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Guidare col TomTom nel giardino dei sentieri che si biforcano

Da leggere e assaporare l’articolo di Diego Gabutti su Italia Oggi. Prendendo le mosse da un libro mezzo saggio storico e mezzo gioco ucronico (“La storia con i se. Dieci casi che potevano cambiare il corso del Novecento”) Gabutti sfotte di gusto Hegel, Benedetto Croce, lo storicismo e l’arroganza degli storicisti: cioè quella legione di pensatori tanto sicuri che la Storia è destinata ad andare proprio così e giammai cosà, perché le magnifiche sorti e il sol dell’avvenire e il progresso, signora mia, il progresso.
Lo leggo con piacere, approvo al 99% pressappoco, ma c’è un punto percentuale che mi stona: nel mazzo degli storicisti Gabutti – di cui ignoro la fede, e non capisco se un omonimo o il medesimo delle Altre ipotesi su Gesù (a naso direi il medesimo, lo stile di scrittura combacia) – ci butta dentro pure “le religioni, cristianesimo in testa” perché per esse la storia è “un treno in corsa verso le consolazioni e i castighi dell’aldilà”.

 Ma caro Gabutti, l’aldilà non è nella storia, è per definizione dall’altra parte! Rispetto alla storia è il post scriptum, il dopo i titoli di coda. L’aldilà arriva quando la storia è finita. Della fine della storia, al netto della simbologia apocalittica, sappiamo più meno che più: né il giorno né l’ora, né il come né il percome, appena il chi (tutti quanti) e il perché (entropia, se non altro). E su quello che ci sarà prima della fine, poi, un bel boh a forma di punto interrogativo. Di certo e sicuro c’è ben poco, solo che la Chiesa resisterà fino alla fine, per quanto – chiedendo Gesù retoricamente se troverà ancora la fede – sarà, probabilmente, ridotta al lumicino.
Proprio perché l’hegelismo e i suoi derivati, marxismo in testa, sono una religione rovesciata dove l’Uomo pretende di farsi dio, è lo storicismo ad essere la caricatura della provvidenza e non viceversa. La Provvidenza, quella vera, non è la Psicostoria di Asimov, dove un’equazione matematica determina quasi infallibilmente (evviva il Mulo!) il futuro di tutto quanto il fantastiliardo d’esseri umani della Galassia.
La volontà onnipotente di Dio deve arrangiarsi a fare i conti con il nostro libero arbitrio, e a chi dice che questa non è onnipotenza, rispondo che Dio è così onnipotente che può addirittura autolimitarsi: l’ha deciso, poteva farlo, l’ha fatto.

La Provvidenza è come un TomTom.
Tu guidi la tua vita e quella guida te, ha già mappato ogni percorso, tutto l’infinito dei compossibili, ogni assurdo universo, e ti vuole portare a destinazione nel miglior tragitto possibile. Poca benzina, minimo tempo, microscopica usura del mezzo: una pacchia, magari fosse.
Ma poi ci sono gli ostacoli. Trovi l’ingorgo. Distrattone, hai mancato la traversa giusta, dovevi girare di là e invece sei andato di qua. Oppure la vettura ha un sussulto di troppo e non avevi attaccato bene la ventosa e il TomTom si stacca e cade – quante volte m’è successo – ma ormai stai guidando e non puoi fermarti in mezzo al traffico né rischiare un incidente per raccoglierlo contorsionisticamente e allora pazienza, m’arrangio da solo, tanto ormai ho capito, la strada la so. Sì, sì, bravo, poi vedi. Oppure dici sai che c’è, ma chi l’ha detto che il TomTom ha ragione, perché mi devo fidare dei programmatori, che ne sanno loro, io voglio fare da solo l’esperienza, statti zitto fastidioso aggeggio ti spengo e la strada giusta la decido io, al limite chiedo a qualche tizio per strada che pare affidabile (si chiama Berlicche, ma questo non te lo dice).
Deviazione.
E il TomTom traccia un nuovo miglior percorso. Hai allungato un po’, ma se gli dai retta puoi ancora fare presto e bene. Ma non gli dai retta, o non riesci a sentirlo. Così altra deviazione. E poi ancora un’altra. Di nuovo. Di nuovo. Di nuovo. Ma come ho fatto ad arrivare all’autostrada? Ma all’inizio non avevo settato evita strade a pedaggio?
Paga.
Spia rossa. Devi fermarti e dire addio a un pregevole esemplare di architettura rinascimentale su sfondo arancione.
Paga.
Hai visto l’autovelox? No? Pazienza, lui ha visto te.
Pagherai.
Doveva essere il miglior percorso possibile, ti sembra di stare facendo la Parigi-Dakar.

