- Demoni amanti, di Shirley Jackson.
- Follia per sette clan, di Philip K. Dick.
- Tutto, e di più – storia compatta dell’∞, di David Foster Wallace.
- Così dolce, così innocente, di Shirley Jackson.
- Shock 1, di Richard Matheson.
- Shock 2, di Richard Matheson.
- Controrealtà, di AAVV.
- Fate, Time and Language – an Essay on Free Will, di David Foster Wallace e AAVV.
§→ questi simboli indicano uno spoiler, evidenziare per leggere ←§
Demoni amanti, di Shirley Jackson.
Antologia di racconti, che nell’originale si chiamava The Lottery (la storia più famosa di SJ), e che l’editore italiano, forse nella speranza che il potenziale acquirente pensasse che il libro descrive copule tra angeli caduti, ha pensato bene di rinominare come sopra giocando sul fatto che c’è un racconto che si chiama Le diable amoureux (ovviamente non parla di coiti). Cosa questo dica sul mercato editoriale italiano, può essere oggetto di speculazione.
Si tratta di racconti realistici, folgoranti, che sovente portano i propri personaggi in situazioni stranianti e poi li lasciano lì, la storia termina e il lettore resta a chiedersi cos’è successo dopo e io che farei al posto suo eccetera.
Esempio: nel racconto Charles, una madre descrive preoccupata la cattiva influenza che suo figlio subisce dal compagno di classe Charles. Ogni giorno il figlio torna dall’asilo e racconta con tono inquietantemente ammirato le birichinate dell’amico, e la mamma vorrebbe tanto dirne quattro alla donna che ha generato un tale discolo. §→ Un giorno la narratrice si reca a un incontro genitori-insegnanti e nomina Charles; il maestro la guarda perplesso e dice in classe non c’è nessun Charles. ←§ Fine.
Poi c’è il racconto conclusivo, La lotteria (Adelphi lo mette a disposizione qui, per chi volesse leggere). È l’unico racconto non strettamente realistico e metterlo alla fine e senza preavviso è un ulteriore colpo per il lettore ignaro (io non lo ero, ne avevo letto citazioni in almeno cinque o sei opere, ma me lo sono goduto lo stesso), proprio perché uno ha letto tanti racconti di un certo tipo e si aspetta che lo sia anche l’ultimo e invece si becca la mazzata psicologica. La storia è semplice, in un villaggio innominato ogni anno si tiene una lotteria. La data è il 27 giugno, cioè si usa il calendario gregoriano, e i personaggi hanno nomi comuni, buoni vecchi nomi americani tipo Joe o Bill: tutte cose che aumentano la sensazione di realismo e familiarità, e dunque lo shock finale quando la medesima è distrutta. SJ descrive brevemente i preparativi, la tranquillità con cui gli abitanti si preparano all’evento di routine. Il sorteggio è diviso per famiglie e ci sono dei tiratori designati che tirano per la propria, pescando un foglietto da una cassetta nera. Il lettore comincia a percepire qualcosa di strano quando esce la famiglia sorteggiata e la moglie, §→ anziché esultare, protesta. Ma la lotteria va avanti, adesso devono pescare i membri della famiglia, padre madre e tre figli. Il bambino piccolo è orgoglioso di partecipare alla cosa dei grandi. I cinque tirano ed è la moglie a pescare il foglio con il cerchio nero, dopodiché “anche se la gente del villaggio aveva dimenticato il rituale e perso la cassetta originale, sapeva ancora come si usavano le pietre”, le pietre che i bambini avevano raccolto all’inizio della novella e ammucchiato in un angolo della piazza senza che il lettore capisse perché, e la donna “era adesso in mezzo a uno spazio vuoto, e tendeva disperatamente le braccia mentre la gente del villaggio avanzava verso di lei. — Non è giusto — protestò ancora. Una pietra la colpì sulla tempia. — Non è giusto, non è giusto — gridò ancora, e poi tutti calarono su di lei.” ←§
Si dice (spero sia una leggenda) che quando il racconto fu pubblicato nel 1949, molti lettori scrissero alla rivista pensando che fosse un fatto vero, e volevano sapere dove succedeva e se si poteva assistere.
