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Guidare col TomTom nel giardino dei sentieri che si biforcano

Da leggere e assaporare l’articolo di Diego Gabutti su Italia Oggi. Prendendo le mosse da un libro mezzo saggio storico e mezzo gioco ucronico (“La storia con i se. Dieci casi che potevano cambiare il corso del Novecento”) Gabutti sfotte di gusto Hegel, Benedetto Croce, lo storicismo e l’arroganza degli storicisti: cioè quella legione di pensatori tanto sicuri che la Storia è destinata ad andare proprio così e giammai cosà, perché le magnifiche sorti e il sol dell’avvenire e il progresso, signora mia, il progresso.
Lo leggo con piacere, approvo al 99% pressappoco, ma c’è un punto percentuale che mi stona: nel mazzo degli storicisti Gabutti – di cui ignoro la fede, e non capisco se un omonimo o il medesimo delle Altre ipotesi su Gesù (a naso direi il medesimo, lo stile di scrittura combacia) – ci butta dentro pure “le religioni, cristianesimo in testa” perché per esse la storia è “un treno in corsa verso le consolazioni e i castighi dell’aldilà”.

 Ma caro Gabutti, l’aldilà non è nella storia, è per definizione dall’altra parte! Rispetto alla storia è il post scriptum, il dopo i titoli di coda. L’aldilà arriva quando la storia è finita. Della fine della storia, al netto della simbologia apocalittica, sappiamo più meno che più: né il giorno né l’ora, né il come né il percome, appena il chi (tutti quanti) e il perché (entropia, se non altro). E su quello che ci sarà prima della fine, poi, un bel boh a forma di punto interrogativo. Di certo e sicuro c’è ben poco, solo che la Chiesa resisterà fino alla fine, per quanto – chiedendo Gesù retoricamente se troverà ancora la fede – sarà, probabilmente, ridotta al lumicino.
Proprio perché l’hegelismo e i suoi derivati, marxismo in testa, sono una religione rovesciata dove l’Uomo pretende di farsi dio, è lo storicismo ad essere la caricatura della provvidenza e non viceversa. La Provvidenza, quella vera, non è la Psicostoria di Asimov, dove un’equazione matematica determina quasi infallibilmente (evviva il Mulo!) il futuro di tutto quanto il fantastiliardo d’esseri umani della Galassia.
La volontà onnipotente di Dio deve arrangiarsi a fare i conti con il nostro libero arbitrio, e a chi dice che questa non è onnipotenza, rispondo che Dio è così onnipotente che può addirittura autolimitarsi: l’ha deciso, poteva farlo, l’ha fatto.

La Provvidenza è come un TomTom.
Tu guidi la tua vita e quella guida te, ha già mappato ogni percorso, tutto l’infinito dei compossibili, ogni assurdo universo, e ti vuole portare a destinazione nel miglior tragitto possibile. Poca benzina, minimo tempo, microscopica usura del mezzo: una pacchia, magari fosse.
Ma poi ci sono gli ostacoli. Trovi l’ingorgo. Distrattone, hai mancato la traversa giusta, dovevi girare di là e invece sei andato di qua. Oppure la vettura ha un sussulto di troppo e non avevi attaccato bene la ventosa e il TomTom si stacca e cade – quante volte m’è successo – ma ormai stai guidando e non puoi fermarti in mezzo al traffico né rischiare un incidente per raccoglierlo contorsionisticamente e allora pazienza, m’arrangio da solo, tanto ormai ho capito, la strada la so. Sì, sì, bravo, poi vedi. Oppure dici sai che c’è, ma chi l’ha detto che il TomTom ha ragione, perché mi devo fidare dei programmatori, che ne sanno loro, io voglio fare da solo l’esperienza, statti zitto fastidioso aggeggio ti spengo e la strada giusta la decido io, al limite chiedo a qualche tizio per strada che pare affidabile (si chiama Berlicche, ma questo non te lo dice).
Deviazione.
E il TomTom traccia un nuovo miglior percorso. Hai allungato un po’, ma se gli dai retta puoi ancora fare presto e bene. Ma non gli dai retta, o non riesci a sentirlo. Così altra deviazione. E poi ancora un’altra. Di nuovo. Di nuovo. Di nuovo. Ma come ho fatto ad arrivare all’autostrada? Ma all’inizio non avevo settato evita strade a pedaggio?
Paga.
Spia rossa. Devi fermarti e dire addio a un pregevole esemplare di architettura rinascimentale su sfondo arancione.
Paga.
Hai visto l’autovelox? No? Pazienza, lui ha visto te.
Pagherai.
Doveva essere il miglior percorso possibile, ti sembra di stare facendo la Parigi-Dakar.

