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Caro Piergiorgio

CARO PIERGIORGIO

 
 
Ove mai qualcuno fosse interessato (ma chi?), venerdì mattina dovrei partecipare in compagnia di altri bloggers a un dibattito con Odifreddi basato sul suo ultimo libro “caro Papa ti scrivo”, che ho appena finito di leggere (courtesy of Mondadori & Gallizio Editore) e che è una sorta di botta e risposta all’Introduzione al cristianesimo di Ratzinger (che sto leggendo di corsa per mettermi in pari).
Si parlerà di fede religione scienza verità etc., saranno accolte domande dalla rete e forse ci sarà uno streaming video; segnalerò il link apposito appena disponibile.
 
Non so bene cosa aspettarmi, comunque si prospetta un’esperienza interessante.

#1 aggiornamento: ci sarà (gulp) una diretta web su 140nn.com. Dovrebbero già star cominciando a raccogliere domande su twitter, facebook et alia.
 
#2 aggiornamento: e finalmente riferisco.
Come dicevo per interposta persona, venerdì sono andato all’incontro ed è stato interessante, anche se ho detto ben poco di quello che avrei voluto dire (d’altra parte, tutto quello che avrei voluto dire combaciava all’incirca con la produzione quinquennale di questo blog…), vuoi per il fatto che mi sono ritrovato in partibus infedelium – nella ventina circa di blogger presenti, la rappresentanza “papista” era in nettissima minoranza, praticamente io e un professore di religione – vuoi perché ho commesso un errore da novellino e mi sono giocato subito la mia quota-tempo d’intervento, sicché dopo aver fatto varie osservazioni a quello che diceva Odifreddi me ne sono stato zitto e quieto per non togliere spazio agli altri e non ho fatto la domanda che mi ero accuratamente preparato; ma ho avuto la soddisfazione di sentire un agnostico fare a PGO quella stessa domanda, e cioè pressappoco “professore ma non è che sotto sotto il suo ateismo così certo e sicuro non è altro che una diversa forma di fede?”
(il che peraltro combacia con quello che dice Ratzinger nell’introduzione dell’Introduzione: chiunque deve prendere posizione rispetto alle decisioni fondamentali, che però sfuggono alla razionalità intrinseca, e perciò chiunque in qualche modo crede).
C’è da dire che Odifreddi dal vivo è meno str più simpatico che per iscritto. In cattedra non si è affatto contenuto, beninteso, anzi ogni tanto lanciava qualche frecciatina velenosa delle sue che rendono il suo stile così amabile (es. il Papa ha avuto un ictus quando aveva 70 anni? non mi risulta); a telecamere spente però l’ho avvicinato e abbiamo conversato per una decina di minuti e l’ho trovato sorprendentemente cordiale e perfino incline a concordare con il sottoscritto su alcuni specifici e ben circoscritti argomenti (es. ma che senso ha lo sbattezzo dell’UAAR per chi all’efficacia  soprannaturale del battesimo non ci crede proprio? Mysterium). Mi ha pure autografato il suo libro.
Tanti gli argomenti affrontati, dal significato di concetti sfuggenti come metastorico all’essenzialità del Bello nel cattolicesimo, e mi guardo bene dal riassumerli tutti quanti perché sarebbe una pappardella i) lunghissima, l’evento è durato più di due ore ii) inutile, per chi è interessato sarà disponibile la registrazione sul sito 140nn – o almeno così diceva il creatore dell’evento, che si è precedentemente dimostrato affidabile, perciò faccio il metarazionale e mi fido. Voglio però riferire dell’unico punto in cui PGO onestamente mi ha sorpreso (probabilmente non solo me), e cioè quando
 
D. del mio vicino di sedia “ma che senso ha spendere tempo a rispondere a quello che dice il papa? Che tanto sappiamo già che cosa dice? Non è un po’ un volare basso?”
 
R. (vado a memoria, poi controllo) “non è affatto un volare basso, anzi, guardate che Ratzinger non è mica il vecchietto rincoglionito che uno potrebbe immaginarsi, quel libro là” indica la copia dell’Introduzione al cristianesimo che mi ero portato appresso “è veramente un capolavoro” (e qui mi aspettavo una scena come quando Fantozzi dice al supermegadirettoregalattico che è comunista) “perché lui non ha paura di prendere di petto gli argomenti più difficili su cui altri preferirebbero glissare, anzi guardate all’inizio del libro cita questo aneddoto di Kierkegaard, c’è un pagliaccio vestito da pagliaccio che corre in un villaggio a chiedere aiuto perché il circo sta bruciando, e la gente lo guarda e ride perché pensa che sia uno scherzo, e più quello piange e si dispera e dice vi prego credetemi c’è il fuoco che vi minaccia più quelli pensano stia recitando e sghignazzano e non gli credono, e alla fine brucia il circo e il villaggio e tutto quanto, e il papa dice: ma non è che noi teologi oggi siamo proprio come dei pagliacci?, addobbati con i paraventi medievali e tutto quanto, e per quanto ci sforziamo di parlare all’uomo moderno la gente ci guarderà sempre con il pregiudizio di chi sa già e non ci crederà comunque? Anzi, il papa va oltre, potrebbe essere ancora peggio, potrebbe essere che pure se ci aggiorniamo e ci puliamo la faccia e ci presentiamo da moderni, la gente non ci crederà comunque, perché il problema non è come presentiamo il messaggio ma è proprio il messaggio? E via così. A volte dice cose così crude, che io stesso non avrei osato dirle a quel modo. Paradossalmente mi sento più vicino al papa che a uno di questi preti da strada alla don Ciotti che sanno parlare solo di opere e buone azioni e dicono il cattolicesimo è ok perché aiutiamo i poveri, invece il papa dice chiaro e tondo che la questione non è aiutare i poveri, la questione è che quello che dice il cattolicesimo o è vero o è una fesseria, punto. Il cattolicesimo è la peggior religione possibile, ma allo stesso tempo è la migliore per chi come me si pone criticamente, osa affermare la propria veridicità non solo sul piano della fede ma anche su quello della ragione, scende su un terreno comune dove può essere affrontato. Nessun’altra religione osa così tanto.”
 
E qui, caro Piergiorgio, per una volta – mirabile dictu – sono stato quasi d’accordo con te.

#3 aggiornamento: youtube.