Eppure il TomTom potrebbe ancora aiutarti. C’è ancora una via per arrivare dove volevi andare, forse non sarà breve e piacevole, ma è pur sempre il meglio che la geografia e la cartografia ti mettono a disposizione in questo stramaledetto, labirintico, multicentrico giardino dei sentieri che si biforcano.

E allora.
Che cos’è l’Incarnazione? Cosa sono il Natale, la Pasqua, la Pentecoste? Cos’è la Chiesa?
È Dio che dice, dopo il peccato originale:

“… RICALCOLO.”

tom tom ricalcolo


La magia e la stampella

LA MAGIA E LA STAMPELLA

 
 

Ogni tecnologia sufficientemente avanzata è indistinguibile dalla magia.

Arthur C. Clarke
 
Un tempo gli uomini dedicavano il proprio pensiero alle macchine, nella speranza che esse li avrebbero liberati. Ma questo consentì ad altri uomini di servirsi delle macchine per renderli schiavi. La Grande Rivolta ci ha liberati da una stampella. Ha costretto la mente umana a svilupparsi.

Frank Herbert, Dune

 
 
Leggo sul blog di Cecilia che sono state prodotte e vendute penne ergonomiche a misura di destrimani e mancini. Condivido le sue deplorazioni:
"invece di lasciar imparare alle mani dei bambini quello che sanno per loro natura fare, li si porta a disabituarsi ad ogni singola difficoltà. Così al momento di sostituire la matita firmata ed ergonomica (costosa) con una matita normale (chissà: alle superiori o addirittura entrando nel mondo del lavoro?), sembreranno e si sentiranno degli handicappati."
Mi sembrano considerazioni perfettamente ragionevoli, ma evidentemente non sono passate per la testa a chi ha creato quelle penne (o forse sì, ma se c’è da vendere, che ce frega…) e soprattutto a chi le ha comprate per i propri figli: la tecnologia esiste, ci semplifica la vita, dunque serviamocene e basta. Facile, tutto facile.
Troppo facile.
 
Se mai dovessi scrivere una storia della letteratura fantascientifica, ne dividerei gli autori tra quelli che considerano la tecnologia come una magia e quelli che la considerano come una stampella.
 
Chi la considera come una magia, ne vede solo l’aspetto di potere. Posso volare nello spazio, posso viaggiare nel tempo, posso fare questo, posso fare quello, posso fare tutto ciò che prima non potevo fare. Posso, posso, posso.
Il campione di questa rappresentazione potrebbe benissimo essere Arthur Clarke. Non ho letto moltissimo di suo (la quadrilogia di Odissee, Preludio allo spazio, La città e le stelle, Terra imperiale), ma vi ho sempre trovato una concezione della tecnologia praticamente soteriologica: zero religione + progresso scientifico + promiscuità sessuale = mondo quasi perfetto. Roba che manco i più positivisti degli illuministi settecenteschi, praticamente un Emanuele Severino solo meno incomprensibile.
 
Poi c’è chi considera la tecnologia come una stampella. Frank Herbert e la saga di Dune (più nei primi libri che in seguito), per dire, ma ci sono anche tanti racconti brevi di Isaac Asimov che esplicano il concetto. Qui ce n’è uno bellissimo, Nove volte sette, ambientato in un futuro in cui tutti hanno dimenticato come fare da soli le operazioni di matematica, anche una semplice tabellina, perché tanto ci sono le calcolatrici. Oppure vi consiglio Una così bella giornata, sull’abuso del teletrasporto tanto che nessuno esce più a piedi da casa, o La professione, in cui le nozioni tecniche necessarie alle mansioni professionali sono imprintate direttamente nel cervello e nessuno sa più imparare le cose da solo, o ancora Tutti i problemi del mondo, e così via.
(non è affatto raro trovare in Asimov una messa in guardia dall’ingenua illusione che il progresso scientifico sia sempre e comunque foriero di novità positive: vedi anche i racconti Diritto di voto e il mio preferito in assoluto, Il cronoscopio).