Eppure il TomTom potrebbe ancora aiutarti. C’è ancora una via per arrivare dove volevi andare, forse non sarà breve e piacevole, ma è pur sempre il meglio che la geografia e la cartografia ti mettono a disposizione in questo stramaledetto, labirintico, multicentrico giardino dei sentieri che si biforcano.

E allora.
Che cos’è l’Incarnazione? Cosa sono il Natale, la Pasqua, la Pentecoste? Cos’è la Chiesa?
È Dio che dice, dopo il peccato originale:

“… RICALCOLO.”

tom tom ricalcolo


Il Logos e il Caos

(questo post, ancorché chilometrico, è ancora incompleto. È dall’inizio dell’anno – quando si dice il labor limae! – che ci lavoro, una frase oggi, un capoverso domani… Tuttavia mi manca proprio la conclusione, in cui dovrei mettere il punto sulla “mia” concezione del rapporto tra Logos e Caos, tra fede e ragione. Il problema è che attualmente non riesco a trovare la disposizione d’animo adatta – troppo poco tempo, ben altri pensieri nella testa – per mettermi a tavolino e cercare le parole con cui comunicare ciò che voglio dire. Così, alla fine, ho deciso come strappo alla regola di postare il pezzo anche se incompleto: è comunque un bel malloppone, e chissà che da qualche commento non riesca a trovare il “la” per terminare degnamente il tutto. Buona lettura – si fa per dire…)

 

Il Logos e il Caos

 

1. Il testo

Premesso che:

 

1.

hdhsfjdszhfsk mjsdafl ohnds qndvjx hzxbdmb msdeofru bdskhf hdxkfg owqeq hhdfgk nzvcmxb dhydeuit qewe ztyutuy svfdfb uaxasd dbnoi qcvb ayuiy ttgrue lczddc dgydtfygdfr swewaeewq uvbfcbgfcb dhggfhf qwerr aiopii tfhg lfhgfg diuyui qhjk zdewtr sooiiuuoi zgtyuty orty tvbnfb cwrew cqweqw drt ti lwqeqwe dretyt syuio ctyui duiuuu taaqswqs rvbnvnb dcjhsetfy qsdklgu zbvmdcf supwoitu uoprsouidf dhuk qvbn atyutuy tdcgfdf lsawersrt

 

2.

dsfdsjflfjdsl sdfjsfjsdkfjsdlk feorfuwierueowi zxcxcmrfygtred xcncx ewiurweoi ghkcd vdfhk jghdf gjkd hdfjgred ioreo tereswwer  pererer fhskfsd urtotgrd rt  xcj dlf dfgeruou rhgtorue vnkafdhilas gosdhffsdhfuio jvcscuop rgvdklvjrtm wauyrewiiew cbvxqwtyfqwyt kbpotro vuyqw n fjdoigodrtft jkddgtrfe ewtret cmsdicpowsi dfrsdreds re vjmfotdei sfhshfiu vmporedregpo sdfdsif nvdenovodr cnwwui rjtioeroi zxvnedoedr vnxlòawqe qwwrerio polmbczghasiryxzmsg djudisdfnis asdasds xncudfhudvbdfbu sdafiiodsso nmsopsac cnsduiifc dgdfggder

 

