Libri febbraio 2013


World War Z, di Max Brooks.

Premessa: sono appassionato di storie di morti viventi e ne difendo la dignità culturale nei confronti di chi le squalifica come mero horror-pulp sensazionalistico.
Gli zombie mi piacciono (come argomento, non li terrei come animali domestici) perché li vedo come l’uomo postmoderno privato della sua retorica ed estremizzato nel concetto: un essere al di là del bene e del male, senza etica, senza razionalità, vittima dell’omologazione di massa eppure al tempo stesso profondamente solo e incapace di empatia, definito dai due impulsi  fondamentali che lo muovono: la vita eterna (nell’aldiquà, essendo l’aldilà scomparso dall’orizzonte concettuale) e la soddisfazione dei propri appetiti.
Posto quanto sopra, WWZ non poteva non piacermi al massimo grado. Si tratta di un libro EPICO, scritto da una massima autorità sull’argomento ovvero Max Brooks già autore del Manuale per sopravvivere agli zombie (da tenere nel comodino a portata di mano, metti caso serva). Io l’ho letto in inglese, perché in italiano non si trova, ma probabilmente lo ripubblicheranno a breve perché tra poco esce nelle sale il film tratto dal libro, di cui è già in circolazione il trailer. Considerato che il protagonista è Brad Pitt e che gli zombie in questo periodo tirano, probabilmente incasserà. Peraltro la pubblicità a me ha fatto alquanto ribrezzo, perché sembra la solita storia azioneazionefuggisparaesplodibumbumbum: o il trailer è infedele rispetto al film, oppure il film col libro c’entra poco e niente.
D’altra parte, mi rendo conto che non era così facile trasporre la storia in film (una serie sarebbe stata un format più adatto). Perché WWZ non è una semplice storia di morti che risorgono e mangiano i vivi. Tecnicamente non è neppure un romanzo. È proprio un’altra cosa, molto migliore.
La particolarità di WWZ è che avviene un mondo in cui c’è già stata la guerra contro gli zombie, e l’umanità ha vinto ed è sopravvissuta, seppure a malapena. L’autore intradiegetico del libro è un giornalista che viaggia per il mondo e intervista persone di tutti i tipi, di ogni continente e ceto sociale, facendosi raccontare quello che hanno vissuto e le cose che hanno fatto. È dunque palese la differenza rispetto alla classica zombie story, alla George A. Romero oppure The Walking Dead: lì il punto di vista è del singolo, qui invece è letteralmente globale.
WWZ è estremamente realistico dal punto di vista geopolitico. Sarebbe perfettamente degno di un numero speciale di Limes. Prende in considerazione una quantità immensa di fattori che nelle altre storie di zombie sono generalmente ignorati: la reazione dei mass-media e dei politici di fronte alle voci di apocalisse (negare sempre, anche l’evidenza, finché non è troppo tardi), le specifiche ragioni tecniche del fallimento delle normali tattiche militari di fronte a un nemico così radicalmente diverso (la battaglia di Yonkers), gli imprevedibili sconvolgimenti politici (Israele si chiude in quarantena e poi scoppia la guerra civile!), l’opportunismo di chi è contento dell’epidemia (Breckenridge “Breck” Scott e il suo vaccino-bufala Phalanx, del quale avevo già parlato qui), il tracollo psicologico collettivo di una società intera (i quisling, gli umani che si convincono di essere zombie), eccetera.
Dove invece WWZ rivela stretta continuità con il genere zombie è invece nella critica morale all’umanità, nel ritratto impietoso dei nostri simili: dalle interviste emerge un coro a 360° di vizi e virtù, eroismi, vigliaccherie, compromessi, dilemmi morali angoscianti. Pensate alla strategia attuata dai governi nazionali, il “Piano Redeker”: fondamentalmente consiste nel sacrificare volontariamente una parte della popolazione, usandola come diversivo e dandola letteralmente in pasto agli zombie, onde permettere al resto della nazione di emigrare verso zone sicure. L’ideatore di questa strategia di sopravvivenza dice che il genere umano per sopravvivere deve semplicemente rinunciare alla sua umanità, nel senso morale del termine. Cosa pensare di una simile scelta? Come giudicarla? Abbiamo il diritto di giudicarla? Ne abbiamo il dovere? La risposta è difficile, ma la domanda è inevitabile.

