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L’amore è un apostrofo rosa tra le parole “ti lascio”

Commento velocemente, in pochi minuti strappati a molte cose da fare nella vita offline, un fatto marginale ma non insignificante, segno dei tempi.

Scopro casualmente l’esistenza del libro “101 modi per dimenticare il tuo ex e trovarne subito un altro”, di Federica Bosco, Newton Compton 2011. Quarta di copertina:

 Quando una storia finisce male, sul campo non restano che macerie, fumo, ambulanze e un ferito grave: quello che è stato colpito dalla granata. L’altro è già scappato lontano. Se solo ci fosse un modo per smettere di soffrire a comando, se bastasse una parola magica per tornare indietro e lasciarlo prima che ti lasci lui… Ma chiuderti in te stessa non serve, non lo farà tornare e non ti farà star meglio: l’unico modo per sconfiggere il dolore è reagire. […]E infine, la terapia d’attacco: un insieme di idee per rifare il look alla tua vita, riconquistare la fiducia in te stessa ed essere pronta a un nuovo amore.”

 Fate attenzione al titolo del libro: potenza del linguaggio, una sola lettera è decisiva per il significato.

 Se il titolo fosse “dimenticare il tuo ex e trovare subito un altro”, l’aggettivo “altro” sottintenderebbe un sostantivo pacificamente ovvio: altro fidanzato, marito, compagno, uomo purchessia.
Invece, in “dimenticare il tuo ex e trovarne subito un altro”, per quella n di troppo trovarne = verbo trovare + particella ne, riferita alla parola ex. Perciò è proprio a questa parola che si lega l’aggettivo “altro”.
La parola ex, mi conferma lo Zanichelli, ha funzione sia di aggettivo sia di sostantivo. Quest’ultimo è il caso dell’accezione sentimentale, il mio ex, la mia ex, la persona con cui è terminato un rapporto amoroso.
Crudele morfosintassi: per com’è scritto, il titolo significa “trovare un altro ex”. Il che, considerato il target del libro, è tragicomico.
Sventurata pulzella, non farti illusioni: anche il prossimo tizio ti lascerà, o tu lascerai lui, o vi lascerete consensualmente, insomma finirà pure il prossimo giro di valzer.
L’amore è a tempo determinato, questo il sottinteso postulato.

Tre possibilità. La prima è che chi ha deciso il titolo del libro non padroneggiasse perfettamente la grammatica e non si fosse reso conto delle implicazioni semantiche. L’idea è triste, la Newton Compton è la mia casa editrice preferita, saperla ricettacolo di redattori incompetenti mi addolora.
La seconda è un lapsus freudiano, possibile, comunque ricordate che Freud è soltanto un simbolo fallico.
La terza è che colui o colei se ne rendesse conto, e che il titolo sia voluto proprio così per chissà quali motivi (autoironici?), forse nel libro sono spiegati, per saperlo dovrei leggerlo ma non ho voglia.

Non voglio lanciare facili giudizi derisori sul libro, magari è pure ben scritto, non è questo il punto.
È solo un piccolo aneddoto, ma rende bene l’immagine di una società ormai, più che “liquida” alla Zygmunt Baumant, direi evaporata proprio nel senso cinetico del termine: singoli che si accoppiano e si disaccoppiano in rapida successione, non ci sono più legami (al limite solo “lègami”, nel senso del gioco erotico), gli individui come molecole in perenne moto browniano sentimental-sessuale.

Riccardo Ruggeri, un pensatore che giudico molto saggio, qualche settimana fa, commentando questo modello di «singoli apolidi politicamente corretti, concentrati su loro stessi nel consumare la vita, intesa solo come soddisfazione e piacere» informava i lettori di una nuova frontiera della società liquida:

gli avanguardisti californiani hanno innovato uno degli istituti più antichi: il testamento. In California, questi prototipi umani avanzati sono detti «Skier» (Spending the kids’ inheritance; spendono l’eredità dei figlioletti). Semplicemente dilapidano tutti i risparmi della Famiglia, mobili e immobili. Certo, se sbagliano la programmazione sono spacciati: o diventano barboni, o si affidano all’eutanasia statale o parastatale, o si suicidano all’antica. […]

Una società di monadi, in fuga dal passato, avide di presente, senza futuro.
L’amore è diventato un apostrofo rosa tra le parole “ti lascio” (al verde?).