Ciò che più mi ha colpito è che non c’è assolutamente nessuna delucidazione del perché si tenga la lotteria. La cosa che più si avvicina a una spiegazione è quando un tizio dice che in un villaggio vicino non la fanno più, e un vecchio protesta sostenendo che la lotteria c’è sempre stata e che a interromperla si attirano guai. La storia sembra dunque essere una messa in guardia contro la tradizione, o meglio la degenerazione della stessa, laddove per degenerazione intendo “facciamo così perché abbiamo sempre fatto così” al posto di “facciamo così perché ci hanno insegnato che è giusto”. Qui si aprirebbe un discorso molto interessante sul concetto di tradizione, che è innanzitutto traditio ovvero consegna, passaggio di idee di generazione in generazione, e della differenza tra un concetto statico e uno dinamico di tradizione (Tolkien la descriveva come un albero), eccetera, ma il discorso diventa troppo lungo per questo post perciò mi limito a dire LEGGETELO.
§§§
Follia per sette clan, di Philip K. Dick.
Molto bello e divertente, ennesima variazione sul tema “cosa è reale e cosa no e come faccio a capire la differenza”, stavolta sviluppata nella dicotomia sanità mentale / pazzia. La risposta alla fine sembrerebbe essere che la sanità mentale è un sottotipo di pazzia, ma la conclusione e il tono generale del romanzo sono così parodistici che non sono proprio sicuro che sia esattamente questo il “messaggio” del libro (ammesso che ce ne sia uno). Il protagonista Chuck è il tipico antieroe dickiano, perdente, mite, succube delle donne caparbie e/o dal seno grosso, in sostanza una trasfigurazione letteraria dell’autore.
P.S. Un paio di citazioni di San Paolo fatte dai personaggi aggiungono un altro anello alla catena della teologia paolina nella letteratura di PKD, che vorrei esaminare quando avrò finito di leggere tutti i suoi libri.
§§§
Tutto, e di più – storia compatta dell’∞, di David Foster Wallace.
DFW racconta la storia del concetto di infinito in matematica rendendola avvincente come un romanzo.
Fino alle prime 100 pagine sono riuscito a seguirlo, poi però la faccenda è diventata così esoterica – nel senso di inaccessibile ai profani – che la mia limitata cultura matematica ne è uscita decisamente sconfitta, e ho capito sì e no il 10% di quello che scrive. Sono tutti concetti che mi piacerebbe approfondire, ma dovrei dedicarvi un quantitativo tale di tempo che onestamente faccio prima ad aspettare di morire e constatare l’infinito per esperienza personale. Pazienza.
Però mi resta la curiosità di
- Approfondire la figura di Bernard Placidus Johann Nepomuk Bolzano, da aggiungere al mio elenco di scienziati credenti (in questo caso anche prete) (però DFW dice che era una specie di eretico perché tenne discorsi pacifisti all’università dove insegnava) (embè? Mica perché uno è pacifista è automaticamente eretico → approfondire);
- Wallace, sulla scia di Bertrand Russell e altri simpaticoni, in sostanza sposa la tesi per cui lo sviluppo del concetto di infinito è stato ritardato di circa un migliaio di anni dalla concezione aristotelica di attualità/potenzialità dell’infinito, e di fatto anche dalla Chiesa che ha sposato e dogmatizzato l’aristotelismo; io, prima di pronunciarmi sulla verità/falsità della cosa, vorrei approfondire l’argomento – qualcuno mi può consigliare letture in merito, possibilmente fruibili anche da profani?
§§§
Così dolce, così innocente, di Shirley Jackson.
Altro libro della Jackson, altro titolo modificato (l’originale è Abbiamo sempre vissuto nel castello), ma almeno stavolta il titolo italiano non è fuori luogo. È una storia di agorafobia e tragedia familiare raccontata in prima persona da una pazza. Non si tratta di uno spoiler perché il lettore è in grado di accorgersi immediatamente che la voce narrante non ha tutte le rotelle che girano, ma è impressionante la perizia con cui l’autrice ci introduce al punto di vista di una persona mentalmente disturbata.
Shirley Jackson è stata una delle mie recenti scoperte letterarie più felici. Vi consiglio vivamente di leggerla.
§§§
Shock 1, di Richard Matheson.