Il Dysangelium di Odifreddi (3)

Il Dysangelium di Odifreddi (3)

 

 

(continua da 1) (continua da 2)

 

C’era una volta il libro di Piergiorgio Odifreddi Il Vangelo secondo la Scienza – le religioni alla prova del nove: un libercolo con cui l’autore, con la consueta modestia che gli è propria, si riprometteva di risolvere il più grande problema dell’umanità e confutare definitivamente le religioni passandole al vaglio della sua scienza, dimostrandone l’assurdità (secondo la nota uguaglianza per cui credenti = cretini).

C’erano altresì una volta un paio di post scritti dal sottoscritto, nei quali elencavo certosinamente alcuni esempi degli errori colossali e delle sleali panzane propinate dall’autore allo sfortunato lettore. Nelle mie intenzioni iniziali quei due post avrebbero dovuto essere seguiti da molti altri, sennonché, vuoi per pigrizia, vuoi per il tempo scarseggiante, vuoi perché elencare tutti gli errori del Nostro era un compito improbo, lasciai cadere il progetto.

E che cosa scopro adesso? Che il dysangelium odifreddiano è stato ripubblicato in seconda edizione. Chissà se almeno qualcuna delle fesserie più plateali è stata emendata, ma forse è più probabile che ne siano state aggiunte delle altre. Non ho intenzione di pagare il prezzo di copertina per saperlo, ma è l’occasione per ripescare dallo scaffale della monnezza la mia copia del libro e spenderci sopra qualche altra parola.

 

Ormai ho capito la tecnica adoperata da Odifreddi per incantare i suoi lettori. Chiamiamola tecnica dell’affastellamento: consiste nell’accumulare in rapida successione una valanga di citazioni, rapide spiegazioni, alcuni dettagli minuziosi inframezzati in generiche riepilogazioni. Si dà al lettore l’impressione di avere una cultura vastissima, di aver letto un sacco, di conoscere a menadito ciò di cui si sta parlando. Pertanto le opinioni del Nostro riguardo ciò su cui egli va sproloquiando, siano esse esplicitamente presentate nero su bianco o sottilmente implicite da leggersi tra le righe, appaiono ammantate di una qual certa aura di attendibilità.

Sennonché, la quantità è inversamente proporzionale alla qualità. Come tutti i tuttologi superstar, Odifreddi accenna a un sacco di cose ma non ne approfondisce nessuna. Il livello della sua divulgazione è da estratto del sunto del compendio del bignami: un paragrafo per questo, un paragrafo per quest’altro, due frasi citate in corpo otto, ed ecco esaurita la materia e passiamo al prossimo argomento. Il lettore va abbacinato con l’apparenza enciclopedica, per non farlo accorgere della sostanziale inconsistenza dell’intruglio.

 

Esempio concreto. Nel terzo capitolo del libello, il Nostro affronta il problema delle diverse interpretazioni teologiche dell’origine del mondo. Quanto credete che ci voglia all’eroico Odifreddi per liquidare la faccenda? Nella mia edizione Einaudi tascabili del 1999, dieci (10) pagine. Ovviamente sono dieci pagine pregne di erudizione: un paragrafo dedicato alla cosmogonia egiziana secondo Eliopoli e Menfi, una citazione dalla Pietra di Shabaka, 4 righe sul mito tebano di Amon, un paio di paragrafi sui miti della Mesopotamia, qualche riga sulla Teogonia di Esiodo… sulla Genesi, mercè l’accanimento critico accordato al cristianesimo, l’autore si dilunga parecchio: addirittura una paginetta e mezzo. A seguire in veloce successione islam, zoroastrismo, miti dell’India, miti dell’America precolombiana, Aristotele e così via.

Orbene, tutta questa carrellata vorrebbe essere funzionale a giustificare quanto Odifreddi dichiara come concetto generale delle cosmogonie religiose (grassetti miei):

 

Particolarmente significativa è la contrapposizione fra creatore e creatrice, fra Dio Padre e la Grande Madre. Il modello maschile è tipico di società sviluppate e patriarcali, intende la creazione come una eiaculazione, cioè come un’attività esterna, intellettuale o artistica, e produce una divinità trascendente e distaccata, interessata a opere e azioni, tutta dedita a imporre, giudicare e castigare. Il modello femminile è invece tipico di società primitive e matriarcali, descrive la creazione come una gravidanza, cioè come un processo interno, fisico o biologico, e conduce a una divinità immanente e coinvolta, focalizzata sulla vita, e più propensa a chiedere, comprendere e aiutare.

Il passaggio da un genere all’altro è testimoniato dall’evoluzione della parola spirito: da femminile nelle lingue semitiche (ruah), essa divenne neutra in greco (pneuma) e poi maschile in latino (spiritus).

Una volta presa dimestichezza con i caratteri generali a cui abbiamo appena accennato li si potrà facilmente ritrovare negli specifici miti di creazione presenti nelle tradizioni religiose, come una rapida carrellata nello spazio e nel tempo dimostrerà.

 

Dal che si vede che il Nostro si mette a flirtare con il mito storico, caro alla vulgata new age, della pseudo-età dell’oro di quando le società matriarcali pacificamente adoravano la Grande Madre e poi la pacchia è finita quando si è cominciato ad adorare il Dio Padre e a fare la guerra.

Ebbene: posto che non sono in grado di seguire l’etimologia della parola spirito – salvo che dalla “evoluzione” odifreddiana dovrei forse dedurre che gli ebrei, poiché usavano la parola ruah, adoravano la Grande Madre – io ho dovuto rileggere due volte con attenzione il capitolo per realizzare che poi in concreto Odifreddi della Grande Madre non parla affatto. Per niente. Nell’ammucchiata di cosmogonie buttate lì una dopo l’altra, semplicemente non c’è. Andatela a cercare voi. Questo preteso carattere generale (lo stereotipo “Dio maschio cattivo – Dea femmina buona”), Odifreddi promette che “lo si potrà facilmente ritrovare” negli specifici miti religiosi della creazione, ma poi si guarda bene dal mantenere la promessa.

Ma quanti lettori, sballottati tra egiziani greci ebrei e così via, se ne accorgono?

 

Insomma, avete capito come si fa? Si accenna una considerazione velenosa sulla religione, e possibilmente sul cristianesimo in particolare; si dà l’impressione di poterla argomentare razionalmente e spiegare storicamente; dopodiché si stordisce il lettore con una carrettata di cultura a poco prezzo, per forza di cose estremamente vaga e generica. Alla fine l’accenno resta soltanto un accenno, poco argomentato e ancor meno provato; il lettore ideale però nel frattempo si è fatto l’idea che Odifreddi ha una cultura immensa, sicuramente sa quello che dice, e magari si è pure dimenticato quello che l’autore gli aveva promesso dieci pagine e venti citazioni fa; e perciò prende per buono tutto quello che gli propina il Nostro, che ha facile gioco a presentarsi come un geniale so-tutto-io.