La morale di questo post è che bisogna prestare attenzione ai titoli e alla grammatica.
Infatti, qualcuno avrà già notato qualcosa di strano nel titolo del post: come fa l’amore ad essere l’apostrofo in “ti lascio” se, tra queste due parole, non c’è nessun apostrofo?

Appunto.


God bless America

Omne regnum divisum contra se, desolabitur

 E sì, nonostante le recenti brutte notizie.
Non sono un particolare conoscitore di cose d’oltreoceano, ma a me il cattolicesimo americano sembra anni luce più vitale e fortificato di quello italiano. Nonostante il contesto difficile, o forse proprio a causa di esso.
Traduco questo breve articolo della CNA (Catholic News Agency):

L’Arcidiocesi di Boston ha confermato che non permetterà ad un prete austriaco di tenere una conferenza nella proprietà vescovile, a causa delle sue opinioni che dissentono dall’insegnamento cattolico.
“È la politica dell’Arcidiocesi, e la pratica generalmente accettata nelle diocesi di questo paese, di non permettere alle persone di tenere conferenze in parrocchie cattoliche o comunque durante eventi legati alla Chiesa, se queste persone promuovono posizioni che sono contrarie all’insegnamento cattolico” ha affermato il portavoce Terrance Donilon in una dichiarazione rilasciata alla C.N.A.

Padre Helmut Schüller, che intendeva parlare alla Parrocchia di Santa Susanna di Dedham il 17 giugno, è il fondatore della “Iniziativa dei Parroci Austriaci”, un gruppo fondato nel 2006 che invoca l’eliminazione del celibato per i preti, l’ordinazione delle donne, e altre cose contrarie alla dottrina cattolica.
A questo scopo,
Schüller ha invocato una “chiamata alla disobbedienza” – ovvero il rifiuto di accettare i principi fondamentali della fede cattolica – per “riformare” la Sposa di Cristo.

Il Vescovo Ausiliario di Boston, Mons. Walter Edyvean, la scorsa settimana ha contattato la Parrocchia di Santa Susanna per notificarle che il Cardinale O’Malley [tra i papabili all’ultimo conclave, NdC] non avrebbe permesso al prete di parlare “in nessuna parrocchia cattolica, perché espone convinzioni che sono contrarie agli insegnamenti della Chiesa Cattolica”, come ha riportato il National Catholic Reporter il 24 giugno.

Tra le organizzazioni che sponsorizzano il tour di Schüller, denominato “Il punto critico cattolico”, ci sono Conferenza per l’Ordinazione delle donne e Chiesa Futura. Entrambe promuovono iniziative contrarie agli insegnamenti cattolici.
Il tour di questo prete si terrà dal 16 luglio al 6 agosto e include fermate a New York City, Baltimora, Detroit, Denver e Los Angeles. Tutte le tappe eccetto Detroit avranno luogo in locali messi a disposizione da chiese protestanti [chissà come mai?, Ndc].
Al momento di pubblicazione di questo articolo, Padre 
Schüller è ancora atteso per parlare nella parrocchia di San Simone e Giuda, nella città di Westland (Detroit), il 26 luglio.

Padre Schüller precedentemente è stato il direttore della Caritas austriaca e il vicario generale dell’Arcidiocesi di Vienna fino al 1999, quando è stato licenziato dal Cardinale  Christoph Schönborn. Nel 2012, il Vaticano ha revocato il suo titolo di monsignore.

 O’Malley got balls.
Mica si mette paura delle campagne stampa di Repubblica (o il New York Times, stesso livello).

In Italia, invece, abbiamo le filosofe abortiste che sono invitate al festival biblico e i preti eretici che hanno gli onori funebri dal capo dei vescovi…


Donna, perchè piangi?

Ammiravo profondamente il cardinale Joseph Ratzinger, l’autore della Dominus Iesus; ho ammirato ancor di più il pontefice Benedetto XVI. Non credevo che questi sentimenti sarebbero significativamente cambiati.
Ebbene, oggi…

… lo ammiro ancora di più. Più di prima. Più che mai.

Mi colpiscono tre reazioni diverse alla notizia, tre sentimenti, tre atteggiamenti quasi antropologici: l’esultanza, lo scandalo, la tristezza.
In forme diverse, ne capisco le ragioni, ma non le condivido in alcun modo.