Primo volume di una famosa antologia di racconti di Matheson, di qualità variabile tra il sufficiente e il discreto. Particolarmente piaciuti Dissolvenza e fuga (uno sceneggiatore esprime l’incauto desiderio che la propria vita sia come un film e ne paga le conseguenze) e Il dispensatore (nuovo vicino semina caos nel quartiere; mi ha ricordato il romanzo di Stephen King Cose preziose).
§§§
Shock 2, di Richard Matheson.
Secondo volume della suddetta antologia, con una qualità media decisamente buona. Particolarmente piaciuti I vampiri non esistono (come da titolo, gran finale a sorpresa), Scadenza (un uomo, un anno), Muto (storia toccante di un bambino vittima di un esperimento scientifico).
§§§
Controrealtà, di AAVV.
Si tratta del numero 52 di Urania Millemondi, uscito nell’agosto 2010. È la versione in italiano della collezione americana The Year’s Best SF n. 12, cioè la selezione dei migliori racconti di fantascienza pubblicati nel 2006. L’avevo già letto l’anno scorso ma mi è venuta voglia di riprenderlo. La qualità media dei racconti è eccezionalmente alta per gli standard delle antologie Urania; di solito ne apprezzo circa la metà, qui invece mi sono piaciuti quasi tutti, con un paio di storie che gridano ECCELLENTE!!!. Me lo sto rileggendo un po’ alla volta per gustarlo meglio.
(N.B. sono un fiero sostenitore della rilettura, anche più volte. Credo fermamente che se un libro non merita una seconda lettura, allora non meritava neanche la prima. C’è un piacere tutto particolare nel ripercorrere strade già battute, del tipo: la percezione dei rimandi infratestuali, l’apprezzamento della scena senza l’assillo del “cosa succede dopo”, la comprensione di livelli di significato che erano sfuggiti la volta precedente. Guardo il mio foglio excel e mi deprimo nel constatare che rileggo troppo poco, l’ultimo “2°” risale addirittura a febbraio – La realtà in trasparenza di JRRT – e scuoto la testa. Vorrei poter rileggere ogni libro che ho letto, sfortunatamente l’applicazione di tale ideale richiederebbe una vita di durata tendente a ∞, così mi devo accontentare di rileggere quel che più mi “chiama”, sempre con un vago senso di colpa perché sottraggo tempo a chissà quali altre nuove meraviglie che mi aspettavano e che lascerò al momento della fine. Pazienza. Avrò tempo per leggere quando sarò morto.)
Già solo l’introduzione mi aveva “acchiappato” con una riflessione meritevole di commento:
i critici letterari sono spesso avvezzi a leggere narrativa per la sua sincronicità, ovvero per il modo in cui le miriadi di voci di un dato momento concorrono a rappresentare quel punto preciso dello spaziotempo. Questa non è la stessa idea che John Clute ha del “vero anno” di una storia, l’idea che ogni pezzo di narrativa rifletta inevitabilmente e inconsciamente l’anno in cui è stato composto, non importa se ambientato milioni di anni nel futuro e in un’altra galassia. È anche l’opposto del modo in cui i lettori di fantascienza vogliono leggere la loro narrativa: questi desiderano che le affascinanti idee degli autori li trasportino dalla loro quotidianità verso luoghi e tempi fantastici che potrebbero concretizzarsi, ma che non esistono ancora. Vogliono evadere dal presente.
La fantascienza ha sempre posseduto un certo grado di deliberata sincronicità, particolarmente evidente nella SF americana satirica degli anni ’50 e nella SF dell’Europa orientale prima della caduta del Muro di Berlino. Ma in maggioranza, i lettori di SF preferiscono una buona storia a una buona allegoria. A tutti piace distanziarsi dalla realtà, puntare verso il futuro. Ma è già adesso che ci troviamo nel futuro, e non è affatto il luogo piacevole che volevamo che fosse.
E ce ne sarebbero di cose da dire, sia su questo concetto di sincronicità (il futuro non è concepibile a sé, ma sempre in relazione al momento in cui è concepito: il futuro esiste solo come proiezione del presente), sia sul vero significato dell’evasione (ah, Tolkien: “non confondete l’Evasione del Prigioniero con la Fuga del Disertore”)!