Sembra tutto assurdo, vero? E invece non lo è. I due paragrafi qui sopra appaiono simili nella loro struttura, ma invece sono molto diversi. Uno di essi è assolutamente casuale, perché l’ho scritto battendo tasti alla rinfusa sulla tastiera del pc; l’altro ha invece una sua razionalità, perché contiene un messaggio che ho poi criptato usando un sistema che rivelerò a tempo debito. Sfido il lettore a scoprire qual è l’uno e qual è l’altro: difficile, ma non del tutto impossibile. Il sistema crittografico che ho usato non è poi così complicato…

Le implicazioni di questi due paragrafi ai fini del mio discorso saranno chiare alla fine. Leggiamo ora questi altri due brani:

 

3.

Affermano gli empî che il nonsenso è normale nella Biblioteca, e che il ragionevole (come anche l’umile e semplice coerenza) è una quasi miracolosa eccezione. Parlano (lo so) della “Biblioteca febbrile, i cui causali volumi corrono il rischio incessante di mutarsi in altri, e tutto affermano, negano e confondono come una divinità in delirio”. Queste parole, che non solo denunciano il disordine, ma lo illustrano, testimoniano generalmente del pessimo gusto e della disperata ignoranza di chi le pronuncia. In realtà, la Biblioteca include tutte le strutture verbali, tutte le variazioni permesse dai venticinque simboli ortografici, ma non un solo nonsenso assoluto.

 

4.

Affermano gli empî che il nonsenso è normale nella Biblioteca, e che il ragionevole (come anche l’umile e semplice coerenza) è una quasi miracolosa eccezione. Parlano (lo so) della “Biblioteca febbrile, i cui causali volumi corrono il rischio incessante di mutarsi in altri, e tutto affermano, negano e confondono come una divinità in delirio”. Queste parole, che non solo denunciano il disordine, ma lo illustrano, testimoniano generalmente del pessimo gusto e della disperata ignoranza di chi le pronuncia. In realtà, la Biblioteca include tutte le strutture verbali, tutte le variazioni permesse dai venticinque simboli ortografici, ma non un solo nonsenso assoluto.

 

Sembrano uguali, vero? In effetti lo sono, ma vi invito a pensare che potrebbe esserci una differenza. Uno è tratto dal famoso racconto di Jorge Luis Borges “La Biblioteca di Babele”, che descrive un mitico e smisurato luogo-universo i cui libri contengono tutte le combinazioni concepibili delle lettere dell’alfabeto. L’altro è, in effetti, lo stesso brano che io ho copiato coscientemente; ma per ipotesi potrebbe anche essere frutto del caso, di una vertiginosa roulette dei simboli ortografici che giungesse a produrre accidentalmente quello stesso brano; come se prendendo a caso uno dei libri della Biblioteca trovassi subito il Libro dei Libri, come se una scimmia arrivasse a produrre il monologo dell’Amleto di Shakespeare al primo tentativo senza passare il proverbiale milione di anni a battere sulla macchina da scrivere. Si tratta di un’ipotesi improbabile e inverosimile, ma non del tutto impossibile.

Anche su questi altri due testi dovremo tornare alla fine del discorso, ma per adesso lasciamoli da parte e parliamo dell’Universo (che alcuni dicono essere, in un certo senso, un testo a sua volta).

 

 

2. Brevissima storia delle concezioni del Logos

 

L’Universo è frutto del caso?

Oppure esiste un ordine razionale, un senso che dà significato all’esistenza del tutto?

I filosofi ellenici, a quanto ne sappiamo, furono i primi occidentali a porsi queste domande. E la risposta fu che alla base dell’Universo c’è il Logos, una parola greca suscettibile di varie traduzioni: “verbo”, “parola”, “discorso”, “ordine”, “razionalità”. La connessione tra queste sfumature semantiche è chiara: un discorso implica razionalità, perché non è un mucchio confuso di suoni o lettere, ma un insieme di parole organizzato secondo precise regole linguistiche. Quei pensatori avevano osservato la natura e avevano dedotto che il mondo è un posto ordinato secondo regole ben precise. Il caso e l’irrazionalità, che pure esistono nel mondo, non sono l’essenza del mondo.