Insomma, avete capito. La tecnologia è come una stampella. Una stampella permette a chi è zoppo di camminare bene, e allora è un aiuto. Ma se camminare con le stampelle diventa così facile che tutti diventano incapaci di camminare senza stampelle, allora la stampella non è più un aiuto ma una droga, un qualcosa da cui siamo dipendenti. Così la tecnologia, invece di aumentare le nostre possibilità, le diminuisce. Dovevamo diventare più liberi, e invece siamo diventati schiavi.
 

Se avete problemi ai piedi, usate pure una stampella per deambulare. Ma state attenti a non riporre la vostra totale fiducia nella stampella e in chi ve la vende: c’è il rischio che non sappiate più camminare da soli.

 


There are more things

THERE ARE MORE THINGS

 

Volete sapere che cosa significa precisamente “scientismo”, e perché è  profondamente diverso dalla scienza (anche se pretende di essere l’unica vera forma di scienza)?
Volete sapere perché il razionalismo è irragionevole?
Volete sapere che cosa vuol dire una parola impressionante come metarazionalità?
Ho trovato un esempio ottimo, facile facile, per provare a spiegarlo.

***

Bisogna sapere che Isaac Asimov ha scritto non solo fantascienza, ma anche gialli: i racconti del Club dei Vedovi Neri, in cui un gruppo di amici si riunisce a cena per farsi raccontare da un ospite una storia che implica un mistero da risolvere. Gli amici discutono il caso e alla fine chi arriva alla soluzione è sempre il cameriere.
Nel racconto IL FATTORE OVVIO, l’ospite si presenta come uno studioso di parapsicologia, uno che esamina “quei fatti in cui sembra irrefutabile la presenza di qualcosa che non appartiene alle leggi conosciute dell’universo”, inevitabilmente suscitando la disapprovazione di quei gentiluomini che dichiarano testualmente “crediamo tutti nella razionalità”. L’ospite allora lancia la sua provocazione e li sfida a trovare una spiegazione razionale per spiegare il caso di una ragazza chiaroveggente che aveva previsto un incendio accidentale. Tutte le ipotesi possibili, dalla coincidenza alla truffa, sono respinte. Alla fine sembra quasi che i razionalisti siano sconfitti, ma ecco che si fa avanti come al solito il cameriere, il quale fa notare che c’è ancora un fattore che non è stato considerato anche se era ovvio, e afferma serafico:
“Da quando ha cominciato a raccontarci della ragazza chiaroveggente e dell’incendio, ogni sua parola ha reso più evidente che qualsiasi trucco era impossibile e che vi è stato un caso di chiaroveggenza. Se, tuttavia, la chiaroveggenza non esiste, ne deriva necessariamente, professore, che lei ha mentito”.
Ed ecco che, ma guarda un po’, l’ospite scoppia a ridere e ammette tranquillamente di aver mentito davvero, erano tutte fandonie, voleva vedere se i bravi razionalisti sotto sotto cercavano il brivido dell’occulto. Che simpatico. E quando chiede al cameriere come ha fatto a capire, la risposta che conclude il racconto è assolutamente degna di nota:

“Nel 1807 il professor Benjamin Silliman dell’Università di Yale riferì di aver osservato la caduta di un meteorite, in un’epoca in cui l’esistenza dei meteoriti non era accettata dagli scienziati. Thomas Jefferson, un razionalista di enorme talento ed intelligenza, sentito il rapporto disse: Sono più disposto a credere che un professore yankee dica una menzogna anziché alla caduta di una pietra dal cielo’.”
“Sì, ma Jefferson era in errore. Silliman non aveva mentito e le pietre cadevano dal cielo.”
“Esatto”, disse Henry, imperturbabile. “La sua frase è ricordata appunto per questo. Ma considerato il gran numero di volte in cui sono state riferite cose impossibili e le scarse occasioni in cui sono state provate, ho avuto la sensazione che, dopo tutto, le probabilità erano a mio favore.”