Molti racconti di quest’antologia sono sincronici perché parlano di una catastrofe, della fine della civiltà, insomma sono chiaramente post 11/9/01. Quelli che mi sono piaciuti di più sono:
- Nanomacchine a Clifford Falls: la diffusione della nanotecnologia (macchine che producono istantaneamente qualsiasi cosa, dal cibo ai beni di lusso) promette il paradiso in terra. Tutti possono avere tutto. Fine della povertà, fine della fame nel mondo, fine dei bisogni materiali. Doveva essere il trionfo glorioso della Tecnica e invece è la distruzione della società. Bisognerebbe farlo leggere a Emanuele Severino. Mi è piaciuto così tanto che si merita un post a parte.
- Quando gli amministratori di sistemi dominavano la Terra: altro racconto postapocalittico, storia di un amministratore di sistemi intrappolato con altri sysadmins in un palazzo pieno di server e mentre fuori il mondo crolla per esplosioni nucleari guerre batteriologiche etc. questi nerd semiautistici sognano di fondare un nuovo mondo peace&love&bytes. Il linguaggio è magnificamente geek (ho imparato locuzioni come PEBKAC, gtg, killare, eccetera).
- → il resto dei racconti lo rileggo il mese prossimo.
§§§
Fate, Time and Language – an Essay on Free Will, di David Foster Wallace e AAVV.
È la tesi di laurea (o qualunque cosa sia una undergraduate thesis) scritta da DFW in filosofia modale. Quando l’ho ordinato su Amazon non ne sapevo molto di più, se non che era di DFW ed era molto scontato e parlava di destino, tempo, linguaggio e libero arbitrio, insomma la copertina balzava letteralmente fuori dallo schermo e urlava COMPRAMI!!!
In realtà soltanto 78 pagine (30,95% del libro di 250 pagine) sono state effettivamente scritte da Wallace. Il resto è roba scritta da altri, e devo ancora capire se sia un bene o un male.
Insomma è andata così: nel 1962, questo tale filosofo Richard Taylor scrive un articolo in favore del fatalismo (pressappoco: non siamo noi a decidere ciò che facciamo). Nel 1985 DFW scrive la sua tesi come una replica-confutazione del lavoro di RT. La tesi resta a prendere polvere in uno scaffale del dipartimento di filosofia dello Amherst College. Nel 2008 DFW muore in tragiche circostanze, cioè si impicca (considero il suo suicidio come la dimostrazione ultima che l’intelligenza non garantisce la felicità), e a questo punto ci sono due modi possibili di interpretare i fatti:
- Gli ex-professori di Wallace, sconvolti dal dolore, decidono di rendere omaggio al loro brillante studente pubblicando la sua tesi di laurea, e per completezza arricchiscono il volume con il lavoro originale di Taylor criticato da DFW, nonché altri articoli di altra gente competente a parlare del fatalismo e annessi e connessi;
- Gli ex-professori di Wallace fiutano quattrini e, subodorando che tutto ciò che porta in copertina il nome di DFW si venderà come il pane, cercano affannosamente qualsiasi cosa pubblicabile in loro possesso e trovano la tesi, solo che è troppo breve per essere stampata da sola, così aggiungono al malloppo altra roba al fine di raggiungere una massa cartacea tale da giustificare il prezzo di copertina di $ 19,95.
Immagino che alla fine del libro avrò un’idea chiara di quale delle due interpretazioni sia più attinente alla realtà.
Intanto il libro l’ho iniziato, però essendo scritto in inglese e trattando di un argomento complicato con linguaggio da filosofi professionisti, penso che ci metterò un po’. Seguiranno aggiornamenti nei prossimi post mensili.
2 dicembre 2011 at 09:56
La rilettura sarebbe una bella cosa, e qualche volta l’ho fatto; ma c’è talmente tanta roba da leggere, talmente poco tempo…
2 dicembre 2011 at 13:08
Io sono alle prese con Martin… un libro decisamente poco tascabile e che mi mette l’ansia, però tanto di cappello: i protagonisti “esistono” di più dei miei alunni. Più reali del reale. Però aspetto i draghi, o almeno un qualche mostro. Sono ad un quarto e pare di essere nel medioevo e basta!