 

Comprensibile la gioia dei nemici della Chiesa, controprova che il Papa ha sempre fatto bene il suo mestiere: per loro (s’illudono) è un pericoloso avversario in meno. Casomai ci sarebbe stato da farsi domande se gli avessero detto, no, non te ne andare. Sono capitato sul sito di Liberazione e ho visto che in homepage hanno titolato “il papa si arrende”. Non ne sono sorpreso.
Illusi, ancora una volta, non capiscono la differenza tra la resa e il sacrificio. Non sanno che i santi, pure quando stanno da qualche parte in clausura zitti a pregare, pure quando muoiono, continuano a combattere il male; forse anche più efficacemente di prima.

 

Comprensibile anche lo scandalo di chi pensa al duro giudizio di Dante sul gran rifiuto, chi fa il paragone con la croce che Giovanni Paolo II portò nei suoi ultimi anni. Ma per favore, non esagerate. Certi stracciamenti di vesti, certe recriminazioni contro il tradimento, il pastore vigliacco che fugge davanti ai lupi, sono decisamente fuori luogo.
Il paragone con Celestino V, o il papa cinematografico di Nanni Moretti, non regge. Quelli hanno lasciato nel pieno delle loro forze, all’inizio della loro missione, per paura confessata. Benedetto XVI ha dato tutto sé stesso in quasi otto anni di lotte contro i lupi, fuori e dentro la Chiesa (soprattutto dentro). Nel suo gesto non vedo la fuga del disertore; vedo invece la saggezza del re stanco, ma libero dalle catene dell’orgoglio e del potere, che per il bene superiore affida il trono a mani ormai più capaci delle sue.
Giovanni Paolo II fece una scelta diversa. Papa fino alla fine, papa sofferente, muto, infermo di salute ma fermo nella fede. Una testimonianza di dignità nella malattia di cui questo mondo, innamorato dell’eugenetica e del mito della vita degna di essere vissuta, immemore delle cause che portarono all’orrore di un secolo fa, aveva estremo bisogno. Fu una scelta santa, ma il prezzo da pagare fu l’amministrazione petrina lasciata de facto a mani che non sempre sapevano o volevano far bene, la barca sbandante con un timoniere troppo debole per correggere gli errori di rotta.
Ecco, io credo la scelta di Benedetto XVI sia dovuta principalmente al fatto che da cardinale vide da vicino questo rovescio della medaglia, i danni che provocò o avrebbe potuto provocare, e che abbia deciso che in questo frangente la Chiesa non può permetterselo di nuovo.
C’è un tempo per ogni cosa; c’è un tempo per un Papa malato e stanco, e un tempo per un Papa forte e vigoroso.
Questi, purtroppo, non sono tempi da Papi stanchi.

 

Comprensibile, più di tutto, la tristezza di chi dice “ci mancherà”.
È vero. Ci mancherà.
Ma, detto brutalmente, prima o poi sarebbe morto comunque; forse dopo anni di malattia, che grazie alla sua saggezza non diventeranno anni di pseudo-governo inflitti a una Chiesa che ha estremo bisogno di veri pastori.
Nessun Papa è eterno; solo lo Spirito Santo lo è. Il miglior commento che abbia letto a questa vicenda? “La Chiesa si rinnova sempre, rinasce sempre. Il futuro è nostro.
E poi, perché dobbiamo piangere chi sarà per sempre vivo?


Io non piango per la fine di Benedetto XVI. Invece lo ringrazio commosso per questi anni che ci ha dato, per il suo coraggio, la sua intelligenza, il suo sacrificio.

Non è tempo di piangere.

È tempo di pregare.

Conclave is coming


Oh oh oh

Caro Babbo Natale.

 “Caro” fino a un certo punto, in effetti. Diciamocelo, mi stai un po’ antipatico, avendo scippato il Natale a Gesù bambino. Ma in effetti non è colpa tua, tu eri partito col piede giusto, vestito da San Nicola e tutto il resto, fai pure la guest star nel primo libro delle Cronache di Narnia.
Comunque.

La quarta regola per far funzionare le relazioni sentimentali tra bloggers è che, se lui o lei lancia un meme, lei o lui ha l’obbligo grave di raccoglierlo.
Così, alla tenera età di x anni, mi sono trovato a doverti scrivere per la prima volta una lettera. E sono giorni, settimane, eoni che mi torturo chiedendomi cosa chiederti.
Ma, onestamente, non è che mi serva granché al momento. I regali sono abituato ad apprezzarli, ma non a chiederli. Veri bisogni materiali al momento non ne ho, sono abituato a stare bene con poco.
Mumble mumble.