E tanto per non lasciare dubbi, Asimov conclude con una postilla ugualmente notevole:

Spero che nessun lettore giudichi “sleale” la soluzione di questo racconto. Un gran numero di rapporti su fenomeni non convenzionali, nella vita reale, sono il risultato di deviazioni dalla verità, sia volontarie che involontarie. E sono stanco fino alla nausea di misteri che portano alla vaga indicazione che, dopo tutto, sia veramente accaduto qualcosa di soprannaturale.
A mio parere, quando abbiamo eliminato tutto l’impossibile e ciò che resta è soprannaturale, vuol dire che qualcuno sta mentendo. Se questa è slealtà, regolatevi come meglio credete.

***

E allora, vedete che cos’è lo scientismo? Eccolo qui: scientista è chi fa della scienza, la sua scienza (quella del suo tempo, del suo cervello, del suo habitat culturale), un’ideologia; come in ogni ideologia, ci si rifiuta di considerare tutta la realtà nella sua interezza e si chiudono volontariamente gli occhi pur di non vedere quei dati che potrebbero scuotere i propri *dogmi*. L’errore di fondo dello scientismo è l’orgoglio: se IO non posso capire una cosa, allora quella cosa non esiste, non può esistere.
Ed ecco perché il razionalismo, inteso come il considerare la ragione l’unico mezzo per conoscere l’universo, è irragionevole. Forse è esagerato dire che è irrazionale, perché il razionalista entro certi limiti usa appunto la ragione; ma il suo problema è che si rifiuta di andare oltre quei limiti, e di considerare come anche solo eventualmente possibile tutto ciò che ne esula. Eppure è proprio la storia del progresso della ragione, che spinge sempre un po’ più in là il limite di ciò che è spiegabile, a dimostrare che l’impossibile di ieri può sempre diventare il possibile di domani, e perciò è ragionevole pensare che ci sia ancora qualcosa oltre il nostro limite, mentre è irragionevole negarlo.
Colui che usa pienamente la ragione è dunque colui che sa che c’è qualcosa oltre la ragione. Per dire “oltre” in greco si usa il prefisso “meta-”: la metarazionalità è la razionalità disposta a considerare ciò che c’è oltre. Il cristianesimo è una metarazionalità, perché usa la ragione e poi usa la fede e poi ancora usa la ragione per ragionare sulle cose di fede e confrontarle con i dati dell’esperienza.

Volete una dimostrazione di quanto siano pericolosi lo scientismo e il razionalismo? Ce la fornisce lo stesso Asimov, che era evidentemente uno scientista e un razionalista, a tal punto da non essersi neanche reso conto di aver usato per difendere il razionalismo un esempio che ne è forse la miglior confutazione che si possa immaginare: se Jefferson ha veramente detto quella frase (ma la veridicità dell’aneddoto è dubbia), allora questo “razionalista di enorme talento ed intelligenza” aveva clamorosamente torto, perché oggi sappiamo che le pietre che cadono dal cielo ci sono davvero.
Anzi: la storia dei meteoriti, e di quanto ci sia voluto affinchè la maggior parte degli scienziati ne accettasse l’esistenza, è assolutamente esemplare per capire quanto poco lo scientismo sia davvero scienza e quanto anzi sia dannoso alla scienza stessa. Ve la racconto brevemente.
Fino a circa due secoli fa, l’esistenza dei meteoriti era esclusa nel modo più assoluto e le testimonianze di contemporanei o di fonti storiche, come il meteorite di Ensisheim (ricordata più che altro per le sue implicazioni politiche), erano considerate inattendibili e frutto di superstizioni medievali. Ma dai, come possono esserci delle pietre volanti? Non è forse un’assurdità in contrasto con la legge di gravità e l’intera fisica newtoniana? I meteoriti erano scientificamente inspiegabili, dunque impossibili. Nel 1768 Antoine Lavoisier esaminò un meteorite caduto in un villaggio francese e concluse che si trattava sicuramente di una pietra terrestre colpita da un fulmine; si dice che nel suo rapporto per l’Accademia delle scienze di Parigi abbia dichiarato testualmente “una pietra non può cadere dal cielo, poiché non ci sono pietre nel cielo” (ma la frase è dubbia, uno perché citata in varianti diverse, due perché non ne ho trovato menzione all’infuori di siti apertamente ostili a tutta la scienza ufficiale; non avendo trovato in rete la relazione ufficiale, è possibile che la frase sia una falsa citazione creata apposta per mettere in cattiva luce Lavoisier e poi tramandata da credulone a credulone).
Il primo scienziato noto che abbia preso seriamente in considerazione la cosa fu Franz Güssman, professore di storia naturale a Vienna, e incidentalmente anche gesuita (ma che strano!), che nel 1785 scrisse il Lithophylacium Mitisianum nel quale sostenne la possibilità che minerali e metalli potessero cadere dal cielo; quasi nessuno gli diede attenzione. Nel 1794 Ernst Florenz Friedrich Chladni, un altro scienziato tedesco, pubblicò Sull’origine del ferro di Pallas ed espose la sua teoria sull’origine extraterrestre dei meteoriti; il suo libro sollevò un acceso dibattito. Solo nel 1803, quando Jean Baptist Biot esaminò uno sciame di meteoriti e ne dimostrò chimicamente l’origine extraterrestre, la comunità scientifica cominciò a cambiare idea, anche se il cambiamento non fu improvviso. La frase che Jefferson avrebbe pronunciato nel 1807, anche se pare non essere vera, era comunque verosimile (altrimenti l’aneddoto non si sarebbe diffuso) e testimonia il clima culturale del tempo. Nel XIX secolo la scienza ufficiale approfondì la conoscenza dei meteoriti e gli scettici restarono sempre più in minoranza, finché nel 1908 l’asteroide che polverizzò Tunguska eliminò una volta per tutte ogni margine d’incertezza. Ma a quell’epoca la meteoritica era già una branca scientifica ufficiale a cui si erano dedicati molti naturalisti (tra cui l’abate Ambrogio Soldani, toh, un altro religioso); comunque, moltissimi hanno attribuito a Chladni la priorità della teoria dei meteoriti, trascurando il contributo apportato dal gesuita Güssman. Chissà perché.