3 dicembre 2011 at 02:29
Wallace, sulla scia di Bertrand Russell e altri simpaticoni, in sostanza sposa la tesi per cui lo sviluppo del concetto di infinito è stato ritardato di circa un migliaio di anni dalla concezione aristotelica di attualità/potenzialità dell’infinito, e di fatto anche dalla Chiesa che ha sposato e dogmatizzato l’aristotelismo
Per il resto, è cosa stranota ed ampiamente sedimentata l’impatto negativo del tomismo neoaristotelico sugli sviluppi delle teorie sull’infinito in matematica. Ormai, a contestarla in modo ridicolo sono solo quei simpaticoni di parrocchia fondamentalista, quelli della stessa specie di coloro per cui la banana è stata creata così apposta perché l’uomo la potesse afferrare (ignornado che in natura, quel frutto è immangiabile).
Un caso emblematico è la convocazione di Cantor in Vaticano per discutere sull’impatto teologico della sua tesi sui transfiniti, ma era ormai un’epoca secolarizzata, dove nemmeno al Vaticano interessava più granché. Ma prima, invece…
La traduzione italiana del libro di Wallace, comunque, è obbrobriosa, ci sono termini matematici usati a sproposito (esistono gli integrali, ma i numeri integrali non hanno senso, il traduttore non ha basi elementari di matematica e creerà confusione nel lettore inesperto e fastidio in quello più edotto).
3 dicembre 2011 at 09:24
#1 AlphaT
mio identico dilemma
#2 nihil alieno
Ah, ma il bello è quello… il mondo di GRRM è pochissimo fantasy. Almeno nel primo libro, no magia, no draghi, al massimo qualche meta-lupo (che esisteva davvero pure da noi, solo che si è estinto millenni fa).
A proposito, quando trovano i cuccioli di meta-lupo, la mamma lupa NON è morta per un corno di unicorno. Quello è un obbrobrio del traduttore traditore. NON ESISTONO GLI UNICORNI. Nell’originale era un comunissimo cervo, e questo spiega perchè sono tutti nervosi per un motivo che il piccolo Bran non capisce: perchè vedere il simbolo della casa Baratheon che ammazza il simbolo della casa Stark non è di buon auspicio.
#3 shostakovich
la cosa della banana non l’ho capita.
Per il resto, io da profano della materia non prendo posizione, pratico l’epochè ovvero la sospensione del giudizio. Potrebbe essere vero, d’altra parte quante leggende nere passano per “cosa stranota ed ampiamente sedimentata “… di Wallace tendo a fidarmi, ma di Bertrand Russell – almeno come storico – proprio per niente (ho letto il suo perchè non sono cristiano e ho constatato che non ci aveva capito un accidente del cristianesimo).
Comunque, l’edizione che ho comprato io, quella uscita in allegato alle Scienze il mese scorso, ha una nuova traduzione e almeno quell’erroraccio è stato corretto, gli integrali sono tornati ad essere dei buoni vecchi numeri interi. Se poi è rimasto qualche altro errore, io non me ne sono accorto (ma ripeto, sono un profano della materia e verso la fine il mio tasso di comprensione del libro è declinato drammaticamente).
3 dicembre 2011 at 14:20
# claudio
la cosa della banana non l’ho capita.
Era una frecciata ai creazionisti, quel genere di personaggi che pur di difendere una tesi smentita s’inventano qualunque sciocchezza:
http://www.newscientist.com/blogs/culturelab/2009/11/creationist-bananas.html
Per il resto, io da profano della materia non prendo posizione, pratico l’epochè ovvero la sospensione del giudizio. Potrebbe essere vero, d’altra parte quante leggende nere passano per “cosa stranota ed ampiamente sedimentata “… di Wallace tendo a fidarmi, ma di Bertrand Russell – almeno come storico – proprio per niente (ho letto il suo perchè non sono cristiano e ho constatato che non ci aveva capito un accidente del cristianesimo).
Aospendi il giudizio perché non ti piace la conclusione più corroborata. non è sul giudizio di Russell che si basa il fatto che le speculazioni matematiche e filosofiche sull’infinito siano state rallentate per timore di scontrarsi con la dottrina aristotelico-tomistica.
Per quanto riguarda Russell, le sue critiche in quel libro sono molto personali; ma il suo lavoro come storico non di professione non è da buttare via, teste la Storia della filosofia occidentale, che ha contribuito più di tutti a fargli assegnare il premio Nobel per la letteratura.