 

E così, grazie a questo subdolo modo di scrivere, l’eccellente autore può in relativa sicurezza disseminare la sua opera di madornali fesserie; per esempio, a proposito dell’anima,

 

il secondo racconto [ndr della Genesi, quello di tradizione iahvista]  prosegue dicendo che la donna fu formata da una costola dell’uomo, ma non risulta dal testo se essa abbia un’anima oppure no: ambiguità che fu fonte di spiacevoli conseguenze, tuttora evidenti nella misoginia ebraica e cristiana.

 

Se Odifreddi avesse cercato meglio nella tradizione ebraica e cristiana, avrebbe forse potuto trovare qualche indizio sull’esistenza dell’anima della donna? Boh, forse sì, ma perché fare la fatica di cercare?

Oppure, nel capitolo “Paradossi”,

 

Uno degli insegnamenti più profondi e duraturi che il cristianesimo ha lasciato in eredità al mondo moderno è infatti proprio la concezione dell’irrazionalismo come superiore verità, invece che come vergogna: insegnamento di cui si sono poi appropriati quei sistemi filosofici e politici che hanno condotto il mondo contemporaneo all’assurdo e al paradossale.

 

Ed ecco due millenni di riflessioni sul logos e settecento anni di tomismo buttati nel gabinetto; e se abbiamo avuto l’irrazionalismo ottocentesco, con tutto quel che ne è seguito in termini di fascismo e nazismo, di chi è la colpa?

 

Il primo apparire del paradosso nella storia è la nascita del diavolo da Dio, cioè del male dal bene. Agli inizi Dio è solo, un’unità indivisa, ma nel momento in cui decide di guardare se stesso egli si sdoppia, diventando automaticamente osservatore e osservato, e crea così una scissione. E in greco “scissione” si dice appunto diabolh, un termine il cui contrario è sumbolh, la “riunione”: per questo Dio parla per simboli, e il diavolo per contrapposizioni.

 

Qualcuno sa da quale tradizione religiosa Odifreddi ha tirato fuori questa cosa di Dio che crea il diavolo guardandosi allo specchio e scindendo sé stesso?

E non vi perdete questa perla, a proposito dei paradossi del doppio vincolo (cfr post n.2):

 

Si noti comunque che comportamenti di tipo schizofrenico sono possibili anche nella vita quotidiana non patologica, in reazione a doppi vincoli isolati […] Una volta presane coscienza, i doppi vincoli si scoprono negli aspetti più svariati dell’attività umana. [ndr seguono esempi] La sessualità: si desidera che la propria partner eterosessuale sia “santa di giorno e puttana di notte”, o che il proprio partner omosessuale sia “un vero uomo”.

 

Insomma, per il Nostro è schizofrenico ritenere l’omosessuale un vero uomo: qualcuno allerti Grillini!

E ancora: nel capitolo “Giochi matematici”, dissertando sulla scommessa di Pascal e la teoria dei giochi:

 

Il ragionamento di Dio è il seguente. La cosa migliore è che l’uomo creda, meglio senza rivelazione, ma se necessario attraverso essa: infatti, “beati sono coloro che non hanno visto e hanno creduto (Giovanni, XX, 29), ma “se non vedete segni e prodigi, voi non credete” (IV, 48). Se però l’uomo sceglie di non credere, la cosa migliore è che lo faccia in mancanza di rivelazione, perché sarebbe la sua rovina se egli rifiutasse di credere anche di fronte alla rivelazione: “Chi non crederà sarà condannato” (Marco, XVI, 16).

Il ragionamento dell’uomo si può invece riassumere nel seguente modo. La cosa migliore è che Dio si riveli e l’uomo creda, la cosa peggiore che Dio si riveli e l’uomo non creda. Il problema sta dunque nel decidere che cosa fare nel caso che Dio non si riveli, e Pascal suggerisce appunto che sia meglio credere.

La teoria dei giochi considera un’opzione irrinunciabile (in termini tecnici, dominante) per un giocatore, se essa è preferita qualunque sia il comportamento dell’avversario: non seguirla sarebbe irrazionale, visto che la si preferisce in ogni caso. Non rivelarsi è irrinunciabile per Dio: se l’uomo crede avrà più merito e se non crede avrà meno demerito.

 

Qui parrebbe addirittura che Odifreddi sia sul punto di rendere un buon servizio al cristianesimo, fornendo un aggancio matematico per il Deus Absconditus, per il “c’è abbastanza luce per chi vuole credere e abbastanza buio per chi non vuole credere” di Pascal (che però si guarda bene dal citare).

Sennonché, forse preoccupato da tale orribile eventualità, ecco che subito dopo il Nostro aggiunge che

 

Un Dio razionale che abbia le preferenze che abbiamo appena descritto non deve allora rivelarsi: poiché tali preferenze sono state dedotte dal Vangelo [ndr con delle deduzioni inconfutabili!], il suo protagonista non può essere un Dio razionale, e dunque Cristo o non è Dio, o non è razionale. Entrambe le alternative sembrano possibili: da un lato, egli stesso non ha mai affermato direttamente di essere Dio, ma solo di esserne il figlio (cosa che, ci dicono, dovremmo essere tutti); dall’altro lato, la teologia irrazionale è appunto una variazione sul tema dell’irrazionalità del cristianesimo.

 

E così, al modico prezzo di qualche svarione esegetico, il rischio di parlar bene del cristianesimo è sventato. E per quanto riguarda Pascal,

 

Credere è invece irrinunciabile per l’uomo, se si accetta la posizione di Pascal: se Dio si rivela è impossibile non credere, e se non si rivela si rischia a meno di credere. Ma la posizione di Pascal non è l’unica possibile, visto che persino un apostolo, Tommaso, preferiva quella contraria: “non ci credo se non ci metto il dito” (Giovanni, XX, 25). Nel caso di Tommaso, credere non è irrinunciabile per l’uomo, perché nel caso che Dio non si riveli è meglio non credere. E neppure non credere è irrinunciabile, perché nel caso che Dio si riveli è meglio credere. Non ci sono allora comportamenti irrinunciabili per l’uomo, in questo caso. La scommessa di Pascal si è rivelata dunque un cinico bluff teologico.

 

Dal che si evince che Odifreddi pensa, o quantomeno vuol far pensare al lettore, che l’apostolo Tommaso fosse un ateo totale, che si rifiutava di credere non già alla resurrezione di Cristo e soltanto in quel suo limitato momento di debolezza, ma proprio al concetto stesso dell’esistenza di Dio. Ogni commento è superfluo.