Volendo, si potrebbero descrivere molti altri casi – pensate a  Galileo: a informarsi seriamente, senza accontentarsi della solita vulgata superficiale, si scopre che i suoi guai scienziato iniziarono non con la Chiesa ma con gli scientisti che non erano disposti a mettere in discussione la fisica tolemaico-aristotelica – ma spero che il concetto sia chiaro.
Lo sbaglio dei razionalisti alla Jefferson non fu tanto di non credere all’esistenza delle pietre volanti, quanto di credere *dogmaticamente* alla loro non esistenza solo perché non riuscivano a spiegarla. Se questa mentalità scientista non fosse stata così radicata, la meteoritica avrebbe potuto nascere molto prima e l’astronomia ne avrebbe tratto enormi vantaggi. La Chiesa del ‘600 sbagliò a intervenire come fece nella vicenda galileiana, ma i primi a sbagliare e dare il via al disastro furono gli scientisti ostinatamente attaccati al loro indiscutibile aristotele.
MA allora perché, mentre è abituale sentire lamentele su quanto la religione abbia rallentato il progresso della conoscenza, non si deplora con la stessa frequenza la zavorra dello scientismo?

Torniamo ad Asimov: il ragionamento del cameriere, nonché l’annotazione conclusiva dell’autore, sono un perfetto esempio di scientismo. Tutti gli indizi puntano al fatto che sia successo qualcosa che non possiamo spiegare scientificamente; ma poiché questo non può essere (*dogma* scientista), allora qualcuno sta mentendo. Il protagonista del racconto ne esce vincitore perché ovviamente Asimov, che è l’autore della storia e scrive quel che gli pare, gli mette di fronte un interlocutore che stava mentendo davvero. Ma se invece il professore avesse insistito a confermare la storia della ragazza chiaroveggente? E se invece il cameriere si fosse trovato di fronte, per esempio, a un testimone del miracolo del sole? Che avrebbe fatto allora? Avrebbe continuato a insistere dicendo che tutte quelle centinaia di persone mentivano, compresi gli anticlericali e gli atei? Si sarebbe rifiutato di ascoltarli?
Se fosse stato egli stesso presente, avrebbe chiuso gli occhi per non vedere?