D’altro canto, se anche egli non avesse capito un accidente del cristianesimo (ma questo lo dici tu), ciò non ha nulla a che vedere con le competenze e le conoscenze storiche. Nel libro che citi, non si parla della portata storica del cristianesimo, ma del suo impatto sociale nel presente e su altri aspetti non storici.
La tua obiezione, oltre ad essere capziosa, è sostanzialmente inutile: non è una leggenda nera né la menzogna di qualche anticlericale il fatto che il potere della Chiesa, con la sua autorità e i suoi strumenti (Inquisizione e Index Librorum Prohibitorum), hanno ostacolato una libera speculazione su temi controversi. Solo quando il suo potere è venuto meno, per frammentazioni, scismi, affermazione di nazionalismi e campagne napoleoniche, il problema Chiesa è venuto meno per la cultura libera.
Il caso di Cantor è emblematico, perché risale ad un’epoca in cui il potere papale e clericale era grandemente ridotto in Europa e limitato ai soli paesi più sottosviluppati (Italia, Spagna e Portogallo): la questione dell’infinito era ancora scomoda sul piano dottrinale, e il credente Cantor dovette chiedere un parere. Se non fosse stato credente, si sarebbe fatto problemi.
Immagina quanti altri matematici e filosofi non si sarebbero fatti problemi se ai loro tempi non ci fosse stata l’Inquisizione a sostenere il neoaristotelismo: avrebbero potuto speculare e sviluppare teorie senza intralci di sorta.
E’ un bene, per la cultura, che la Chiesa abbia perduto il suo prestigio e il suo potere. Peccato che in Italia, a differenza del resto dell’Europa, la cosa non si sia ancora compiuta pienamente, almeno in ambito socio-politico. Ma c’è da sperare che fra qualche anno crollerà anche quest’ultimo baluardo.
3 dicembre 2011 at 19:04
Leggero senz’altro la Jackson, a cominciare dal racconto La lotteria che linki. Gnam, pappa buona!
Condivido ciò che scrivi sulla rilettura, in particolare – ovviamente – il fatto che quando saremo morti avremo agio di lettura… eterna.
Oh, gaudio!
Penso che proporrò a mio padre la lettura della Jackson, abbinata all’ultimo King che pare da più fonti essere molto valido.
3 dicembre 2011 at 20:02
#5 shostakovich,
perchè mi vuoi incasellare nel tuo schema prefissato? Sospendo il giudizio perchè so di non saperne (ancora) abbastanza. Se altre fonti mi confermeranno questa cosa, l’accetterò come vera, non importa quanto poco mi piaccia, e non sarebbe la prima volta. Non ti sembra un comportamento ragionevole? O forse ti piacerebbe invece un cattolico fanatico e dogmatico da disprezzare?
Russell in quel libro spiega perchè considera dannosi gli insegnamenti di Cristo, e cita all’uopo diversi passi evangelici, sempre fraintendendoli completamente. Non ho il libro sottomano e non ricordo esempi concreti, ma questa fu la mia impressione a lettura finita. La nocività del cristianesimo è consustanziale alla sua visione storico-filosofica.
Per favore, spiegami precisamente in che modo la Chiesa cattolica abbia potuto COSTRINGERE Cantor, tedesco e di famiglia protestante, che peraltro era teista ma non cristiano, a chiedere un parere ecclesiastico sull’infinito. Sono curioso di saperlo.
#6 cecilia,
ho adocchiato in libreria l’ultimo King sul tizio che torna indietro nel tempo, aspetto che esca in paperback per comprarlo. Se intanto vuoi consigli su un altro suo libro, io li ho letti quasi tutti, te ne posso consigliare a bizzeffe (dipende da che genere cerchi: che SK scriva semplicemente horror è un luogo comune falsissimo).
3 dicembre 2011 at 20:19
Mi dirai che ne pensi, allora.
Di King non ho letto tutto, ma parecchio.
Amo i suoi horror, mentre non ho mai avvicinato per esempio la serie della Torre nera perché non me ne han parlato un granché bene – ma sono disposta a farmi un’opinione diversa.