 

Giunto alla fine, nell’ultimo capitolo “opzioni per il terzo millennio”, il Nostro tira le somme: dopo aver stabilito una volta per tutte, per esempio, che la creazione e la fine dell’universo cosmologicamente parlando sono solo possibilità e non necessità, o che il fallimento delle prove dell’esistenza di Dio dimostra che non solo non è razionale credere in Dio ma che è razionale non credervi… insomma, dopo aver brillantemente risolto i grandi problemi su cui l’umanità si affanna da millenni, Odifreddi potrebbe anche tirare un sospiro di sollievo e considerare l’opera terminata.

E invece purtroppo no, perché restano ancora i cretini che non ragionano:

 

In questo capitolo finale aggiungeremo alcune considerazioni generali sulle opzioni che si presentano a coloro che, nonostante ogni mancanza di evidenza, intendono perseverare sulla via della fede. Fermo restando, però, che sarebbe problematico ammettere nel mondo moderno occidentale, anche solo come provvisoria ipotesi assurda, la credenza nella religione cattolica, che è messa in discussione da due sue caratteristiche.

 

E quali sono?

 

La prima, generica, è il dogmatismo su cui si fonda, che la rende incompatibile con la concezione della dignità umana conquistata politicamente attraverso le rivoluzioni inglese, americana, francese e russa, e teorizzata filosoficamente da illuminismo, romanticismo, marxismo ed esistenzialismo.

 

Anzitutto notare il mirabile tempismo del Nostro che nel 1999, dieci anni dopo la caduta del Muro, con la massima tranquillità e glissando su qualche milione di cadaveri ci ricorda la dignità umana conquistata dalla rivoluzione russa. Ma soprattutto il problema è: Odifreddi, che critica il dogmatismo cattolico, sa cos’è il dogmatismo? Che intende lui per dogmatismo?

 

La seconda, specifica, è l’elenco dei dogmi che determinano la fede cattolica: [ndr segue un elenco di alcuni dogmi]. Come si possono infatti credere affermazioni che non si possono capire? E come si può capire, ad esempio, quello che Jung definì “lo scandalo del dogma mariano”, e cioè l’affermazione che il corpo della Madonna è stato assunto in cielo? Per quanto siamo in grado di capire, nessun “corpo” può viaggiare più velocemente della luce: dovremmo forse pensare che la Madonna sia al più a 1950 [ndr perché proprio 1950? Perché non di meno e non di più? Forse perché il dogma è stato dichiarato nel 1950?] anni-luce da noi, dedurre che il “cielo” sta da qualche parte nella nostra galassia, e provare a localizzarlo con il telescopio?

 

E qui raggiungiamo veramente lo zenit della presunzione e il nadir del trash intellettuale. Abbiamo trovato l’immagine ideale con cui chiudere questa modesta disamina del capolavoro odifreddiano. Galileo con il suo cannocchiale si accontentava modestamente di capire come vadano i cieli; ma il Nostro, che è allo stesso livello di Galileo se non oltre (ed è anche lui un perseguitato), invece col telescopio vuole capire proprio come si vada in cielo. Immaginiamolo dunque a scrutare in lungo e in largo l’universo, e a risultati assenti scuotere la testa e trarre le debite somme. Lui non è in grado di capire come possa un corpo viaggiare più veloce della luce, perciò nessun corpo può viaggiare più velocemente della luce; lui non vede il paradiso nella nostra galassia, perciò il paradiso non esiste. E certo.

Questo, proprio questo, è il grand’uomo che si batte contro il dogmatismo.

 

Insomma, avete afferrato l’assioma di fondo su cui Odifreddi basa la Sua magniloquente attività intellettiva? Tutto ciò che Lui non è grado di capire o di vedere, non esiste. Ovvio. Il Suo intelletto penetra tutto ciò che è, che è stato e che sarà; la Sua incomparabile cultura abbraccia e comprende tutti i campi dello scibile in cui l’umanità si sia mai cimentata, dalla matematica alla patristica, dalla logica formale alla storia universale, dalla filosofia alla filologia, dalla fisica all’esegesi comparata. Se qualcosa esiste, è tautologia dire che Lui può individuarla, dedurla, analizzarla, intenderla approfonditamente e spiegarla decentemente nello spazio di qualche paragrafo. Sì, Lui può.

Piergiorgio Odifreddi: Yes I Can.

 

 

 


Odifreddi pallone gonfiato

 

 

Pierluigi Battista scrive questo.

 

Egregio Piergiorgio Odifreddi, in una dichiarazione rilasciata al nostro Dino Messina ha sostenuto che il tempestoso precipitare della vicenda legata a Giuliano Soria rappresenterebbe «una vittoria dei clericali», soddisfatti per le sue dimissioni da capo del comitato dei garanti chiamati in extremis a salvare la continuità del Premio Grinzane Cavour finito nella bufera. La fantastica infondatezza della sua supposizione, così evidente alla luce di un elementare buonsenso, dovrebbe tuttavia indurla a riflettere su una vis polemica anticristiana la quale (sebbene finora baciata dal successo) se portata agli estremi rischia di condurre anche il più impertinente dei matematici tra le braccia del parossismo ossessivo e della fissazione paranoica: aggiungiamo pure, sempre che il richiamo alla terminologia religiosa non le suoni offensivo, del più scatenato misticismo egotistico. C’ è da immaginare che lei conosca, nelle sue peregrinazioni di studioso negli Stati Uniti e in Unione Sovietica, la sorte di quegli intellettuali che, strappati dal recinto delle loro competenze specifiche, si perdono nelle fumisterie del vaniloquio ideologico e della banalità più corriva. È accaduto anche a lei. Ma a lei il trasloco dal campo del rigore a quello dell’ ovvietà ha portato fortuna e popolarità. Abbandonati i territori astratti della matematica e delle esattezze geometriche, si è trasformato in portavoce dell’ ateismo più militante, tra gli applausi dell’ opinione pubblica stanca delle prepotenze clericali. Quando si è avventurato nei meandri dell’ etimologia più fantasiosa, asserendo che il termine «cretino deriva da "cristiano"», le sono giunti più consensi che pernacchie. Quando ha deriso il cristianesimo per affermare che, «essendo una religione per letterali cretini, non si adatta a coloro che sono stati condannati a non esserli», più che la protesta per una battuta così volgarmente oltraggiosa per chi è fedele di una «religione per letterali cretini», è risuonata la chiassosa approvazione dei laicisti «condannati» a essere, o a considerarsi, più intelligenti. Ora, professor Odifreddi, essendo la sua intelligenza non una verità dogmatica ma un’ ipotesi da accertare laicamente mediante il metodo delle prove empiriche, dovrà essere sua cura dimostrare che, proseguendo con la fissazione dell’ oscuro complotto clericale, la sua guida illuminata del campo ateo-laicista non corra il pericolo della deriva macchiettistica, del suo inesorabile slittamento nei clichés di un personaggio dell’ eterna commedia italiana. Si goda il suo meritato successo, e non lo guasti con stentoree dichiarazioni che, consenta la citazione, assomigliano sempre più al «cretinismo» religioso da lei orgogliosamente vituperato. Non si prenda molto sul serio, e sappia accettare laicamente la constatazione (scientifica) secondo la quale tra una verità profonda e una sciocchezza il confine è molto sottile e labile. Esca dal suo personaggio e torni dove si sente a suo agio, tra i numeri e la trigonometria. Abbandoni le sue pose ieratiche (pardon), perché non c’ è peggior clericalismo del clericalismo ateista. Al massimo dovrà rinunciare ai vertici del Premio Grinzane Cavour, ma non è un prezzo troppo elevato. Con immutata stima.