Altrimenti, se non abbiamo una morale, che differenza c’è tra noi e loro?

 

Missione sul Baltico, di Patrick O’ Brian.

il comandante del porto convocò il comandante Aubrey. «Mi rifiuto di credere, signore», disse, «che tranne uno tutti i vostri ufficiali discendano dalla regina Anna.» «Mi dispiace, signore, ma poiché la regina Anna è morta», rispose Jack, «la comune decenza m’impedisce di fare commenti.»

 Settimo libro della saga marinara (ma la definizione è riduttiva) di Aubrey & Maturin, e diretta continuazione e conclusione delle vicende raccontate nei due libri precedenti. E perbacco, che conclusione! Non lo scrivo perché uno spoiler sarebbe abominevole, ma si tratta di un evento che cambia radicalmente e irreversibilmente lo status di un certo personaggio.
Che ha finito di soffrire, forse… oppure, forse (e dico anche probabilmente), le sue più grandi sofferenze sono appena cominciate.

 

Le lettere di Babbo Natale, di John Ronald Reuel Tolkien.

Buffissime e tenerissime lettere dal Polo Nord, condite delle disastrose avventure di un Orso Polare pasticcione e degli auguri in Quenya degli elfi aiutanti, che Tolkien inventava per i suoi figli e faceva loro arrivare ogni Natale da parte di “Babbo Natale” – si badi bene, non Santa Claus, ma nel titolo originale “The Father Christmas Letters”.
Ora io non mi dilungo sui rapporti tra Santa Claus e Father Christmas, né su tutta l’annosa questione della valutazione “cattolica” di Babbo Natale, anche perché c’è già chi l’ha fatto molto bene; ma m’interessa far notare la posizione che implicitamente assume Tolkien nella vicenda, e che secondo me è strettamente legata alla sua concezione dello speciale rapporto tra paganesimo e cristianesimo: il primo rivalutato in positivo e visto non come opponente del secondo, ma come antecedente logico oltre che cronologico, veicolo di semina Verbi, propedeutico al messaggio cristiano.
Ecco allora che Babbo Natale, il quale ormai non è più il vecchio San Nicola bensì un personaggio ormai decristianizzato e paganeggiante, un mito per esprimere dei generici valori positivi di calore familiare, non viene da Tolkien semplicemente negato; viene piuttosto “ri-cristianizzato” nella figura di ­ Father Nicholas Christmas, che ha millenovecentoventi anni nel 1920 e ne ha millenovecentotrenta nel 1930 (cioè nasce con il cristianesimo) e che in un passaggio delle sue lettere accenna all’esistenza di suo padre… “Nonno Yule”.
Yule, capite?
Come sempre in Tolkien, una semplice parola basta per implicare concetti, epoche storiche, mondi lontani: il simbolo pagano che si fa da parte per far posto al simbolo cristiano, non già come Saturno che viene scalzato da Zeus, bensì come il padre che lascia serenamente in gestione al figlio “l’attività di famiglia” del portare regali all’umanità; il cristianesimo come successione del paganesimo, non per rigettarne in toto il passato, ma per ereditarne i contenuti positivi.

 Grazie, professore.

 

L’infanzia di Gesù, di Benedetto XVI.

Naturalmente ottimo, e fa venire voglia di rileggere tutto il trittico in successione continua. Anzi fa venir voglia di rileggersi tutta l’opera omnia dell’autore.

Anche perchè leggerlo proprio nel periodo contemporaneo all’evento storico che sappiamo, sapendo che non ce ne saranno altri, fa un certo effetto.

 

Dottor Futuro, di Philiph K. Dick.