Idea!

Ecco una cosa che mi servirebbe, che potrebbe salvarmi la vita essermi di qualche utilità.
Ho deciso.
Caro Babbo Natale, per favore, ecco cosa ti chiedo di farmi trovare sotto l’albero:

 

Manuale di sopravvivenza domestica

Manuale di sopravvivenza domestica

 Con il pratico traduttore allegato “quello che lei (non) dice = quello che lei intende”.

Lo so, è un po’ grandicello. Spero che tu riesca a farlo entrare nella slitta. Spero che le renne non stramazzino a mezz’aria per lo sforzo, costrigendoti a un atterraggio d’emergenza.

 Caro Babbo Natale.
Aiutami.

P.S. Un’altra cosa che ti vorrei chiedere sarebbe un buon Natale per tutti i lettori di questo blog. Ma questo, poverino, mica puoi darmelo tu.
Qualcun altro, ci vuole.


Lo dicono loro

Chissà se, quando se ne sono accorti, qualche testa è lavorativamente rotolata giù dalle scale degli uffici di Amazon.


Qualcuno dovrà pur dirlo

Il cardinale Martini è morto.
Malato di Parkinson, alla fine ha rifiutato cure inutili, il che secondo il catechismo è lecito. I soliti noti adesso stanno sfruttando questa vicenda, confondendo ad arte il rifiuto dell’accanimento terapeutico con l’eutanasia.
Martini, essendo morto, non può certo smentire chi lo sta usando per attaccare la Chiesa.

Ma perché, da vivo l’avrebbe fatto?


Totale, non totalitario (1)

Chi non è con me, è contro di me
Mt 12, 30; Lc 11, 23

O con noi o contro di noi
slogan fascista

 Nel precedente post ho citato un brano dove lo scrittore David Foster Wallace diceva che nella vita quotidiana non ci sono atei: o si adora un dio, o si adora un idolo.
Questo perché l’uomo è religioso per natura, cioè ha nel cuore un inestirpabile desiderio di infinito. Quando però questo desiderio infinito rifiuta il trascendente e si rivolge verso un qualcosa che invece è finito, ecco l’idolatria: una qualche droga, il piacere sessuale, la bella sensazione dell’essere ricchi, potenti, intelligenti, superiori agli altri. Non possiamo farne a meno, ne vogliamo sempre di più, non ne avremo mai abbastanza. Il piacere non dà la felicità.
Voglio osservare che non tutti questi piaceri sono intrinsecamente malvagi, anzi molti di essi sono di per sé naturali e legittimi. Lasciamo stare l’esempio del sesso che è un argomento così trito e ritrito da far scendere il latte alle ginocchia, prendiamo per esempio l’intelligenza. Se pensiamo di stare ben messi a cervello, è normale esserne contenti. Sia che lo consideriamo un dono divino o un terno alla lotteria genetica o una qualità che abbiamo faticosamente sviluppato con tanta applicazione, abbiamo il diritto morale di essere contenti della nostra perspicacia e v@ff## a tutta la sbobba retorica postsessantottina pseudoegualitarista antimeritocratica che ha soffocato nella culla scolastica migliaia di talenti. Ma se vi sentite intelligenti e mi state leggendo, allora immagino che anche voi abbiate sbirciato nel Lato Oscuro: il piacere di essere intelligenti diventa troppo facilmente il piacere di essere più intelligenti degli altri. Più loro sono stupidi, più noi siamo furbi. Nessuno può permettersi di farci fessi. Dobbiamo sempre mostrare di sapere le cose, mai ammettere l’ignoranza, mai ammettere un errore, anche a costo di mentire e manipolare. Non possiamo accettare che la nostra intelligenza abbia dei limiti: dobbiamo sapere tutto, oppure fingere di saperlo; dobbiamo capire tutto, e se non possiamo capire qualcosa, allora è perché non c’è nulla da capire. Incontrare qualcuno che è più intelligente di noi sarà uno choc, offesa al nostro orgoglio, cibo per la nostra invidia. Colpisci quel bastardo. Rimettilo al suo posto, sotto di te. Così.
Ecco allora che abbiamo smesso di adoperare l’intelligenza e abbiamo cominciato ad adorarla, trasformando una facoltà che era positiva in una cosa corrotta, chiedendole infinitamente più di quanto possa darci.
Un idolo è qualcosa di finito che è stato gonfiato oltre i suoi limiti.
Il mondo ne è pieno.