 

 

Piergiorgio Odifreddi risponde con quest’altro.

 

Vorrei rispondere ad rem (cioè, nel merito) all’attacco ad personam (cioè, pretestuoso) che Pierluigi Battista mi rivolge nella "Lettera al sacerdote dell’anticlericalismo" sul Corriere della Sera del 16 marzo, elogiata da l’Avvenire il 17 marzo.
Anzitutto, lo ringrazio per avermi chiamato "egregio". Credo infatti che sappia, nonostante la sua avversione per le etimologie, che l’aggettivo
significa "fuori del gregge", e
oggi in Italia chi esprime e difende un pensiero laico è effettivamente costretto a cantare fuori dal coro dei belati
. Cosa non sgradevole, comunque, visto che Albert Einstein notava nelle sue Idee e opinioni che "per essere l’immacolato componente di un gregge di pecore, bisogna prima di tutto essere una pecora".
Venendo all’articolo, Battista bolla la mia dichiarazione di ingerenza clericale nelle vicende del Premio Grinzane Cavour come "fantasticamente infondata, alla luce di un elementare buonsenso": ne deduco che, pur scrivendo sui giornali, non li legge. Neppure il suo, che il 4 marzo titolava "L’assenza cattolica agita il Grinzane". E neppure l’Avvenire, che il 3 marzo titolava "Grinzane, un futuro a senso unico?", e vedeva come "una barzelletta l’eventuale inserimento di un solo rappresentante dell’area cattolica". E neppure La Stampa, che il 1° marzo titolava "I cattolici reclamano un posto nei saggi".
Quanto all’appello al buonsenso come verifica di fondatezza, si tratta dello stesso argomento che viene puntualmente avanzato da coloro che la pensano come lui, ogni volta che qualche idea nuova viene alla ribalta: è stato infatti il "buonsenso" a far processare Galileo per aver sostenuto che la Terra girava attorno al Sole, e non viceversa, così come è stato il "buonsenso" a far avversare Darwin per aver sostenuto che l’uomo fu creato a immagine e somiglianza della scimmia, e non di Dio.
Purtroppo è difficile applicare il buonsenso alle vicende del Grinzane, quando il forzista Giampiero Leo e il pidino Stefano Lepri sono a verbale per aver ineffabilmente
sostenuto in Consiglio Regionale a Torino che la mia nomina era "sgradita al cardinale" (come se questo dovesse importare). E quando il forzista Enzo Ghigo e il pidino Gianfranco Morgando mi chiamano "matematico ateo", mostrando ripetutamente di ritenere che il secondo (e forse anche il primo) attributo siano degli handicap, invece che delle garanzie: dimenticando che la gestione di Soria e la sponsorizzazione di Ghigo e Leo erano sì "cattolicamente corrette", ma certo non si sono rivelate evangeliche.
Battista mi dice che dovrei "aver conosciuto nelle mie peregrinazioni di studioso negli Stati Uniti e in Unione Sovietica la sorte di quegli intellettuali che, strappati dal recinto delle loro competenze specifiche, si perdono nelle fumisterie del vaniloquio ideologico e della banalità più corriva". Non so cosa c’entri, ma è vero, li ho conosciuti: in particolare il linguista Noam Chomsky e il fisico Andrei Sacharov, attaccati dai loro detrattori maccartisti e persecutori brezneviani con le sue stesse parole. E avendoli conosciuti, non posso che prenderli ad esempio: in particolare il primo, come ho scritto nella prefazione a Il matematico impertinente.
Infine, a proposito del suggerimento di "tornare dove mi sento a mio agio, tra i numeri e la trigonometria", io ci sono sempre rimasto: un mio libro su Darwin è uscito da qualche settimana (Battista non se n’è accorto, ma fortunatamente il pubblico e i recensori sì), un altro sulla matematica esce in questi giorni, la scorsa settimana ho diretto un Festival della Matematica a New York, e questa settimana proseguiamo a Roma, ospitando in tutto otto premi Nobel e tre medaglie Fields. Temo che la fissazione sulle mie marginali opinioni in campo religioso siano soltanto un sintomo del fatto che la lingua batte dove il suo dente (di Battista) duole
.

 

 

Adriano Sofri commenta così.

 

