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Libri marzo 2013


La Chiesa di Francesco, di Vittorio Messori.

 Vi è qui forse la maggiore delle attuali deformazioni, insidiosa in quanto apparentemente meritoria: la Chiesa come la maggiore delle ONG, una organizzazione di filantropi dediti a soccorrere i bisognosi di assistenza materiale. Nobile ideale, ma che a un cristiano non può bastare.

 È un instant book di piccole dimensioni, pubblicato dal Corriere della Sera immediatamente dopo la conclusione del conclave. Per quanto la copertina possa fuorviare, il libro parla decisamente poco di Bergoglio (un po’ all’inizio, e poi alla fine ci sono degli “appunti per una biografia” a cura di Carlo Alberto Brioschi) ed è invece incentrato sulla Chiesa; infatti, si tratta fondamentalmente di una grande espansione dell’articolo “Ipotesi sul Papa e sulla Chiesa che verrà” pubblicato il 17 febbraio scorso sul Corriere – piccola curiosità: nel quale articolo, ho scoperto rileggendolo, era già contenuta la famosa ammonizione sulla Chiesa come ONG che poi ha segnato l’esordio del pontificato di Francesco… Messori profetico? Ma no, semplicemente dotato di buonsenso.

Tuttavia, ove mai vi cogliesse spontanea la delusione perché vi aspettavate un libro sul nuovo pontefice, leggete il libro e vi ricrederete subito; si tratta di un’analisi a tutto tondo della realtà ecclesiale, cronaca e apologetica, con il tipico stile disincantato ma non cinico cui Messori ci ha ormai abituato. Come al solito la prospettiva non è né l’aut-aut di matrice protestante che porta ad estremi unilaterali, né la sintesi che cerca un impossibile compromesso tra inconciliabili, ma piuttosto l’et-et cattolico: lo sguardo che di ogni problema misura sia l’aspetto umano sia quello soprannaturale, vede questo e quello, e tiene tutto assieme.
La Chiesa che emerge da questo libro è piena di problemi, inutile nasconderselo; certi aneddoti rievocati dall’autore, come i seminaristi sessantottini che accolgono il loro vescovo gridando “viva Marx viva Mao”, o i novizi del monastero che protestano e ottengono di non fare la Benedizione Eucaristica dopo cena perché c’è la finale di Champions in tv, fanno più tristezza come rabbia. Eppure al tempo stesso la Chiesa è ancora vitale, ha più risorse di quante appaiano agli occhi del mondo, e lo dimostra la veloce efficienza con cui ha gestito l’epocale transizione senza precedenti da Benedetto a Francesco.

Paradossalmente ma neanche tanto, La Chiesa di Francesco è forse il più ratzingeriano dei libri di Messori (al limite il secondo, ovviamente dopo quel Rapporto sulla Fede di cui Ratzinger era coautore). Il lascito intellettuale del precedente Papa si sente in molte pagine, nelle considerazioni tanto sulla radice ultima dei problemi, cioè la perdita della fede esplosa dopo il Concilio Vaticano II, quanto sulla soluzione: recuperare la fede, tornare alla fede, applicare il Concilio per come i vescovi l’avevano scritto e non per come i teologi venduti al mondo l’hanno stravolto.
Che questo sia anche l’obiettivo primario del Papa attuale, lo speriamo vivamente, ma attendiamo ben volentieri un prossimo libro di Messori a confermarcelo.

 

L’inconfessabile e il confessato, di Lino Ciccone.

Se vedo un libro che ha sulla copertina un’immagine tratta da LOST, le mie mani si protendono automaticamente verso il libro in questione. Qui poi la copertina è particolarmente adatta, visto che raffigura l’indimenticato Charlie davanti al confessionale (ep. 1×07 “La falena”) e il libro parla per l’appunto di confessioni, dal singolare punto di vista di colui che le amministra.