 

L’idolo, come Dio ma in un modo diverso da Dio (e nel prossimo post spiegherò perché), è geloso. Non puoi adorare nient’altro. Si possono coltivare nella propria vita uno o più vizi, come il sesso e il potere, ma quando si arriva al dunque uno dei due cede di fronte al vero idolo, come in quel proverbio mafioso “è meglio comandare che fottere”.
C’è un aggettivo che di solito è associato a un tipo particolare di idolo, ma che va bene anche per tutti gli altri. L’aggettivo è totalitario e descrive lo Stato fascista, nazista, comunista, insomma hegeliano: lo Stato che si fa dio in terra, che pretende di essere tutto per tutti, la fonte e il metro di ogni aspetto del reale. In epigrafe ho citato lo slogan fascista che avete letto, ma in quella pagina di wiki ce ne sono altri che fanno scorrere un brivido lungo la schiena, del tipo “Dio e Patria. Ogni altro affetto, ogni altro dovere vien dopo” oppure “Tutto nello Stato, niente al di fuori dello Stato, nulla contro lo Stato”. Idolatria, insomma, in questo caso statolatria. Mi ha sempre inquietato il titolo di quella tediosissima conferenza cui il protagonista di 1984 è costretto ad assistere: Il socing in rapporto al gioco degli scacchi. Nel superstato di Oceania, un povero cristo non può neppure farsi una partita a scacchi senza dover pensare al Grande Fratello: nulla ha valore in sé, tutto ha valore solo in quanto relazionato all’idolo.
Sennonché, naturalmente, la brama totalitaria dello Stato hegeliano è una grossa bugia: lo Stato non può esaurire la realtà, perché l’uno è contenuto nell’altra e non viceversa. E allora la sua pretesa di essere tutto per tutti, in verità, non è altro che la pretesa di ridurre tutto e tutti alla sua misura limitata. Una cosa piccola, creata da uomini piccoli che si illudono di essere grandi. Nani che cercano di calpestare un gigante.
E questo vale per ogni altro idolo. Quando siamo schiavi di un vizio da cui desideriamo un piacere infinito, finiremo per subordinare ad esso ogni aspetto della nostra vita, e non sarà mai abbastanza; e alla fine l’idolo gonfio e tronfio e totalitario ci mangerà vivi.

 

Ora, se pensate che queste siano cattive notizie, reggetevi: ne ho una peggiore.
Tutto
è idolatrabile. Non esiste qualcosa che sia al riparo dalla nostra capacità corruttiva. Ebbene sì, neppure l’amore. L’amore che un altro essere umano ha per noi è idolatrabile, vedi qui per spiegazioni. L’amore che noi abbiamo per gli altri è idolatrabile: li aiutiamo, facciamo tante cose buone, ma non lo facciamo per loro bensì per sentirci meglio, e noi dobbiamo essere buoni, e gli altri non possono rifiutare la nostra bontà, non hanno il diritto di rifiutare il nostro affetto, dovranno sempre avere bisogno del nostro supporto, e noi avremo sempre bisogno che loro abbiano bisogno di noi, ed ecco che l’amore è diventato egoismo riflesso in uno specchio oscuro.
Allora uno si domanda: Dio è idolatrabile?
Ovvero: il cristianesimo è (può essere) totalitario?
Quando Gesù dice chi non è con me è contro di me, sta dicendo la stessa cosa che dicevano i fascisti? Oppure il senso è diverso? E in che cosa di preciso sarebbe diverso?

 