 

Poi venne il cristianesimo. L’apostolo Giovanni, scrivendo in greco il proprio vangelo, aveva usato per il suo sublime prologo esattamente lo stesso termine già usato dai filosofi: In principio era il Verbo [Logos], e il Verbo era presso Dio, e il Verbo era Dio. Egli era in principio presso Dio e tutto è stato fatto per mezzo di lui.

Giovanni ci dice che il Logos è al principio di tutte le cose, che un ordine razionale presiede alla struttura intelligibile del mondo; inoltre ci è detto prima che il Logos è presso Dio, e poi che il Logos è egli stesso Dio. Una contraddizione? Nient’affatto. Giovanni ci sta dando le prime nozioni sulla Trinità: ci sta dicendo che il Logos è presso Dio-Padre ed è Dio-Figlio (e personalmente mi chiedo se quel secondo successivo “presso Dio” non possa riferirsi a Dio-Spirito, ma non trovo conferme a questa mia ipotesi tra i pensatori che ho sfogliato). Gesù Cristo è il Logos, il Verbo divino che si fa Carne e viene ad abitare in mezzo a noi per rinnovare la creazione del mondo tramite la redenzione. All’inizio della Genesi Dio dice le cose, ed esse sono: “Sia la luce”, e la luce fu. La parola è il mezzo con cui Dio crea il mondo: leggendo l’Antico Testamento alla luce del Nuovo, si apprende che quella parola creatrice è proprio il Logos, Cristo, ovvero Dio-Figlio, la seconda persona della Trinità divina.

L’Universo è perciò un “discorso” di Dio, o se vogliamo un “libro”; il che ci rimanda alla “biblio-cosmologia” cui avevo accennato sopra, un argomento denso e complesso che meriterebbe una discussione a parte (qualche riferimento letterario pertinente: l’opera omnia del suddetto Borges, il concetto di sub-creazione di Tolkien, la Storia Infinita di Michael Ende, la Dark Tower di Stephen King, ed anche – si parva licet – i Prigionieri di carta del mio amico Niccolò Petrilli).

Dunque, se la filosofia greca aveva stabilito con la ragione che alla base dell’Universo c’è un ordine razionale, il cristianesimo associò per fede (sulla base del Vangelo di Giovanni) questa razionalità alla persona di Cristo. C’è pertanto uno scarto tra il Logos alla luce del lumen naturae, la razionalità del mondo capita dalla ragione di quei saggi pensatori pagani o agnostici, e il Logos identificato con Cristo alla luce della fede. La filosofia cristiana ha sempre tenuto presente questo scarto: San Tommaso era attentissimo a distinguere le verità dimostrabili ex ratione (che dunque nessuno può inescusabilmente rifiutare) da quelle indimostrabili e credibili soltanto ex fide (che dunque si possono soltanto proporre al prossimo, facendo appello alla sua libertà di credere nonché all’aiuto della grazia divina).

Lo studio della natura nei secoli successivi portò nuova attenzione sul Logos: la nascente scienza moderna concepiva l’Universo come retto da regole precise e razionali, sottolineando la loro intelligibilità da parte dell’uomo; era frequente nelle opere di Galileo la descrizione del mondo come di un libro scritto da Dio, che aveva lasciato all’uomo il compito di scoprirne l’alfabeto e la grammatica. Nella medesima ottica si mossero Newton e Keplero, i quali (sebbene la cosa sia poco nota, ed anzi oggi sia abbastanza diffusa una superficiale vulgata che vuole la scienza nemica necessaria della religione; il che è quasi ironico, visto che la scienza moderna nasce proprio come costola della religione) prima che scienziati furono teologi, ed anzi furono autori di eccezionali scoperte proprio in quanto cercavano di scoprire le leggi di natura che ritenevano Dio gli avesse posto innanzi.