***

Lo scientista odia l’idea che possa esistere qualcosa che lui non è capace di spiegare: il suo motto ideale è la settima asserzione di Wittgensteinsu ciò di cui non si può parlare si deve tacere”.
Ma il vero uomo di scienza non è colui che rifiuta tutti i fenomeni razionalmente inspiegabili, bensì colui che non ne nega a priori l’esistenza, ed è disposto a prenderli in considerazione se a tanto lo porta l’esperienza personale – o la ragionevole fiducia in qualcun altro che glieli racconta. Forse un giorno questi fenomeni diventeranno scientificamente spiegabili; o forse resteranno per sempre al di là della nostra portata, segno e memento per l’uomo che nell’universo operano forze di ordine superiore all’universo. Il vero uomo di scienza dovrebbe sempre tenere a mente quello che Shakespeare fa dire ad Amleto:


“There are more things in heaven and earth, Horatio, Than are dreamt of in your philosophy.”
(“Ci sono più cose in cielo e in terra, Orazio, di quante ne sogni la tua filosofia.”)


La libertà del male

La libertà del male

 

 

Le Tre Leggi della robotica, come sa chi ha letto i racconti di Isaac Asimov sull’argomento, sono codificate nel cervello positronico dei robot e ne regolano la condotta. Un robot non può mai violare queste leggi: può semmai darne un’applicazione che non era quella prevista dai suoi costruttori, ed è di solito da questa possibilità che nei racconti di Asimov sorgono i problemi che innescano il meccanismo narrativo, ma non potrà mai e poi mai infrangere le Tre Leggi (alcuni robot particolarmente evoluti ricavano per estrapolazione anche la cosiddetta Legge Zero, simile alla Prima Legge ma riferita all’umanità nel suo complesso, ma questo è un altro discorso). Insomma, un robot non è libero.

L’essere umano, invece, è tutt’altra faccenda.

 

Mi si chiede un parere sul passato della Chiesa, sugli errori ed orrori che ne hanno funestato la storia. Ma su questo argomento, al di là di questo e quell’episodio controverso, c’è un problema preliminare da risolvere. Io non sono riluttante ad ammettere con amarezza le pagine nere della storia cattolica, ove si sono effettivamente verificate; però non posso fare a meno di notare come tante volte la vulgata corrente sia impregnata di imprecisioni, inesattezze, supposizioni spacciate per certezze, ed anche panzane colossali. Troppe volte sento o leggo discorsi superficiali e pressappochisti, che oggi possiamo definire con un felice neologismo danbrownate. Molte persone dalla sensibilità anticattolica si scagliano contro la credulità che i credenti avrebbero verso la Bibbia, ma allo stesso tempo riservano questa stessa credulità verso qualche “leggenda nera” che prendono per oro colato: Galileo, i “milioni di vittime” dell’Inquisizione, eccetera…

Comunque, al netto di tutte le leggende nere da sfatare, è innegabile che in circa due millenni sono successe tante cose riprovevoli. Certo, è un po’ singolare che sovente le critiche vengano da chi supporta ideologie che hanno la coscienza molto più sporca, ma dopotutto le colpe altrui non cancellano le proprie. Mi si replica, però, che questi partiti e queste ideologie non accampavano alcuna autorità divina: invece la Chiesa lo fa, e se nella sua storia non mancano il male e l’ingiustizia, come può allora esserci Dio a capo di tutta la baracca?

Questo ci riporta alla questione del libero arbitrio, il dono che Dio fa all’uomo fin nei suoi esiti più radicali, fino alla libertà del male. Il diritto naturale, i dieci comandamenti, i precetti evangelici, il catechismo: queste leggi morali non sono le Tre Leggi della Robotica. Dio ci ha dato le “istruzioni” per il bene, ma non ci ha tolto la possibilità di disattenderle. Entrare col battesimo nella comunità cattolica non ci rende automi telecomandati dallo Spirito Santo. La grazia divina ci dà la possibilità di ascendere a grandi altezze di bontà, ma non ci toglie la libertà di precipitare in abissi di cattiveria. Siamo liberi, e se questo ci dà la responsabilità del male che compiamo, dà anche più valore al bene che facciamo. Nessuna discussione sulla storia della Chiesa può arrivare ad una conclusione positiva e condivisa, se prima non si ammette il valore del libero arbitrio.

 

Se qualche genitore sta leggendo questa discussione, colgo l’occasone per porre un quesito interessante. Se aveste la possibilità di sottoporre i vostri figli ad un’operazione di lobotomia che avesse come unico effetto quello di privarli della libertà di comportarsi male, lo fareste? Niente vetri rotti, niente bugie, niente capricci, niente di tutto quello che non vi piace. Qualcuno lo farebbe?