La risposta, diciamo, è NI.
Dio in sé non è idolatrabile, perché chiede una forma di adorazione diversa da quella dell’idolo; ma il guaio è che l’uomo, quando concentra la sua attenzione soltanto su un aspetto e tralascia il resto (cioè quando amputa l’infinità divina e ne prende soltanto una parte, limitandola), ne fa sostanzialmente un idolo. Lo chiama Dio, o Gesù, o con altri nomi altisonanti, ma in verità è soltanto un altro idolo, proprio perché ha (nella sua testa) reso finito ciò che era infinito.
Prendi soltanto il potere di Dio, e avrai la teocrazia. Pretenderai di comandare su tutti in suo nome, e nessun onore e nessun potere sarà mai abbastanza, e ogni cosa che non sia portata ai suoi piedi (ovvero ai tuoi) sarà sacrilega.
Prendi soltanto la giustizia di Dio, e avrai il moralismo. Ogni peccato dovrà essere punito e ogni peccatore dovrà essere condannato. E siccome tu stesso non potrai evitare di commettere peccati, dovrai stare molto attento a che non si sappiano in giro, e diventerai un ipocrita; e sarai tanto più indulgente in privato con le tue proprie mancanze, quanto più sarai severo in pubblico con quelle altrui.
Prendi soltanto la misericordia di Dio, e avrai una cosa che oggi passa sotto molte etichette – lassismo, relativismo, ecumenismo, apertura al mondo, eccetera eccetera. Tutto deve essere perdonato; anzi, nulla deve essere perdonato, perché non c’è più nulla per cui chiedere perdono. Possiamo fare tutto quello che vogliamo, basta che lo facciamo in buona fede, o almeno che ci autoconvinciamo di esserlo. Basta che c’è l’amore e tutto va bene: a chi crede che le foglie sono gialle in estate, in nome della tolleranza non si dovrà far notare che sono verdi; a chi non riesce a ottenere il risultato minimo a un esame, in nome della carità bisognerà dare lo stesso voto di chi ci riesce; a chi coltiva usanze crudeli, in nome dell’accoglienza si dovrà permettere l’esercizio della crudeltà familiare col sussidio statale.  

 

Ma queste sono, appunto, idolatrie. Anzi, per la precisione, eresie.
Adorare Dio – quello vero, non l’idea parziale e limitata che uno potrebbe costruirsi nella propria testa – è faccenda diversa.
Perché?


Il mistero dell’Oggetto Eterno

Un uomo deve assolutamente entrare in un palazzo per motivi importantissimi che coinvolgono la sua vita ed il suo amore e tutto ciò che gli è caro.
Non ha la chiave del cancello ed è lì davanti a disperarsi. D’un tratto una finestra nel palazzo si illumina. Qualcuno si affaccia, gli lancia qualcosa e poi corre via. L’uomo davanti al cancello afferra al volo l’oggetto: è la chiave. Con un grido di gioia e gratitudine apre la porta ed entra nel palazzo, dove trova una rampa di scale che sale di corsa.
Giunto in cima si trova in una stanza; accende la luce, si affaccia alla finestra, e vede un uomo davanti al cancello che si dispera. L’uomo nel palazzo gli lancia la chiave e poi prosegue verso l’interno del palazzo e verso la sua vita, il suo amore e tutto il resto. L’uomo davanti al cancello afferra al volo la chiave e con un grido di gioia e gratitudine apre la porta ed entra nel palazzo, dove trova una rampa di scale che sale di corsa.
I due uomini sono lo stesso uomo che salendo le scale è tornato indietro nel tempo.

Da dove viene la chiave?

(continua…)

(↓ commenti)


Strana matematica

1 / 2 = 2

???

(↓ commenti)


Un piccolo particolare

Nel libretto Elementi di politica di Benedetto Croce c’è un brano (pag. 51) dove l’autore mettere a paragone Machiavelli e Guicciardini:

 È risaputo che il Machiavelli scopre la necessità e l’autonomia della politica, della politica che è di là, o piuttosto di qua, dal bene e dal male morale, che ha le sue leggi a cui è vano ribellarsi […] Ma quel che di solito non viene osservato è l’acre amarezza con la quale il Machiavelli accompagna questa asserzione della politica e della sua intrinseca necessità. […]
La mancanza di quel sentimento amaro e pessimistico distingue dal Machiavelli il Guicciardini, che prova nient’altro che una sorta di disprezzo verso gli uomini nei quali ritrova tanto “poca bontà”, e si accomoda tranquillamente in questo mondo disistimato, mirando solo al vantaggio del proprio “particulare”. Se per questo suo “particulare” non avesse dovuto servire i pontefici medicei, avrebbe amato “più Martino Lutero che sé medesimo”, perché avrebbe sperato che il ribelle frate potesse disfare lo stato ecclesiastico e rovinare la “scellerata tirannide dei preti”. L’uomo del Guicciardini è d’altra tempra dall’uomo del Machiavelli.