Sbaglierebbe chi ritenesse l’idea che Dio sia costruito da noi umani, a nostra immagine e somiglianza, infantile, facilona e tantomeno deresponsabilizzante. Al contrario. L’idea che mi faccio di Dio la dice lunga, che me ne renda conto o no, su chi sono io. Io, per esempio, non credo in Dio, ma il Dio in cui non credo non è fesso come quello in cui non crede Piergiorgio Odifreddi. Più esattamente, il Dio in cui non crede Odifreddi è un pallone gonfiato. Mi vergognerei di non credere a un Dio così. Preferisco non credere, non so, al Dio misericordioso di Pascal. Mi spingerei a dire che la differenza fra credere o non credere in Dio sia meno influente, almeno per la nostra vita quotidiana, del Dio differente nel quale crediamo o non crediamo. La chiesa, e le chiese in genere, fanno molto per esaltare la cattiva distinzione fra credenti e non credenti. Bene: tutto questo per dire che ieri Repubblica ospitava un articolo di Odifreddi intitolato “Io e il Grinzane”, che ho letto per la curiosità di sentire che cosa volesse dire uno che era stato designato presidente di quel comitato dei garanti, a proposito dell’affare in generale, e in particolare della propria insinuazione che lo scandalo fosse stato suscitato da una ingerenza clericale cattolica. Dell’affare in generale ho letto solo un passaggio marginale secondo cui la gestione di Soria si è rivelata “non evangelica”. Quanto all’ingerenza clericale, solo la citazione di titoli di giornale sul malcontento di cattolici per la loro inadeguata presenza nella gestione del già prestigioso premio. Che rapporto passi fra questo malcontento e le buffe e grandiose malversazioni ammesse da Soria, non si capisce. Il punto più alto Odifreddi lo tocca quando, obiettando all’appello al “buonsenso” mosso al suo indirizzo da Pierluigi Battista, proclama che si tratta “dello stesso argomento avanzato… ogni volta che qualche idea nuova viene alla ribalta”: dal processo a Galileo all’ostilità a Darwin. Dunque l’espediente meschino del buonsenso ha colpito di volta in volta l’idea nuova secondo Galileo che la terra girasse attorno al sole, secondo Darwin che l’uomo fosse imparentato con la scimmia, e secondo Odifreddi che una cospirazione clericale abbia abbattuto il padrone del Grinzane. Auguro fraternamente ai non credenti di non finire per non credere a un pallone gonfiato.

 

 

Son cose da conservare.

 


Il Dysangelium di Odifreddi (2)

Il Dysangelium di Odifreddi (2)

 

 

              

(continua)

             

La maggior parte delle volte che Odifreddi parla male di una religione nel suo libro, guarda un po’, si tratta del cristianesimo (con un occhio di irriguardo al cattolicesimo). Ma anche le altre fedi godono della sua premurosa attenzione. Per esempio, nel capitolo “Paradossi”, parlando di affermazioni autocontraddittorie:

                        

Nella mitologia islamica il già citato racconto della creazione dell’uomo prosegue in maniera inaspettata (Corano, XV, 28-43 e XXXVIII, 71-85):

                         

Il Signore disse agli angeli: “Io creerò un uomo di argilla secca, presa da fango nero impastato, e quando l’avrò modellato e gli avrò soffiato dentro il mio spirito, prostratevi davanti a lui in adorazione. E tutti gli angeli si prostrarono, eccetto Iblis, che si rifiutò di unirsi a loro.

E Dio gli chiese: “Iblis, che hai perché non ti prostri con gli altri in adorazione?” Iblis rispose “Non sia mai che io adori un uomo, creato dall’argilla secca, dal fango impastato!”

Disse allora Dio: “Vattene di qui, reietto, e che tu sia maledetto sino al giorno del giudizio!” Iblis rispose “Signore, poiché tu mi hai ingannato io renderò bella agli occhi dell’uomo ogni turpitudine, e li ingannerò tutti”

                       

Dio crea così un dilemma veramente diabolico, un’alternativa da cui si può uscire soltanto disobbedendo: o direttamente, all’ingiunzione di adorare Adamo, o indirettamente, al comandamento di non adorare altri che Dio. Ancora una volta, dunque, è Dio che appare come subdolo e paradossale, mentre il diavolo si trova chiuso di fronte a una coppia di ordini contraddittori che non gli lasciano scampo.

                   

E così, ancora una volta, Dio è subdolo e paradossale. Povero diavolo di un Diavolo.

In realtà la faccenda è da approfondire. Odifreddi ha riportato un’unica versione per due passi diversi del Corano abbastanza simili tra loro: tuttavia, se il lettore si dà la pena di andare a controllare la fonte originale, può scoprire che le cose non stanno esattamente come le descrive l’autore. In questa traduzione del Corano (su cui pure ci sarebbero varie cose da dire, in quanto è a cura dell’UCOII – e ve li raccomando, quelli dell’UCOII, ma questo è un altro discorso), l’episodio presenta una diversa e significativa sfumatura:

                  

Sura XXXVIII (Sâd), 71-78:

71 [Ricorda] quando il tuo Signore disse agli angeli: «Creerò un essere umano con l’argilla.

72 Dopo che l’avrò ben formato e avrò soffiato in lui del Mio Spirito, gettatevi in prosternazione davanti a lui ».

73 Tutti gli angeli si prosternarono assieme,

74 eccetto Iblis, che si inorgoglì e divenne uno dei miscredenti.

75 [Allah] disse: « O Iblis, cosa ti impedisce di prosternarti davanti a ciò che ho creato con le Mie mani? Ti gonfi d’orgoglio? Ti ritieni forse uno dei più elevati?»

76 Rispose: «Sono migliore di lui: mi hai creato dal fuoco, mentre creasti lui dalla creta».

77 [Allah] disse: « Esci di qui, in verità sei maledetto;

78 e

la Mia maledizione sarà su di te fino al Giorno del Giudizio!».

                     

Insomma, si evince che Iblis ha rifiutato di inginocchiarsi non per spirito di obbedienza al comandamento del monoteismo, ma per puro e semplice orgoglio. Quello è argilla secca e fango impastato, io sono uno spirito creato dal fuoco, non mi abbasso in prosternazione davanti a lui.

Tuttavia questo interessante particolare, stranamente, nella versione di Odifreddi non è riportato. Come mai?

Che poi, a leggere il passo con un po’ di buonsenso, appare chiaro che questa pretesa autocontraddittorietà dell’ordine divino in realtà non sussiste affatto. Allah non chiede ai suoi angeli di adorare Adamo come un dio pari suo, ma di rispettare

la Sua opera in cui ha soffiato il Suo Spirito. “Adorare” Adamo si risolve in un’adorazione indiretta di Allah: sicché in effetti è proprio l’uso del verbo adorare fatto da Odifreddi, e che coerentemente la traduzione italiana dell’UCOII non adopera (il lessico cattolico risolve questo problema alla radice: Dio è adorato,

la Madonna e i Santi sono venerati; le accuse di politeismo rivolte alla Chiesa provengono da chi non capisce la differenza), ad essere improprio.

Ed anche, per usare una terminologia nota, subdolo e paradossale.

              

(continua)

 


Il Dysangelium di Odifreddi (1)

Il Dysangelium di Odifreddi (1)

                   

 

Dysangelium è una parola che Piergiorgio Odifreddi (matematico, saggista, membro del Comitato di Presidenza dell’UAAR) riconoscerebbe sicuramente. È un vocabolo ricorrente usato da uno dei suoi beniamini, Friedrich Nietzsche, per indicare la “cattiva novella”: ovvero il cristianesimo, specie quello predicato da San Paolo, di cui egli era com’è noto un estimatore.