La struttura è quella di un vero e proprio eserciziario: nella prima parte ci sono “i casi”, le fattispecie raccontate dall’ipotetico penitente in cerca di conforto; nella seconda parte ci sono “le soluzioni”, cioè le valutazioni morali da dare. Il lettore ha tutto l’agio di leggere il caso, applicare il proprio senso morale, e poi andare a controllare.
Il proposito è quello di aiutare i sacerdoti, per consigliarli in questo difficilissimo ministero, eppure il testo si rivela estremamente utile anche per ogni altra tipologia di lettore interessato. L’autore nella prefazione spiega senza mezzi termini la sua posizione difficile, il rischio di essere “visto come un moralista incallito preconciliare, con un deprecabile ritorno alla morale casistica, largamente superata, dal Concilio in poi, per una morale rinnovata”. Laddove la differenza pratica tra queste due impostazioni sta nel fatto che, nei manuali di Teologia Morale per la formazione dei futuri sacerdoti,

 i casi di coscienza erano sistematicamente intrecciati con l’esposizione della dottrina, che veniva così continuamente messa a confronto con la vita vissuta. Questa Teologia Morale aveva perciò come principale obiettivo quello di delineare nei vari ambiti del comportamento umano dove comincia a esserci peccato, e quando il peccato è da valutare come mortale. Il Concilio ha radicalmente cambiato questa impostazione, stabilendo che l’esposizione della Teologia Morale, «maggiormente fondata sulla Sacra Scrittura, illustri l’altezza della vocazione dei fedeli in Cristo e il loro obbligo di apportare frutto nella carità per la vita del mondo» (decr. Optatam totius, n. 16.4).
Nessuno dubbio sulla validità e sui vantaggi enormi di un tale rinnovamento, e non è questa la sede per illustrarli. Ma ne è pure derivato il rischio, per i candidati al presbiterato,  di trovarsi alla fine arricchiti di una visione altamente positiva della morale cristiana, ma impreparati sia al ministero della confessione, sia a trovare, in qualunque altra sede, soluzioni correttamente fondate a problemi morali concreti che si presentano nella vita.

Insomma, per come la vedo io, qui ci sono due estremi errati da evitare entrambi: o le maglie di un legalismo arido che tratta le questioni morali con l’impersonalità d’un libro di matematica, per cui se questo allora questo e dunque quest’altro = peccato (e questo era il rischio di “prima”); oppure un sentimentalismo di belle parole dove però alla fine molto/troppo/tutto dipende dalla coscienza soggettiva, cioè di fatto spesso la coscienza male (in)formata, per cui va a finire che oltre alle belle parole non resta granché da dire a chi chiede giudizi per riconoscere il male compiuto e consigli concreti per rimediarvi (e questo è il rischio di “adesso”).
Il libro evita entrambi questi sbandamenti, grazie alla strada maestra cui si attiene l’autore: distinguere sempre i due aspetti della valutazione oggettiva dell’azione e della valutazione soggettiva della persona. E infatti non sono pochi i casi in cui “la soluzione” è che l’azione è moralmente sbagliata, ma l’autore è poco o niente colpevole per tutta una serie di elementi che sono sempre spiegati in maniera chiara e lineare nei limiti del possibile.
I “casi” sono 30, esposti dettagliatamente, e decisamente spinosi. Ho scoperto di non essere così moralista come credevo, perché per alcuni non avevo la minima idea di quale fosse la “soluzione”. C’erano certe storie che vorresti dire “vabbè ma questo è un film” e poi pensi che cose così succedono davvero, e sei contento di non essere tu al posto del prete che deve confortare e consigliare il povero disgraziato che te le racconta; per esempio la storia del bravo ragazzo cattolico buona-laurea-ottime-prospettive-fidanzamento-casto-tra-poco-si-sposa che viene convinto a fare un addio al celibato dagli Amici Poco Raccomandabili che lo drogano a sua insaputa e lo fanno ubriacare e lo portano in discoteca e rimorchiano La Prima Che Ci Sta con cui organizzano un’orgia e il povero bravo ragazzo cattolico dice no no no però poi alla fine cede e la mattina dopo si svegliano e scoprono che la ragazza è scomparsa però come nella canzone di Elio ha lasciato scritto sullo specchio del bagno “BENVENUTI NELL’AIDS MUAHAHAHAHA” e tutti vanno nell’orrore totale e il ragazzo dice la mia vita è finita sono condannato m’ammazzo poi ci ripensa e va dal sacerdote a confessarsi e chiedergli consiglio su che cosa fare e come metterla a nome con il matrimonio prossimo venturo e se è moralmente tenuto a dire alla promessa sposa che le ha messo le corna e che potrebbe attaccarle il virus.
Argh.

E che gli dici, a uno così?

 

Le quattro cose ultime – La supplica delle anime – Nell’orto degli ulivi, di Thomas More.