 

Successivamente l’illuminismo, de-cristianizzando la filosofia, auspicò un avanzamento della scienza tale da relegare la religione a nefando ricordo dei secoli bui, o al limite da permettere soltanto una religione naturale che fosse puramente razionale e depurata da ogni rivelazione. Gli illuministi furono “teisti” (credenti in un solo Dio personale, comune ai tre grandi monoteismi) oppure “deisti” (credenti in una divinità non meglio precisata, magari chiamata Ragione o Essere Supremo) oppure semplicemente agnostici; è da notare che pochi illuministi sostennero teoricamente l’ateismo, l’inesistenza di Dio essendo ancor meno dimostrabile della sua esistenza.

Con l’illuminismo svanisce dunque ogni contributo della fede alla conoscenza: il Logos torna ad essere quel che era già stato per i filosofi greci, un ordine universale comprensibile tramite la sola razionalità. Voltaire paragonò l’Universo ad un Orologio perfetto, costruito da un sublime Orologiaio, con un meccanismo che dopo la carica iniziale prosegue da solo in un moto perpetuo e non ha più bisogno del suo costruttore. La massoneria (perlomeno la sua corrente razionalista, che fu l’altra faccia dell’illuminismo) descrive la divinità come un Grande Architetto che ha edificato l’universo secondo certi precisi criteri, gli stessi a cui avrebbe alluso la Tradizione massonica medievale con la costruzione delle cattedrali gotiche (tuttora qualche stravagante sostiene di riconoscere nella facciata di quegli edifici lo schema cabalistico dell’albero delle sephirot – e certo: basta spostare una sephira qui, cambiare un po’ lo schema là, e il gioco è fatto…)

 

E infine Hegel. Nel suo idealismo il concetto di Logos subisce l’ultima evoluzione significativa: diventa Geist, Spirito che produce l’Universo, Razionalità che si fa Realtà.

È impossibile spiegare in poche righe la filosofia hegeliana, argomento immensamente vasto e complicato (e molto ci sarebbe da dire sullo gnosticismo sommerso di Hegel, che purtroppo è finora sfuggito alla quasi totalità dei suoi commentatori). In estrema sintesi: l’idealismo è quella filosofia per cui la realtà non è autonoma dal pensiero del soggetto che la conosce, ma in certo modo dipende dall’idea con cui il soggetto si rappresenta mentalmente la realtà. Nelle sue configurazioni più estreme, si sostiene che la realtà è creata dall’idea. Per Hegel è proprio così, sennonché l’idea che si fa realtà non è quella del singolo essere umano (“io empirico”), ma quella di un Io trascendentale che sta all’io empirico come la sostanza sta all’accidente. Questo Io trascendentale è l’Uomo, è l’Idea, è il Pensiero Razionale che si fa Realtà, è lo Spirito (Geist), è Dio.

Il processo con cui l’idea si fa realtà è la dialettica hegeliana, composta dalla famosa terna tesi-antitesi-sintesi, nella quale ogni termine si suddivide a sua volta in una terna inferiore (cosicché lo schema completo è caratterizzato da una notevole complessità). La terna fondamentale è composta da:

1. L’Idea in sé, ovvero lo Spirito che esiste prima del tempo, prima dell’Universo e della realtà materiale.

2. L’Idea per sé, ovvero lo Spirito che uscendo da sé crea l’Universo e diventa Natura, per poi torna in sé nello svolgimento della dialettica hegeliana.

3. L’Idea in sé e per sé, ovvero lo Spirito che tornato infine in sé unifica Pensiero e Materia nell’autocomprensione finale di questo movimento circolare.