Queste brevi righe mi hanno ricordato perché, studiando Guicciardini al liceo, provai per lui un’istintiva avversione.
Chi mi legge da tempo sa che, come ho già detto, all’epoca non ero granché cattolico, anzi ero abbastanza anticlericale (empirico). Avevo assorbito per osmosi tutti quei tipici luoghi comuni che potete immaginare e il giudizio di Guicciardini mi sembrava sostanzialmente condivisibile: l’Italia senza la Chiesa sarebbe stata molto meglio.
Ma da qui nasceva il mio disprezzo. Se egli avesse messo il suo talento politico al servizio di quell’ideale, chissà come sarebbe cambiata la storia: forse di niente, forse di poco, forse… chissà! Ma lui, della liberazione dell’Italia dalla schiavitù clericale, se ne era fregato e aveva pensato solo ai propri comodi, infiorettati dall’elegante definizione del particulare. Un conto era deplorare le infamie dei preti nel chiuso della propria stanza, nel proprio cervello, nei libri di storia da lasciare ai posteri (che lo rischiassero loro il collo in nome della laicità!); ma ben altro conto, nella vita reale, era inchinarsi ai papi corrotti, brigare per avere onori e prebende, curare gli interessi di quella medesima “scellerata tirannide”.
Insomma: Guicciardini ipocrita, vigliacco, egoista. Il prototipo di tutti quegli italiani profittatori e voltagabbana, fascisti fino al 25 aprile e antifascisti dal giorno dopo, sempre pronti a correre in soccorso del vincitore. Se tutti i Guicciardini d’Italia avessero dedicato le loro energie a qualcosa di più grande del loro io, non avremmo dovuto aspettare fino al XIX secolo per la fine della teocrazia. Se adesso viviamo in un paese libero e laico, non dobbiamo certo ringraziare loro.

Questo pensavo durante i miei studi liceali, grossomodo un decennio e mezzo fa.
(Gulp. Sono vecchio.)
Quante cose sono cambiate. Io sono cambiato, e ho cambiato idea su molte cose: prima mi è venuto il dubbio che forse mi stavo sbagliando, poi il dubbio, a forza di ragionarci su, è diventato certezza. La religione, la laicità, i meriti e i demeriti della Chiesa nella storia dell’Italia e del mondo… in alcuni casi ho completamente rovesciato il mio giudizio.
Tuttavia, io disprezzo ancora Guicciardini, e quasi per gli stessi motivi di prima.
Questo potrebbe stupirvi.
Non ce n’è ragione. Infatti, come scrive Clive Staples Lewis nelle Lettere di Berlicche:

Naturalmente, una guerra è divertente. Ma qual beneficio permanente ci può dare, a meno che noi non ne facciamo uso per portare anime al Nostro Padre di Laggiù? […] Quindi, pensiamo piuttosto al modo di usare che non al modo di godere di questa guerra europea. Poiché vi sono unite certe tendenze che, in se stesse, non sono per nulla favorevoli a noi. Possiamo sperare in un bel po’ di crudeltà e impurità. Ma, se non staremo più che attenti, dovremo vedere migliaia che in questa tribolazione si volgeranno al Nemico, mentre l’attenzione di decine di migliaia che non giungeranno a tanto, verrà tuttavia deviata dalla considerazione delle loro persone verso valori e cause che essi credono più alte del proprio io. So che il Nemico disapprova molte di queste cause. Ma è qui dove Egli manca di lealtà. Egli fa spesso bottino di esseri umani che hanno dato la vita per ideali che Egli pensa cattivi, per la ragione mostruosamente sofistica che gli esseri umani li credevano buoni e che agivano nel miglior modo che sapevano.

 Non si poteva spiegare meglio.
Ai fini della buona fede, non importa che l’ideale creduto da Guicciardini fosse sbagliato; importa che lui lo ritenesse giusto. Eppure per questo ideale, giusto o sbagliato che fosse, a quanto sappiamo non fu disposto a sacrificare niente, mirando solo al proprio vantaggio personale, quel piccolo “particulare” che era il suo stesso io, da tenere in considerazione più di ogni altra cosa.
Il paziente perfetto per Berlicche e Malacoda, dunque, perché  a loro piace tanto l’egoismo – la voracità dell’io. Anzi è l’unica cosa che conta. Perchè sappiamo bene cosa ne fanno, dopo, dell’io dei loro pazienti.
Cosa fa infatti l’allevatore accorto, se non ingrassare ben bene il maiale per poi mangiarne meglio?