Il volume della Ares è una manna, racchiude ben tre libri: Le quattro cose ultime, una meditazione sui Novissimi rimasta però incompiuta perché arriva solo a due; La supplica delle anime, una trattazione del purgatorio; Nell’orto degli ulivi, una meditazione sull’orazione di Cristo poco prima della Passione.

La più interessante mi è parsa l’opera di mezzo. More la scrisse in risposta al luterano Simon Fish, un polemista che aveva scritto il libello La supplica dei mendicanti per negare l’esistenza del purgatorio e per attaccare la Chiesa. Il titolo si spiega perché, secondo Fish, i poveri d’Inghilterra implorano la soppressione della Chiesa e l’incameramento dei suoi beni, dal quale avrebbero tutto da guadagnare. More replica con questo testo scritto dal punto di vista delle stesse anime del purgatorio, che impugnano la penna per difendere la propria esistenza e chiedere di non essere abbandonate dalle preghiere dei vivi. Il pamphlet è bipartito: nella prima parte le anime rispondono per le rime contro gli argomenti di Fish (che vista l’inconsistenza di certi suoi ragionamenti pare una specie di troll ante litteram, sul serio, certe cose non cambiano mai), nella seconda elencano le ragioni a favore dell’esistenza del Purgatorio, fondamenti biblici compresi.
Quest’ultima è particolarmente degna di nota perché More, contro l’argomento luterano “nella Bibbia non si parla di Purgatorio, se l’è inventato la Chiesa cattolica”, non si limita ad attaccare il concetto di sola scriptura ma al contrario fa leva proprio sulla scrittura stessa, individuando dieci passi biblici da cui a suo dire si evince la nozione di una purificazione post-mortem dei defunti (che poi è il problema di fondo del sola scriptura, cioè l’incoerenza con le sue stesse pretese: il “vale solo la Bibbia” ci mette poco a diventare “valgono solo quei passi della Bibbia che dico io”).
Dal basso della mia miserrima conoscenza biblica, alcuni di questi dieci passi mi sembrano un po’ tirati per i capelli, altri invece mi sembrano convincenti e risolutivi. Comunque me li sono segnati tutti in vista di un futuro post.

 

Sono così felice – Montserrat Grases, una ragazza verso gli altari, di Flavio Capucci.

 La breve biografia di Montserrat Grases, morta nel 1959 a diciassette anni e mezzo per un sarcoma di Ewing. È in corso il processo di beatificazione e l’autore è per l’appunto il postulatore della causa.

Una bella storia.


Giuseppe sposo di Maria, di Federico Suarez.

Volume di spiritualità incentrato sulla figura di San Giuseppe, che nei Vangeli appare poco, ma così poco che onestamente io – ingenuo – pensavo che in effetti non ci fosse chissà che da dire.
Invece, a quanto pare, c’è eccome: il libro esamina ogni singolo passaggio evangelico relativo a San Giuseppe, e per ognuno riesce a fare una meditazione sensata, perfino non banale.

 

Il quarto segreto di Fatima, di Antonio Socci.

Tutta la storia di Fatima e di questo secolo sta in questa drammatica incapacità di Pietro, degli uomini di Chiesa e dell’umanità di affidarsi pienamente a Colei che è «onnipotente per grazia». Incapacità di confidare in Lei veramente e totalmente. Quasi che le possibilità di salvezza potessero venire per Pietro (solo) dalle sue iniziative, dalla politica vaticana, da propri progetti di riforma della Chiesa.

 Per capire la sensazione che destò a suo tempo questo libro, sarebbe utile rileggersi un articolo del maggio 2007 dello stesso Socci, scritto con il solito tono pacato e sereno che gli è proprio, per replicare a Mons. Tarcisio Bertone. Quest’ultimo infatti nel suo libro L’ultima veggente di Fatima. I miei colloqui con suor Lucia, scritto proprio in risposta a tutti i contestatori fatimisti, ribadiva la sua versione “ufficiale” e gratificava la versione di Socci del prezioso epiteto di “farneticante”.
Prendo subito posizione dicendo che io ho trovato questo “quarto segreto” impressionante come un horror, avvincente come un giallo, e convincente come un teorema. Certo prima di raggiungere una certezza interiore mi riservo di leggere anche l’altra campana, cioè il libro di Bertone, le cui argomentazioni potrebbero anche essere più valide di quanto non sembri a sentire Socci; però quest’ultimo considera così tanti dati di fatto, vaglia anche altre apparizioni e rivelazioni es. il sogno delle due colonne di Don Bosco oppure La Salette, tuttavia non esita a smarcarsi dalle teorie più deliranti e non ha il gusto del sensazionalismo a prescindere, insomma la sua ricostruzione mi ha preso e l’unica critica che posso muovere al libro è che l’esposizione dei fatti a volte si muove troppo disinvoltamente da un periodo storico all’altro, è in alcuni punti un po’ confusa (una cronologia finale avrebbe aiutato molto il lettore a raccapezzarsi), però farneticante non m’è sembrata proprio.