Da notare che Hegel, con un’operazione ermeneutica tipicamente gnostica, ravvisava nel cristianesimo la verità essoterica (= una storiella buona per la massa) del suo idealismo, il Verbo che si fa Carne essendo un’allegoria dello Spirito che si fa Realtà; a “inverare” quest’allegoria naturalmente ci avrebbe pensato lui, venuto a svelare all’umanità il vero significato della storia del Dio-uomo che muore e risorge…

Insomma, stringi stringi, la filosofia di Hegel è un’antropoteosofia: l’Uomo è Dio, gli resta solo da capirlo. E a ben guardare il movimento circolare del Geist, descritto nella triade dell’Idea che è in sé e poi esce da sé ed infine torna in sé, ricorda tanto certe cosmogonie gnostiche per le quali al principio esisteva un dio che si distrusse, la materia essendo ciò che resta di quel cadavere supremo, e l’uomo può salvarsi solo se acquisisce la conoscenza della propria natura divina. Dio muore all’inizio del tempo, ma risorge nell’Uomo. L’evoluzione dell’Universo, e la stessa storia dell’umanità, sono guidate da una razionalità immanente alla realtà lungo un binario ineluttabile teso a sfociare infine nell’autocomprensione, ovvero nel ritorno dell’Idea in sé, ovvero nella cosciente identificazione tra Uomo e Dio.

 

 

3. Il Caso e l’Irrazionalità

 

Nel libro di fantascienza Guida Galattica per autostoppisti, Douglas Adams narra di una razza di esseri “superintelligenti e pandimensionali” che decide di trovare la Risposta suprema alla domanda fondamentale circa “la vita, l’Universo e tutto quanto”. Questa razza costruisce pertanto un computer gigantesco, chiamato Pensiero Profondo, e gli affida il compito di calcolare la Risposta. Il computer impiega per questo gravoso compito ben sette milioni e mezzo di anni; dopodichè, di fronte alla festante popolazione in trepida attesa, annuncia in mondovisione la Risposta:

42.

La razza di esseri superintelligenti e pandimensionali non è precisamente soddisfatta del criptico risultato, ma Pensiero Profondo si giustifica dicendo che essi capirebbero se conoscessero con precisione la Domanda. A questo scopo viene dunque costruito un computer ancor più grande e potente; purtroppo, per una sfortunata quanto ridicola coincidenza, esso viene distrutto proprio pochi minuti prima che il calcolo sia completato.

Successivamente, nel secondo volume della saga Ristorante al termine dell’Universo, il protagonista Arthur Dent riesce con un bizzarro espediente a sapere qual è la Domanda:

6 x 9?

Il significato della vita e dell’universo e di tutto quanto, dunque, sembra essere contenuto nella formula “6 x 9 = 42”. Sennonché, il lettore si sarà già accorto che sei per nove non fa affatto quarantadue: fa cinquantaquattro.

La conclusione che si ricava dalla conoscenza simultanea della Domanda e della Risposta, insomma, è che tutto è assurdo e bizzarro e irrazionale, proprio come le avventure descritte da Adams nei suoi libri.

 

Ora, questo potrà anche sembrare uno scherzo, ma a ben vedere la trovata di Adams è un’efficacissima descrizione della concezione postmoderna del mondo. Il Logos, che in una forma o nell’altra è sempre stato considerato l’ossatura dell’universo fin dalla nascita del pensiero occidentale, oggigiorno è considerato superato. La filosofia sorta dopo Hegel (compreso, pur tra varie contraddizioni interne, quell’hegelismo rovesciato che fu il marxismo) ha rinunciato a qualsiasi metafisica: non c’è nessun senso intrinseco nell’universo, nessuna Razionalità immanente o trascendente, nulla tranne i piccoli e provvisori significati che gli uomini nella loro breve contingenza decidono di dare al mondo.

Le cause di questo cataclismatico rovesciamento esistenziale sono molteplici. Tra i principali fattori, credo debbano essere annoverate:

1) le pulsioni irrazionalistiche della filosofia che cominciano a sorgere già nel XIX secolo, vedi ad esempio Nietzsche.