3 dicembre 2011 at 20:44
P.S. in effetti shostakovich, sul piano culturale la Chiesa cattolica ha delle colpe terribili, abominevoli. Pensa che ha addirittura fondato l’università La Sapienza (assieme a moltissime altre).
Visti i risultati odierni, c’è effettivamente di che vergognarsene, forse un giorno un Papa chiederà scusa all’umanità.
#8 cecilia, considera che il mio avatar è un’immagine tratta dalla Torre Nera, e che secondo i miei calcoli ho letto circa 7-8 volte il primo libro della saga. Non è un lavoro perfetto, ma te ne potrei comunque parlare ben più che bene: io la considero un’opera epica nel senso compiuto del termine, cosmologica, la vera erede di Tolkien.
3 dicembre 2011 at 20:48
Ah! E infatti non lo sapevo, avevo letto del tuo avatar in qualche post o commento ma avevo in testa che si trattasse d’altro…
… certo, se me ne parli come di una legittima erede di Tolkien, addirittura, cambio subito registro e mi riprometto di addentarla! O.o
3 dicembre 2011 at 22:26
# claudio
perchè mi vuoi incasellare nel tuo schema prefissato? Sospendo il giudizio perchè so di non saperne (ancora) abbastanza.
Non c’è nessuno schema prefissato, se non nella tua testa.
Non ti sembra un comportamento ragionevole? O forse ti piacerebbe invece un cattolico fanatico e dogmatico da disprezzare?
Ma forse è a te che piacerebbe avere un commentatore, il sottoscritto, che desideri questo.
Semplicemente, quel fatto è ampiamente acclarato e discusso. Mi sorprende che i dubbi vengano sempre quando la verità è scomoda, ancorché evidente.
C’è stato per secoli un veto cattolico sulle pubblicazioni in territorio europeo, ci sono stati processi intentati a pensatori non allineati. Non è un argomento esoterico.
Russell in quel libro spiega perchè considera dannosi gli insegnamenti di Cristo, e cita all’uopo diversi passi evangelici, sempre fraintendendoli completamente. Non ho il libro sottomano e non ricordo esempi concreti, ma questa fu la mia impressione a lettura finita.
Tralasciando il fatto che li abbia fraintesi o meno, questo non ha nulla a che vedere con la competenza storica di Russell che, ripeto, è autore di un’importante storia della filosofia.
Tu sostieni di non fidarti di Russell come storico poiché, a tuo dire, ha travisato il messaggio cristiano. Questo è semplicemente un argomento insensato, un non sequitur, per tre ragioni:
– Quali che fossero i giudizi personali di Russell sul messaggio cristiano, questi non dicono nulla sulla sua competenza come storico, perché uno può fare buone analisi storiche anche travisando il messaggio cristiano.
– Il dato storico da analizzare non c’entra niente con i vangeli, ma con l’influenza culturale della chiesa nell’Europa dal Rinascimento in poi, e per farne un’analisi non è necessario il requisito dell’ortodossa interpretazione dottrinale del messaggio evangelico.
– Non c’è alcuna corretta interpretazione dei vangeli che non sia automaticamente legata ad una precisa professione di fede. Chi, da protestante, interpreta il vangelo negando la volontà di Cristo di fondare una chiesa con a capo un pontefice, agli occhi di un cattolico travisa il messaggio evangelico e vice versa. Dovremmo dedurre che uno storico protestante diviene inaffidabile in ambito storico in virtù del suo presunto travisamento del testo evangelico? Sarebbe da imbecilli.
Per favore, spiegami precisamente in che modo la Chiesa cattolica abbia potuto COSTRINGERE Cantor, tedesco e di famiglia protestante, che peraltro era teista ma non cristiano, a chiedere un parere ecclesiastico sull’infinito.
Hai scritto costringe, in maiuscolo. Io non ho parlato di costrizione, perciò non ti debbo spiegare nulla. Al massimo, preciserò di aver usato la parola “convocazione”, come di fatto è avvenuto. Ed ho introdotto l’esempio di Cantor per mostrare come la teologia cattolica, anche in tempi recenti, era ancora interessata al tema dell’infinito, per le sue implicazioni metafisiche. E a queste implicazioni metafisiche era interessata anche prima, quando aveva il potere di impedire che si diffondessero teorie eretiche o contrarie alla dottrina. Che poi era il punto da cui ero partito, ovvero che idee eretiche sull’infinito non hanno avuto modo di svilupparsi prima perché la cultura dominante di riferimento era quella aristotelico tomistica e anche perché era pericoloso rovesciarne i presupposti.