 Ma dunque, quali sono gli oggetti del contendere tra la versione ufficiale e quella di Socci? Sintetizzando:

 1)   La Madonna a Fatima aveva chiesto la consacrazione della Russia al suo Cuore Immacolato. L’hanno accontentata?

  • UFFICIALE: sì, con gli atti di consacrazione del 1981 e del 1984.
  • SOCCI: no, questi atti consacrano (anzi “affidano”) il mondo tutto intero, non la Russia come era stato specificamente chiesto, perché in Vaticano si aveva paura di scatenare la rappresaglia comunista. E non vale dire che tanto è la stessa cosa perché nel mondo c’è anche la Russia: se la Madonna ti chiede una cosa, la fai alla lettera.

 2)   Il testo del terzo segreto rivelato dal cardinale Ratzinger nel 2000 descrive il martirio di un Papa. È già successo?

  • UFFICIALE: sì, è l’attentato subito da Giovanni Paolo II. La profezia si è conclusa, stop.
  • SOCCI: in realtà Ratzinger ha detto che la Chiesa non vincola i fedeli ad una interpretazione ufficiale della profezia. Pertanto si può anche pensare, come fa Socci per motivi dettagliatamente argomentati, che il peggio debba ancora venire e che il Papa pubblicamente martirizzato ci sarà davvero. Il libro presenta anche un’appendice che esamina il terzo segreto dal punto di vista paleografico, linguistico e traduttologico.

 3)   Il terzo segreto è stato interamente rivelato?

  • UFFICIALE: sì, nel 2000.
  • SOCCI: no, perché si divideva in due parti diverse. C’è ancora una parte, che la Madonna aveva detto avrebbe dovuto essere rivelata a partire dal 1960, ma che in Vaticano hanno deciso di seppellire perché troppo dirompente, difficile da far capire alla gente, suscettibile di essere usata per danneggiare gravemente la Chiesa. Questa parte nascosta del terzo segreto (che prosegue direttamente da quel “etc.” con cui si concludeva il secondo) è proprio quella che Socci chiama “quarto segreto”.

 Ovviamente Socci non può dire con precisione cosa caspita contenesse di così esplosivo questo quarto segreto. Però è possibile, da tutta una serie di fattori – le lettere e il comportamento di suor Lucia, una certa cosa detta da Mons. Loris Capovilla che fu segretario di Giovanni XXIII (che Francesco ha incontrato all’inizio del suo pontificato), alcune dichiarazioni di Giovanni Paolo II, e molto altro ancora – farsene un’idea generica, o meglio una serie di ipotesi legate tra loro.

Per comodità espositiva io qui raggruppo queste ipotesi, che vanno tutte nella stessa direzione, in tre “gradi” di gravità crescente:

1) Il primo “grado”, sul quale Socci è del tutto certo (e, per quel che vale, mi ci ha convinto) è che il quarto segreto parli della grande crisi di fede nella Chiesa che sarebbe venuta negli anni del post-concilio (ecco il perché della data del 1960). In particolare, visto che il secondo segreto si chiude dicendo “in Portogallo si conserverà la fede, etc.”, si può pensare che la frase fosse una comparazione e continuasse con una cosa tipo “in altri luoghi, invece, no”. Chiaramente una rivelazione del genere, fatta dalla Madonna, avrebbe alquanto smorzato certi facili entusiasmi sulla “nuova pentecoste”…

2) Il secondo “grado” è che il testo nascosto non profetizzi semplicemente la grande crisi di fede, ma ne indichi anche i responsabili. Il quarto segreto avrebbe predetto l’apostasia silenziosa e/o il compromesso col mondo di una gran parte del clero, vescovi compresi, e per questo sarebbe stato visto con incredulità e spavento. Anche qui, visti i tempi attuali (e purtroppo non ci mancano esempi…), una profezia di tal fatta sarebbe da meditare attentamente.