2) la delusione dei Lumi. Diceva l’ottimismo illuminista che l’umanità, dopo aver abbandonato le tristi eredità dei secoli bui come la superstizione e i dogmi religiosi, avrebbe realizzato un mondo migliore. Sappiamo com’è andata: quello appena finito è stato il secolo dell’orrore, delle guerre mondiali, dei lager nazisti e dei gulag comunisti, degli stermini di massa e del terrore atomico. E così l’uomo occidentale, dopo aver perso nel ‘700 la fiducia nella Fede, ha perso nel ‘900 la fiducia nella Ragione: l’illuminismo moderno ha generato il “figlio parricida” del relativismo postmoderno, e coloro che prima avevano aderito alla religione secolare del marxismo, dopo la confutazione storica di quest’ultimo, si sono in gran parte convertiti al pensiero debole (chiamiamolo “rancore epistemologico”: “se io avevo torto, allora nessuno deve avere ragione”).

3) l’interpretazione dell’evoluzionismo in termini puramente aleatori, efficacemente riassunta e propagandata da Jacques Monod nel suo saggio “Il Caso e la Necessità”: “l’uomo sa infine che è solo nell’immensità indifferente dell’universo da cui è emerso per caso”. La comparsa della vita nell’universo, e la sua evoluzione attraverso il meccanismo delle mutazioni genetiche, sono considerate come il risultato accidentale di una specie di lotteria cosmica. Questa visione è oggi così diffusa da essere spesso identificata con l’evoluzionismo nella sua essenza (il che è un altro falso storico, perché Darwin sostenne il meccanismo evolutivo ma non l’aleatorietà dell’evoluzione: a torto l’ateismo militante lo agita come feticcio della propria causa). Nelle sue configurazioni più radicali, questa mentalità concepisce come casuale la stessa esistenza dell’Universo: qualcosa esiste, sì, ma poteva anche non esistere, e in ogni caso non c’è una particolare ragione perché ci sia l’Essere invece che il Nulla. Non c’è nessun Logos, c’è solo un accidente del Caso.

 

 

4. Il testo: la ragione

 

Torniamo allora alla metafora “biblio-cosmologica” di cui parlavo all’inizio. Abbiamo due coppie di testi: la prima coppia è apparentemente casuale e insensata, tuttavia uno dei due elementi cela un senso razionale e (seppur con qualche difficoltà) intelligibile; la seconda coppia è apparentemente razionale, tuttavia (per ipotesi improbabile ma tecnicamente non impossibile) uno dei due testi è in realtà frutto accidentale del caso. Le possibilità sono:

1. il Logos non appare, perché non c’è.

2. il Logos non appare, però c’è.

3. il Logos appare, perché c’è.

4. il Logos appare, però non c’è.

Quale dei quattro testi è il termine di paragone più adatto per descrivere la realtà? Ovvero, quale delle quattro proposizioni definisce l’Universo?

 

Per rispondere a questa Domanda (la cui Risposta, naturalmente, non è 42!) dobbiamo anzitutto usare la ragione. Ed è proprio con la ragione che possiamo osservare che nel mondo esistono delle regole: la gravitazione universale, le leggi di Keplero, E = Mc2… L’universo non è un guazzabuglio caotico di eventi che semplicemente avvengono: c’è una struttura, una matrice, un ordine minuzioso.

Sappiamo inoltre che questo Universo non è sempre esistito: i tentativi di dimostrare il contrario, come la famosa teoria dell’universo quasi-statico di Hoyle, non reggono all’obiezione della radiazione di fondo nonché a certe considerazioni sull’entropia ( Hoyle era un fisico fortemente contrario all’idea del Big Bang – e per ironia della sorte fu lui stesso a darle questo nome per ridicolizzarla, senza prevedere che avrebbe fatto presa sull’immaginario collettivo – poiché, diceva, gli sembrava “un’idea da preti”).

Ma da dove deriva allora questa razionalità? È verosimile che “prima” (prima di ogni prima, perché il tempo, come scriveva Sant’Agostino e ha confermato Einstein, non esiste in assenza di eventi) ci fosse il Nulla, e poi improvvisamente l’Essere – ma un Essere ordinato, strutturato, regolato, un Essere che attua il suo divenire storico seguendo precise leggi fisiche?

L’osservazione dell’universo ci aiuta a rispondere alla Domanda, escludendo la prima coppia di testi: il Logos appare.