Per capire quanto esattamente sia focoso l’astio di Odifreddi verso la religione, in particolare verso il cattolicesimo, si potrebbe leggere il suo libro dal superbo titolo Il Vangelo secondo

la Scienza – le religioni alla prova del nove (Einaudi), di cui la quarta di copertina promette che “passa al microscopio della logica gli aspetti scientifici della teologia e quelli teologici della fisica e della matematica, nel tentativo di risolvere un problema ben preciso: quali domande religiose hanno un senso, e quali domande sensate ammettono una risposta? Attraverso la decostruzione scientifica delle grandi religioni occidentali e orientali il libro approda a una ricostruzione teologica della scienza e della matematica, indicando una sorprendente via d’uscita dall’apparente dilemma tra fede e ragione.

In realtà la via d’uscita da questo dilemma per Odifreddi è estremamente semplice e neppure tanto sorprendente: no alla fede e sì alla ragione, facciamola finita una volta per tutte con Dio e con le religioni. È da tempo che il matematico ripete questo suo simpatico slogan: chi crede non pensa, chi pensa non crede. Come a dire, i credenti mica si limitano ad avere semplicemente torto, per di più sono tutti quanti dei colossali imbecilli. E per convincere il suo lettore di ciò, Odifreddi cataloga ed elenca una buona quantità di assurdità e contraddizioni che a suo dire caratterizzano le religioni, che egli vorrebbe appunto sottoporre alla “prova del nove” della logica.

Si dà il caso tuttavia che io, avendo letto il libro, vi abbia trovato a mia volta una buona dose di assurdità ed inesattezze in buona o mala fede, che attestano come Odifreddi non sia poi così affidabile quando disserta su quelle religioni che tanto vuol decostruire. E dunque  voglio darmi la pena di elencarne il più possibile per decostruire a mia volta il suo libello, e vaccinare chi mai avesse la ventura di leggerlo convinto che sia un libro attendibile. Premetto che non mi concentrerò sulle asserzioni di fisica, matematica, logica formale e scienza in genere, perché non mi arrogo alcuna specifica competenza in merito (se Daniele o qualcun altro vuol farsi avanti in proposito e continuare l’opera, è il benvenuto); per smontare il castello di carte del nostro matematico non serve una laurea particolare, mi bastano quel po’ di cultura generale e conoscenza della mia religione che ho accumulato fin qui.

Per farci capire fin dall’inizio che uomini siano questi religiosi, e presentarceli subito sotto la luce giusta, Odifreddi premette al suo libro questa simpatica frase attribuita a Sant’Agostino:

                    

Il buon cristiano dovrebbe stare attento ai matematici e a tutti i falsi profeti. C’è il pericolo che i matematici abbiano stretto un patto col diavolo per annebbiare lo spirito, e mandare l’uomo all’inferno.

                          

In effetti, se si pensa ad alcuni matematici in circolazione, c’è davvero il pericolo che qualcuno di loro riesca a mandare qualche incauto lettore all’inferno. Ma il lettore non sia troppo severo con Agostino: più in là infatti, nel decimo capitolo, viene riportata una sua citazione più positiva:

          

Pertanto non dobbiamo disprezzare la scienza dei numeri, che in molti passaggi della Sacra Scrittura risulta di grande aiuto all’interprete meticoloso.

                         

La qual cosa non collima perfettamente con il fobico della matematica che ci veniva presentato all’inizio, ma nondimeno è molto consolante.

Proseguiamo. Nell’introito (bizzarro nome dato all’introduzione) l’autore ci racconta qualche sua esperienza a Calcutta, quando ha avuto la percezione diretta di quanto le religioni siano lugubri ed intrise di morte. Egli ha avuto infatti la sfortuna di entrare in un luogo orribile, impietoso, saturo di crudeltà: una casa di Madre Teresa. Sì, proprio lei.

                      

Adiacente al tempio di Kali si trovava la casa dei moribondi di Madre Teresa, il Nirmal Hrinday, che in bengali significa Cuore Immacolato. In essa un centinaio di uomini e donne in fin di vita, raccolti fra quelli abbandonati nelle strade, erano ormai ridotti a un numero sulla lavagnetta che ne registra in maniera agghiacciante le giornaliere “entrate” e “uscite”. La casa non ha neppure un atrio, e non appena vi misi piede mi trovai direttamente nella corsia degli uomini: lo sguardo di uno di essi, conficcato nei miei occhi come una spina, ancora mi perseguita, così come la condizione di quei corpi sofferenti e seminudi distesi sul pavimento e privi anche di un letto, nonostante le offerte miliardarie ricevute dalla Santa.

                      

Poveri moribondi, raccolti dai marciapiedi delle strade in cui un comodo giaciglio l’avrebbero trovato sicuramente. Che squallore, tenere la contabilità di un ospedale, orribile gesto che riduce intrinsecamente il malato ad un numero senza dignità. E che crudele, Madre Teresa, che sicuramente privava i moribondi di un letto per taccagneria e non per scarsità di soldi (chissà se Dominique Lapierre ha mai letto Odifreddi, o se Odifreddi ha mai letto Dominique Lapierre).

Ma siamo solo all’inizio. Nel primo capitolo (La varietà dell’esperienza religiosa) il brillante matematico imita Mircea Eliade e s’improvvisa fenomenologo delle religioni, teorizzando un determinismo ambientale per cui ogni credenza è come è per motivi climatici, in quanto sorta in un preciso contesto geografico (naturalmente Dio non c’entra: non esiste). E così non è casuale che il monoteismo nasca nel deserto mediorientale, il buddismo nella giungla tropicale, l’induismo nelle montagne himalayane… Più precisamente:

             

L’atrofia vegetativa del deserto impone un’integrazione animale della dieta e genera una morale che permette l’uccisione degli animali per il proprio sostentamento: secondo

la Genesi , Dio stesso consentì all’uomo di divenire carnivoro dopo il Diluvio Universale (IX, 3), benché gli avesse ordinato di essere vegetariano nel Paradiso Terrestre (I, 29). Naturalmente, un’etica che giustifichi la morte altrui quand’essa sia necessaria per la propria vita non tarda a degenerare in ideologie di potenza e di guerra, che si sono storicamente coniugate ai monoteismi attraverso i secoli, dalle crociate cristiane alle jihad islamiche.