3) Il terzo “grado” è ESTREMO. Socci non ci crede, non lo afferma come sua personale convinzione, si limita a farsi domande senza risposta. E anche io sono decisamente scettico di fronte a una simile sconvolgente prospettiva. In sintesi la teoria, supportata dagli ambienti più estremi come sedevacantisti eccetera (tutto quel tradizionalismo cattolico così hardcore che ha fatto il giro dall’altra parte ed è diventato tradizionalismo scismatico) è che la profezia parlasse di una crisi che sarebbe arrivata fino al gradino più alto, fino al soglio di Pietro. Un Papa, se non proprio apostata – ovviamente non manca chi sfocia nel millennarismo spinto e tira in ballo anche l’Anticristo e la fine del mondo e la guerra termonuclerare globale eccetera eccetera – quantomeno indegno del suo ruolo, oppure vittima di tragici errori di valutazione in campi che pur non toccando direttamente la sua infallibilità nondimeno avranno conseguenze molto gravi, e che infine avrà molto da soffrire. Un Papa che potrebbe anche essere il Papa descritto nel terzo segreto cioè la parte resa pubblica: il Papa martirizzato, “afflitto”, ovvero forse (Socci dà conto di una possibile traduzione alternativa dal portoghese dell’aggettivo acabrunhado) “pentito”. Ma pentito di cosa?

Certo si comprende la paura che simili profezie, se esistono davvero, una volta rese pubbliche potessero diventare armi in mano ai nemici della Chiesa per danneggiarla quanto il contenuto delle rivelazioni stesse. Ma si comprende altresì la rabbia di chi, come l’autore, dice semplicemente: ma scusate, se la Madonna aveva chiesto una cosa, perché non l’avete accontentata? Avete più fiducia in Dio e nella Madonna o nei vostri calcoli umani?
Una volta sfogliata l’ultima pagina (sfogliata metaforicamente: il libro l’ho preso in ebook su amazon al più che modico prezzo di € 3,90), mi chiedo: quanto c’è di vero? quanto di falso? E soprattutto: cosa cambia? Che differenza fa nella mia vita, qui e ora, ciò che dice questo libro? Quale che sia stato il vero contenuto dei Messaggi di Fatima, si tratta di un contenuto (per dirla alla ratzinger) performativo, non semplicemente informativo: ma cosa si suppone debba performare in me? Cosa devo fare?

La risposta è semplice. Pregare. Pregare di più, pregare meglio. Non vedo altra alternativa. Non posso sapere come sarà il futuro che ci aspetta, ma so che questo è l’unico modo di arrivarci ben preparato.

 

Duello nel mar Ionio, di Patrick O’Brian.

Gli descrissero allora ciò che significava la conquista di una città cristiana da parte di truppe turche, in particolare di quelle irregolari, i bashi-bazuk, totalmente indisciplinati e impiegati da Ismail: assassinii, ovviamente, le donne stuprate e gli uomini e i bambini sodomizzati, ma anche la orribile profanazione delle chiese, delle tombe, di tutto ciò che era sacro. La vista di quegli uomini anziani e pieni di dignità che s’inginocchiavano davanti a lui nella cabina fu una cosa incredibilmente penosa, più penosa di qualsiasi altra esperienza che Jack avesse mai fatto.

 Avendo superato oramai un terzo della saga, essendo questo l’ottavo volume su 21, ne approfitto per a) ricapitolare i precedenti volumi b) fare un po’ di valutazioni generali e per forza di cose rivelatorie.
Perciò se non v’importa degli spoiler avventuratevi pure dopo l’elenco, altrimenti fermatevi immediatamente.

  1. Primo comando
  2. Costa sottovento
  3. Buon vento dell’ovest
  4. Verso Mauritius
  5. L’isola della desolazione
  6. Bottino di guerra
  7. Missione sul Baltico

 

Mi è parso il libro più malinconico della saga. I protagonisti sono ormai arrivati in quella fase della vita dove si fanno i bilanci provvisori, si pesano i successi e i fallimenti, le aspettative di partenza e quanto si sono effettivamente realizzate, e così via.

