letto in inglese, perché in italiano non è ancora uscito, perciò le prossime citazioni sono mie traduzioni alla buona. Potreste averne già sentito parlare perché tra due mesi esce il film tratto dal libro, di cui è già in circolazione il trailer. Considerato che il protagonista è Brad Pitt e che gli zombie in questo periodo tirano, probabilmente incasserà. Peraltro la pubblicità a me ha fatto ribrezzo, perché sembra la solita storia azioneazionefuggisparaesplodibumbumbum: o il trailer è infedele rispetto al film, oppure il film col libro c’entra ben poco. D’altra parte, mi rendo conto che non era così facile trasporre la storia in film (una serie sarebbe stata un format più adatto, ma ormai questo c’abbiamo e ci accontentiamo, pazienza).
Perché WWZ non è una semplice storia di morti che risorgono e mangiano i vivi. Tecnicamente non è neppure un romanzo. È proprio un’altra cosa – molto migliore.
La particolarità di WWZ è che avviene un mondo in cui c’è già stata la guerra contro gli zombie, e l’umanità ha vinto, seppure a malapena. L’autore intradiegetico del libro è un giornalista che viaggia per il mondo e intervista persone di tutti i tipi, di ogni continente e ceto sociale, facendosi raccontare quello che hanno vissuto e le cose che hanno fatto. La differenza rispetto alla classica zombie story, alla George A. Romero oppure The Walking Dead per intenderci, è palese: lì il punto di vista è del singolo, qui è letteralmente globale. WWZ è estremamente realistico dal punto di vista geopolitico e considera una miriade di fattori che di solito nelle altre storie di zombie sono ignorati: la reazione di mass-media e politici di fronte alle voci di apocalisse (negare sempre, anche l’evidenza, finchè non è troppo tardi), le ragioni tecniche del fallimento delle normali tattiche militari di fronte a un nemico così radicalmente diverso (la battaglia di Yonkers), gli imprevedibili sconvolgimenti politici (Israele si chiude in quarantena e poi scoppia la guerra civile!).
Vorrei citare ogni intervista che mi ha entusiasmato, ma non posso. Sono troppe, praticamente tutte. È stato il libro più bello che abbia letto da un paio d’anni a questa parte (parliamo di un numero a tre cifre). Mi limito allora a quella che mi ha colpito di più, quella che mi ha fatto venire in mente, per motivi che saranno chiari alla fine, le considerazioni che ho riportato all’inizio di questo post.
Breckenridge “Breck” Scott, quel grandissimo stronzo.
Se v’interessa e capite l’inglese, l’intervista è riassunta sulla pagina di Zombiepedia, la wikipedia sugli zombie (sì, esiste davvero), dedicata al Phalanx.
Il Phalanx è un falso vaccino che Scott ha messo in circolazione sul mercato mondiale nella fase iniziale dell’epidemia, quando la gente non voleva credere che si trattasse davvero di zombie. Era meglio pensare che fosse una nuova forma di rabbia africana, più “scientifico”, più accettabile. Le alte sfere politiche, i poteri economici invece sì, sapevano che si trattava davvero di zombie, ma non volevano dirlo per non seminare il panico, perché il panico avrebbe distrutto ancora di più la fragile fiducia dei consumatori e avrebbe ripiombato il mondo in un’altra crisi finanziaria. E tutti quei grandi e blasonati giornali, i cui azionisti incidentalmente erano quegli stessi gruppi economici e politici che non volevano il panico, semplicemente guardavano da un’altra parte: a parlare di zombie erano solo le fonti non ufficiali su internet e social network, ovviamente facili da screditare.
Scott nella sua intervista ci tiene a puntualizzare che “tecnicamente” lui non ha imbrogliato nessuno, perché infatti il Phalanx previene davvero alcuni tipi di rabbia. Ha solo omesso di dire ai consumatori che il suo vaccino era inutile, perché non si trattava di rabbia ma di un’altra cosa, ma “tecnicamente” (lo dice ridendo) non ha mai mentito. Non solo, ma insiste sarcasticamente sulle conseguenze positive della sua truffa:
“A causa del Phalanx, il settore biomedico ha cominciato a risalire, questo come conseguenza ha risollevato il mercato azionario, questo ha dato l’impressione di una ripresa, questo poi ha restaurato abbastanza fiducia nei consumatori per stimolare effettivamente la ripresa! Il Phalanx ha interrotto la recessione mondiale… IO ho interrotto la recessione mondiale!”
Bravo.
Certo, poi sono morti tutti, ma che ti frega.
Disgraziatamente, il danno provocato dal Phalanx è stato amplificato da un altro fattore in gioco: i “quisling”, una delle migliori invenzioni di Max Brooks.
