La Fine della
Fine, l’Inizio dell’Inizio
A proposito di Francis Fukuyama, l’autore dell’articolo citato prima. Anni fa fece discutere la sua tesi sulla Fine della Storia: caduto il Muro di Berlino, sputtanate le illusioni marxiste incubatrici di atrocità, costretta la sinistra (quella che vuole fare i conti con la realtà) a venire a patti con il capitale, non ci saranno più conflitti globali sul pianeta. Resteranno despoti locali e guerre circoscritte, ma il peggio ce lo siamo finalmente lasciato alle spalle; la democrazia liberale si prepara a diventare l’unica o comunque prevalente forma di governo e di società, nel mondo pacificato prossimo venturo.
L’idea in sé non è una novità:
la Fine
della Storia era stata inventata da Hegel per incensare il quarto regno germanico che sarebbe poi diventato il Reich nazista, rielaborata da Nietzsche per l’avvento finale del’Oltreuomo (salvo poi ricominciare, subito dopo
la Fine
, in un ritorno tanto eterno quanto inutile), riadattata da Marx nell’auspicio della quinta età del mondo in cui l’umile proletariato avrebbe ereditato la terra. Sappiamo bene che fine hanno fatto costoro. Anche la tesi di Fukuyama si è rivelata improvvida, come tutti abbiamo potuto constatare in un giorno di settembre del nuovo millennio (qualcuno ha detto: Fine della Fine della Storia).
Tutte queste previsioni, e chissà quante altre ancora, sono escatologie immanenti: figliastre dell’escatologia trascendente cristiana, dolorosamente sconfessate dalla Storia che testarda si ostina a non finire. Traslazioni nel mondo di un paradiso che non si vuole, non si può, non si deve più sperare in Cielo (“Siate fedeli alla terra!”, ammoniva Zarathustra). Cristo e
la Chiesa
ci hanno sempre avvertito che il mondo non sarà mai un bel posto, che la perfetta giustizia è solo oltre. Da qui le accuse di inerzia politica, oppio dei popoli, state contente umane genti al quia; ricordo una sintesi eccezionale in merito, “quella carota di matrice giudaico–cristiana con cui si convincevano le masse della storia a restare immote aspettando il Godot della giustizia”. Rosseau scriveva che il cristiano non può essere un buon cittadino perché, pensando al mondo futuro, ha la testa tra le nuvole e del mondo presente non gliene frega più di tanto. Ma Rosseau, diciamocelo sinceramente, era un cretino.
Queste accuse sono infondate. Il nostro non è immobilismo, è realismo: nessun sistema sociale sarà mai così perfetto da non aver più bisogno che tutti gli uomini siano buoni (campa cavallo). La storia remota e recente offre svariati esempi di credenti che si sono impegnati, in fazioni diverse e talora perfino avverse, per migliorare sensibilmente il proprio paese e tutto il mondo. Ciascuno traducendo nella sua personale sensibilità politica, a sua responsabilità, quel comune messaggio cristiano di amore per il prossimo, consci che la società pacificata è come una vita dell’anima senza più alcun peccato: un asintoto, un punto irraggiungibile ma verso cui nondimeno si deve tendere perennemente. O si crede o si cade.
La Storia
finirà solo quando finirà l’avventura umana in questo mondo, e dopo l’Apocalisse ci saranno cieli nuovi e terre nuove e verrà il Regno in cui Dio sarà tutto in tutti. Però attenzione, è anche vero che noi cristiani sperimentiamo ogni giorno un’anticipazione di questo Regno, che non mentendo Cristo proclamava vicino. Nei cristiani, questa schiera di pochi per salvare tutti, già è presente il Dio–tutto–in–tutti.
La Chiesa
militante di quaggiù è in comunione con
la Chiesa
trionfante e purgante di lassù. E alla fin fine, se pure vogliamo fermarci all’aspetto delle mere innovazioni sociali, il cristianesimo è stato veramente (come ammetteva anche Benedetto Croce, proprio nell’ottica del suo spiritualismo immanentista hegeliano) la più grande delle rivoluzioni. L’Inizio dell’Inizio del Regno. Chi ben comincia è a metà dell’opera. Diamoci da fare, per smentire tutti i Rosseau di ieri e di oggi.