                               

Un’analisi di eccezionale acume. A parte che l’alimentazione onnivora non ci pare essere un’esclusiva delle popolazioni desertiche, così come le ideologie di potenza e di guerra non sono state monopolio dei monoteismi (i Romani e i Mongoli e gli Assiri e tanti altri popoli pagani e politeisti erano notoriamente molto pacifici); per non parlare della contraddizione in cui il nostro buon logico coglie il Creatore (e non ci dilunghiamo su dissertazioni circa la natura dell’uomo e del mondo prima la caduta e dopo la caduta); la cosa veramente notevole è che per Odifreddi (che a questo punto vorremmo sapere cosa è solito mangiare a pranzo e a cena) tutti coloro che seguono un’alimentazione non vegetariana sono potenzialmente partecipi di un’ideologia bellica. “Naturalmente”.

Poco più in là, se ancora ce ne fosse il bisogno, l’autore chiarisce la stima che ha delle religioni:

                                 

Come dice infatti il Dalai Lama nella sua autobiografia Libertà in esilio, le religioni sono medicine, e ciascuna è adatta a un particolare tipo di malattia spirituale. E, come aggiunge Jung in Psicoterapia e cura d’anime, le religioni sono sistemi di guarigione per i mali della psiche. Dal che deriva il naturale corollario che chi è spiritualmente sano non ha bisogno di religioni.

                       

Insomma, noi credenti siamo tutti pazzi. O quantomeno affetti da forme lievi o gravi d’insanità mentale. Ci potremmo anche offendere, ma la cosa paradossale è che proprio qui dobbiamo, in un certo senso, concordare: chi crede sa bene di essere incompleto, ha ben presente la limitatezza del proprio essere di fronte all’Essere (e la condizione dell’uomo peccatore è una vera malattia dell’anima); mentre è un atteggiamento paradigmatico dell’ateo versione Odifreddi quello di considerarsi superbamente sano, un Oltreuomo che non ha bisogno dell’oppiaceo divino ed è ormai al di là del Bene e del Male.

In questa sua ampia disamina delle religioni, l’autore non può fare a meno di notare un aspetto ricorrente in esse: l’elemento triadico, oggetto di illimitate metamorfosi, a tal punto che

                       

Una tale ubiquità spazio-temporale-culturale non può non significare che dietro di essa si nasconde, o attraverso essa si disvela, una verità fondamentale. La manifestazione più evidente della triade è naturalmente

la Trinità, che separa gli aspetti contingente, necessario e assoluto della divinità.

                 

Quale sia questa verità fondamentale l’autore non si azzarda ad ipotizzarlo, ma compila un elenco di elementi triadici delle più varie religioni, in cui purtroppo non specifica dove accidenti sarebbe questo preteso carattere “contingente” o “necessario” o “assoluto” di ogni elemento. Dulcis in fundo, arrivato a quel che più m’interessa, conclude:

             

Nel cristianesimo, infine, si trovano le persone del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, che le tre religioni monoteistiche venerano come Yahvè, Cristo e Allah.

                     

In cui non solo non dice quale sarebbe il contingente e quale il necessario e quale l’assoluto, ma scrive in modo tale che si potrebbe pure intendere che gli ebrei ed i musulmani condividano l’idea cristiana della Trinità. Horremus, potrebbero esclamare alcuni di costoro se casomai leggessero la non felice proposizione. Che prima o poi l’improvvido matematico sia oggetto di una fatwa o di una pulsa denura?

Il primo capitolo si conclude con un’altra manifestazione di quanto profondamente l’autore conosca ciò che tanto pervicacemente critica. Parlando di quanto deprecabile sia l’iconografia, che spesso e volentieri sconfina nell’idolatria, scrive:

                    

Nel cristianesimo le immagini hanno invece sempre svolto un loro ruolo, massimo nelle chiese orientali e minimo in quelle protestanti, e l’iconoclastia che tentava di rifarsi al comandamento biblico fu ufficialmente condannata dal secondo Concilio di Nicea nel 787: di conseguenza, e nonostante le dichiarazioni di principio, il cristianesimo è oggi nei fatti una “idolatria politeista”. A conferma di ciò, Simone Weil rifiuta nei Quaderni ebraismo e islam perché “troppo monoteisti”, rispetto a cristianesimo e induismo.

                         

Accidenti, com’è informato Odifreddi, conosce pure il secondo Concilio di Nicea. Sennonché, nel paragrafo immediatamente successivo:

                

Proprio a causa di queste sue caratteristiche, la ritualità costituisce comunque la via religiosa più seguita nel mondo: i popoli e gli individui culturalmente sottosviluppati hanno bisogno di appoggi sensibili, dai vitelli d’oro alle divinità incarnate, mentre le vie delle astrazioni richiedono più sofisticazione intellettuale. Ed è stato un grave errore del cattolicesimo pretendere di proporre universalmente e astrattamente la via di Maria, per non parlare di quella dell’imitazione di Cristo, disconoscendo la naturale differenza di predisposizione tra individui particolari e concreti.

                      

E qui siamo davvero all’apice, oltre che della conoscenza di dottrina, della logica: in un capoverso il cristianesimo ha troppe immagini, troppe icone e statue a cui inginocchiarsi, è di fatto un politeismo. Ma nel capoverso successivo il cattolicesimo propone all’imitazione dei fedeli soltanto Maria e Cristo. Punto. Che grave errore. Odifreddi potrebbe forse suggerire al Papa che ogni tanto si potrebbe pure indicare all’insieme dei fedeli qualche cattolico dalla vita ammirevole (non Madre Teresa però), qualcuno che si presume abbia avuto in vita virtù eroiche, e proporlo come esempio. Per non limitarsi a “proporre universalmente e astrattamente la via di Maria”, per venire incontro alla “naturale differenza di predisposizione tra individui particolari e concreti”.

Insomma, il culto dei santi se non ci fosse bisognerebbe inventarlo. Accade tuttavia che esso già ci sia, e non da ieri (chè anzi a Giovanni Paolo II si è pure rimproverato di averne canonizzati fin troppi), ma l’autore da quel che scrive sembra ignorarlo e perdipiù si contraddice: prima abbiamo troppi santi, poi nessuno. Il nostro professore di logica dovrebbe scegliere: può accusare

la Chiesa dell’una o dell’altra cosa, ma tutte e due contemporaneamente è troppo. Anche un individuo culturalmente sottosviluppato come il sottoscritto può arrivare a capirlo.

                

Credete che sia finita? Questo era solo il primo capitolo. Ne leggeremo ancora delle belle. Anzi, leggeremo ancora delle balle.

                   

(continua)