 

A questo punto, però, il sostenitore del Caso può obiettare (e solitamente è questa l’obiezione più frequente, ripetuta in molte varianti) che “la razionalità non è oggettivamente presente nell’universo, ma soggettivamente presente nell’osservatore.” Ovvero: le regole fisiche del mondo in sé e per sé non significano niente, ma siamo noi che le vediamo razionali perché le conformiamo al nostro punto di vista e precisamente alla nostra razionalità. Insomma: il Logos ci appare, però non c’è.

Torniamo alla metafora del testo: i paragrafi (3) e (4) ci appaiono sensati perché corrispondono alla nostra grammatica. Quando li ho scritti, ho digitato sulla tastiera certe lettere e non altre, proprio perché la mia scrittura seguiva precise regole grammaticali. Tuttavia, anche i paragrafi (1) e (2) potrebbero apparire sensati, se a leggerli fosse un ipotetico osservatore la cui grammatica aliena, per un improbabile ma non impossibile scherzo del caso, coincidesse con quella che si trova di fronte: perché magari nella sua lingua hdhsfjdszhfsk mjsdafl ohnds”, oppure “dsfdsjflfjdsl sdfjsfjsdkfjsdlk feorfuwierueowi”, non sono affatto guazzabugli fonetici bensì assennate frasi di senso compiuto. Oppure, come dicevamo all’inizio, non si può escludere che da un gigantesco meccanismo combinatorio sia prodotta per caso una frase come “Affermano gli empî che il nonsenso è normale”, che a noi lettori sembra sensata perché siamo proprio noi a metterci un senso che in origine non c’era.

La più grande e lucida espressione poetica di questa lotteria cosmica è proprio il racconto di Borges sulla Biblioteca, il luogo in cui il Caso produce ogni libro possibile; e tuttavia, poiché nessun Logos è alla base di questa produzione, poiché non c’è nessuna regola che stabilisce di scrivere certe lettere invece di certe altre in quanto semplicemente si dà ogni concepibile combinazione alfabetica, allora nessun testo ha veramente senso e ogni testo è ipoteticamente sensato, e dunque si annichilisce infine la stessa differenza tra Ordine e Disordine: il Logos è il Caos.

 

(In realtà, la Biblioteca include tutte le strutture verbali, tutte le variazioni permesse dai venticinque simboli ortografici, ma non un solo nonsenso assoluto. Inutile osservarmi che il miglior volume dei molti esagoni che amministro s’intitola “Tuono pettinato”, un altro “Il crampo di gesso” e un altro “Axaxaxas mlö”. Queste proposizioni, a prima vista incoerenti, sono indubbiamente suscettibili d’una giustificazione crittografica o allegorica; questa giustificazione è verbale, e perciò, ex hypothesi, già figura nella Biblioteca. Non posso immaginare alcuna combinazione di caratteri

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che la divina Biblioteca non abbia previsto, e che in alcuna delle sue lingue segrete non racchiuda un terribile significato. Nessuno può articolare una sillaba che non sia piena di tenerezze e di terrori; che non sia, in uno di quei linguaggi, il nome poderoso di un dio.)

 

Perciò, se il problema della prima coppia di testi era facilmente risolvibile perché basta analizzare l’universo per riconoscerne la struttura razionale, il problema della seconda coppia di testi non lo è altrettanto. Non è possibile sapere razionalmente e con certezza assoluta se il Logos appare perché esiste oggettivamente, o perché è solo soggettivamente in noi; se la “grammatica” dell’Universo possiede il senso che mostra, o se è soltanto un fenomenale dodici ai dadi del Big Bang. La ragione non è autofondante.

(È possibile questa conclusione possa essere suffragata anche dai teoremi di incompletezza di Gödel, per i quali – in estrema semplificazione – non si può dimostrare la coerenza di una teoria basandosi esclusivamente sulla teoria stessa; ma qui, poiché non conosco la matematica come la letteratura e la filosofia, non posso esprimermi con certezza.)

Come uscire, allora, da quest’impasse?

 

TO BE CONTINUED…