La parola deriva da Vidkun Quisling, politico norvegese che tradì il suo paese e collaborò con i nazisti, il cui nome è passato alla storia come sinonimo di traditore, come dire un giuda. Si tratta di una psicopatologia di massa che si è diffusa ad ampio raggio nella popolazione, anche se sfortunatamente è stata diagnosticata molto in ritardo, e consiste nel fatto che gli umani che ne sono colpiti si convincono di essere zombie. Agiscono come zombie, camminano come zombie, mordono come zombie, possono addirittura essere più pericolosi dei veri zombie. La spiegazione che è stata elaborata per questo fenomeno consiste in una specie di versione evoluta della Sindrome di Stoccolma:
“c’è un tipo di gente che non accetta una situazione lotta-o-muori. Sono attratti da ciò che temono. Invece di resistergli cercano di fare compromessi, compiacerlo, assomigliargli. Ci sono sempre stati collaborazionisti in tutte le guerre, pronti a saltare sul carro dei vincitori… Ma questo non poteva essere fatto in questa guerra, perché gli zombie sono diversi. Non puoi avvicinarti a uno zombie sventolando bandiera bianca e dicendo non uccidetemi, sono dalla vostra parte. Non c’è una zona grigia, nessun compromesso possibile. Ecco, alcune persone semplicemente non riuscivano ad accettare una situazione così drastica. Era troppo. Questo le ha fatte impazzire.”
Ora, provate a immaginare la seguente situazione. Un uomo che si è vaccinato con l’inutile Phalanx viene morso da un quisling, quando ancora non si sa che esistono i quisling. Il quisling viene subito abbattuto, nessuno nota la differenza con un vero zombie. L’uomo che è stato morso sopravvive. Cosa devono pensare lui e quelli che gli stanno accanto? Che il Phalanx funziona, ovvio. Si sparge la voce che IL VACCINO FUNZIONA DAVVERO. Siamo al sicuro. Cerchiamo di non farci divorare, ma se si tratta di un solo morso, pazienza, siamo vaccinati.
Allora, situazione n. 2. Un uomo che ha assunto il Phalanx viene morso da uno zombie. È condannato ineluttabilmente a trasformarsi, ma non lo sa, anzi crede di essere salvo. Così quell’uomo torna da dove è venuto – base militare, cittadella fortificata, qualunque cosa – e dopo pochi giorni quel posto non esiste più perché è stato distrutto DALL’INTERNO.
Situazioni come questa succedono a centinaia. A migliaia.
Non è facile calcolare quante persone sono morte nella guerra contro gli zombie, ma siamo sicuramente nell’ordine dei miliardi di persone. Probabilmente metà del genere umano, diciamo grossomodo 3.000.000.000 di morti, ma probabilmente anche quattro o cinque. Un numero così grande da diventare astratto, privo di significato.
Sarebbe esagerato dire che la responsabilità di tutti questi morti sia colpa di Breckenridge “Breck” Scott. Ci sono molte altre responsabilità, come abbiamo visto. Ma lui colpisce particolarmente per il modo con cui affronta la tragedia mondiale.
Ride.
Comprensibilmente, alla fine della guerra Scott è l’uomo più odiato del mondo. Ma non se ne cura. Non ha sofferto, lui. Con il suo falso vaccino ha fatto una quantità enorme di soldi, e al momento giusto ha tagliato la corda: si è rifugiato in Antartide, nella Base Vostok, il luogo più remoto della terra, dove gli zombie non possono arrivare (col freddo intenso l’acqua del loro corpo ghiaccia e sono immobilizzati) e dove vive come un pascià. Compra le cose che gli servono dal governo russo, che non si fa scrupoli ad accettare i suoi milioni di dollari sporchi di sangue (incidentalmente, la Russia è diventata una teocrazia). È qui che lo intervista l’autore di WWZ, e per tutta l’intervista Scott scherza, si sganascia dalle risate, si diverte alle spalle di quelli che sono morti. Non mostra il minimo rimorso. Sembra essere divertito dal concetto stesso di rimorso.
Non riesco a descrivere l’impressione di viscido che mi hanno fatto le sue parole. Dovete leggere per credere. Max Brooks è uno scrittore con gli attributi.
L’ultima domanda dell’intervista è
“D. lei non assume nessuna personale responsabilità [per tutti questi morti]?”
La risposta merita di essere considerata attentamente.
“R. Per cosa? per aver fatto un po’ di fottuti soldi?… beh, non proprio un po’ [ride]. Tutto quello che ho fatto era quello che si suppone voglia fare chiunque. Ho inseguito il mio sogno, mi sono preso il mio pezzo di torta. […] Non ho mai ferito direttamente nessuno, e se qualcuno è stato così stupido da farsi male da solo, boo-fuckin-hoo – [NdT credo che si possa approssimativamente tradurre con “e chi se ne fotte ha-ha”]
Certo… se c’è un inferno… [ride mentre parla] non voglio pensare a quanti di quei coglioni potrebbero stare ad aspettarmi. Spero solo che non vogliano un rimborso.”