Se tu intendevi farmi dire che Cantor è stato vittima del Santo Uffizio, mi spiace, non era quello che intendo dire, ma un tuo pio desiderio.
sul piano culturale la Chiesa cattolica ha delle colpe terribili, abominevoli. Pensa che ha addirittura fondato l’università La Sapienza (assieme a moltissime altre).
Le università pontificie sono nate per preservare e mantenere la cultura dominante, ovvero difendere la dottrina, stimolando l’apologetica e la retorica, non certo la ricerca analitica. Attività, questa, che sarà invece iniziata alla Sorbona e in Britannia, da chierici non allineati e in odore di eresia (Abelardo, Occam, Bacon…), e sarà ampiamente sviluppata con la nascita delle libere università laiche durante il primo umanesimo. Nelle cronache dell’epoca (siamo nel Trecento) tanto la Sorbona che le università “borghesi” erano assai malviste dal clero, specie quello monastico e abbaziale (il vero depositario della cultura cristiana, non il clero secolare o i vescovi, che erano per lo più ignoranti e interessati alla simonia). Avrai letto il Nome della rosa, suppongo…
Visti i risultati odierni, c’è effettivamente di che vergognarsene, forse un giorno un Papa chiederà scusa all’umanità.
La chiesa dei tempi moderni è liberale nella misura in cui gli è stato tolto il potere che prima usava per condannare il liberalismo odierno.
Le aperture della chiesa non sono il frutto di una sua tendenza implicita, ma il buon viso al cattivo gioco di fronte a un mondo secolarizzato che essa non può più controllare, perché si è, per fortuna, indebolita.
La vulgata tende a far passare queste aperture come a delle concessioni. Niente di più falso, se non servisse a preservare ancora quel poco di influenza che ancora gli resta, oggigiorno la chiesa sarebbe ancora quel verminaio che è stata nel passato.
Essa è un prodotto dei tempi, giacché non sarebbe sopravvissuta se avesse dovuto conservarsi nella sua propria tradizione. Non è un caso che cattolici fondamentalisti e tradizionalisti premono perché essa riacquisti quel potere che le permetta di non fare più rinunce e compromessi.
E questo potere, la storia insegna, è meglio che non lo riacquisti. Ma tanto la strada, a mio parere, è già segnata verso un irrimediabile declino (oppure ad altri compromessi, che poi è la stessa cosa).
🙂
4 dicembre 2011 at 09:33
Shokastovich, hai scritto “la questione dell’infinito era ancora scomoda sul piano dottrinale, e il credente Cantor dovette chiedere un parere“.
L’hai usato tu il verbo dovere, non io, e adesso te lo rimangi?
Se non c’è onestà intellettuale nell’interlocutore, la discussione è inutile.
4 dicembre 2011 at 15:28
# claudio
Ho scritto che dovette chiedere un parere (sottinteso, per sé), non che fu costretto da altri. Tu hai usato la parola costrizione, io no. Il discorso sull’onestà ti si ritorce contro, direi.
11 dicembre 2011 at 00:56
[…] a Clifford Falls, scritto da Nancy Kress, ed è il primo racconto contenuto nell’antologia Controrealtà, il numero 52 di Urania Millemondi (agosto 2010). È un ottimo racconto e ve lo voglio far […]
19 dicembre 2011 at 13:29
Sull’evoluzione del concetto di infinito, c’è questa bella voce: http://www.disf.org/Voci/13.asp
19 dicembre 2011 at 13:31
Sull’evoluzione del concetto di infinito, c’è questa voce: http://www.disf.org/Voci/13.asp
nella quale si legge la seguente frase “È ormai storicamente certo che Cantor considerava tre generi d’infinito (cfr. Hallett, 1984, pp. 8-10), con una modalità di distinzione che ha molti punti in comune con quella tommasiana”.
26 dicembre 2011 at 17:15
Alla fine ho letto La lotteria.
Mi è piaciuto – ma per piacermi molto avrebbe dovuto restare un racconto, ma più nutrito e dettagliato.
Sì, l’affinità con King è evidente.