Se non avessero limitato le nascite, adesso ci sarebbe una popolazione umana preziosa su Marte e Venere […] invece abbiamo una società calcificata che passa il tempo meditando sulla morte; che non ha progetti, non ha una meta, non ha nessun desiderio di crescita. Come la società egizia… la morte e la vita sono così strettamente collegate che il mondo è diventato un cimitero, e le persone nient’altro che custodi che vivono tra le ossa dei morti. In pratica, dentro di sé, si considerano premorti, non individui vivi. Così il loro grande retaggio è stato sprecato.

 Pubblicato nel 1960, eppure ancora una volta PKD si mostra straordinario profeta di quelle tendenze distruttive che oggi sono il nostro presente.
Jim Parsons è un medico che per ignoti motivi viene rapito dal suo presente (il 2012) e trasportato nel remoto futuro del 2405. Si ritrova così in una società caratterizzata da una profonda cultura di morte: il numero della popolazione è fisso, tutti sono sterilizzati e le fecondazioni avvengono solo per via artificiale, il governo decide di procedere ad una nuova nascita solo quando qualcuno è morto, e la morte è incoraggiata. L’omicidio è legale, il suicidio è lodato come un gesto di coscienza civica, mentre le cure mediche sono criminali e viste come un’indebita interferenza nelle leggi di natura. Quando la gente sta male, non va dal dottore, va dall’eutanasista: Parsons, per aver onorato il suo giuramento d’Ippocrate, passerà dei guai con la giustizia.
E così cominciano le allucinanti traversie spaziotemporali del Dottore, l’unico uomo al mondo rimasto a credere che la vita valga più della morte; l’unico uomo al mondo che può salvare la specie umana dall’estinzione.
Un PKD ingiustamente poco noto, da riscoprire, da farci un film, da far conoscere.


3 responses to “Libri febbraio 2013

  • Jacopog

    Ciao Claudio,
    avrei voluto commentare l’altro tuo post, ma colgo l’occasione per farlo adesso.
    GRAZIE puntoesclamativo per avermi fatto conoscere WWZ. Sono uno di quelli che considerava le storie di zombie come “mero horror-pulp sensazionalistico”. Non l’avrei mai preso in considerazione se non avessi letto la tua recensione. Invece l’ho letto due volte di fila in una settimana e ho provato a corrompere vari amici. Per inciso: io l’ho trovato in italiano, in epub, già un mesetto fa.
    Brooks è riuscito a creare un libro non classificabile nelle definizioni usuali, un mockumentary forse. Ma coinvolgente come e più di un thriller. La sua comprensione e narrazione dell’umano è estesa e penetrante, gli eventi narrati sono vividi e il senso di immedisimazione che dà è molto realistico.
    Sinceramente non so cosa aspettarmi dal film, ad oggi non ho ancora visto neanche il trailer, ma temo moltissimo che finisca per tradire la profondità del testo in favore di una spacconata in cui l’eroe deve salvare il mondo dagli zombie brutti e cattivi.
    Vedremo.

    Ancora grazie

    Jacopo

  • Berlicche

    WWZ ancora lo devo leggere. Solo 1700 pagine d’altro prima di.
    Una nota: per questo “febbraio 2013” le temperature sono effettivamente di poco superiori alla media 😉

  • ClaudioLXXXI

    Non c’è di che, Jacopo. Lieto di esserti stato utile.
    Mockumentary è probabilmente la descrizione che più si avvicina al libro di Brooks, ma in tal caso trattasi dell’apoteosi del genere. Ho comprato anche il Manuale per sopravvivere agli zombie (in cartaceo, perchè quando ne avrò bisogno non potrò più ricaricare il kindle), ma penso che aspetterò a leggerlo proprio perchè ora come ora partirei da aspettative così alte che rischierei di restare deluso.
    Del film, quando so qualcosa di affidabile, riferirò in questi commenti.

    Berlicche: sbrigati con queste 1700 pagine!

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