 Jack, dunque. Una volta nella flotta era famoso come Jack il Fortunato, ma adesso quei tempi sono passati. Addirittura lui si vede in piena parabola discendente, anche se temere di finire pubblicamente frustato è un po’ troppo. Mi ha fatto un po’ pena vederlo di nuovo strapazzato dal detestabile ammiraglio Harte, ancora rancoroso per quella vecchia questione di corna, e anche se alla fine Jack gli ha dato il fatto suo, l’episodio è stato comunque decisamente sgradevole.
Certo ci sono i problemi concreti – il padre dissennato, la paura della rovina economica della famiglia, una moglie amatissima a cui però Jack non risparmia qualche scappatella in “letti meno santificati” – ma il difetto che più mi colpisce in lui, forse perché l’ho visto più volte all’opera nella vita reale, è non dico l’ambizione (che non necessariamente è un difetto) ma piuttosto uno sgradevole effetto collaterale dell’ambizione non purificata, cioè l’incapacità di apprezzare il presente. Ecco allora che vedi benestanti che vogliono diventare proprio stra-ricchi, e in mancanza si percepiscono poveri; oppure lavoratori di buon livello che vogliono a tutti i costi diventare i pezzi da novanta del loro ambiente professionale, e se non ci riescono si lamentano come se fossero in fondo alla piramide sociale; oppure… si potrebbero fare esempi a profusione.
Un’ambizione di questo tipo è tra i migliori alleati del diavolo.
Ecco, se io potessi avere di fronte a me Jack Aubrey in carne ed ossa, vorrei prenderlo per le spalle e dargli una buona scrollata e dirgli « ma la smetti di lamentarti perché non diventerai mai ammiraglio? Non t’è già andata bene così? Ti ricordi di quando all’inizio di Primo comando eri un anonimo ufficiale e temevi che non t’avrebbero mai fatto capitano e com’eri contento quando è arrivata la lettera di promozione? E dopo tutte quelle vicissitudini sentimentali, le avventurette tipo quella sgualdrina della moglie di Harte, o lo sciagurato corteggiamento a Diana che quasi ti costò l’amicizia di Stephen, e nonostante l’opposizione implacabile di tua suocera, alla fine sei non sei riuscito a sposarla la tua Sophia? E non t’ha forse dato tre figli sani e belli, tra cui il figlio maschio che in Verso Mauritius volevi così tanto? E allora? Ma perché una buona volta non t’alzi una mattina e dici “sono felice, sono felice, ho avuto tutto quello che chiedevo una volta, sono felice e lo resterò anche se non avrò le cose che chiedo ora, sono molto felice”??? »

Stephen, allora. C’è riuscito finalmente, alla fine dello scorso libro ha sposato Diana Villiers. Certo non è stato il matrimonio più romantico del mondo, visto che è stato dettato fondamentalmente dalla necessità di lei di riguadagnare la nazionalità britannica, ma d’altra parte anche Stephen Maturin non è l’uomo più romantico del mondo.
Neppure lui sembra molto felice, tuttavia. Nel suo caso però non è questione di ambizioni personali: il dottore e agente segreto non sembra averne, indifferente alla sua stessa incolumità, l’unico suo sacro fuoco brucia per la distruzione dell’odiato Napoleone. E se il suo tarlo fosse anzi il contrario stesso dell’ambizione? Se invece di anelare a qualcosa che non ha e che desidera, il suo problema fosse l’aver raggiunto ciò che desiderava – Diana – e aver constatato che non era così degna di desiderio, tuttavia non sapendo o potendo rimpiazzarla con qualcos’altro di più desiderabile?
Non vorrei essere troppo ingiusto sul conto di Diana, che ha comunque i suoi meriti (l’abbiamo vista nello scorso libro privarsi, lei così materialista, di alcuni diamanti preziosissimi per favorire la liberazione dei nostri dalle prigioni francesi) ma temo che quella lettera anonima recapitata a Stephen, la quale lo informa che sua moglie lo tradisce con il bellissimo Jagiello, quella lettera da lui sprezzantemente considerata vile menzogna – ho una mezza sensazione che non sia così mendace. E penso che inconsciamente lo creda anche Stephen, il quale nei suoi pensieri disordinati ripete per tre volte la parola infedeltà. E poi, la gravidanza? In Diana l’istinto materno non pare particolarmente affilato. Non riesco a non sospettare che non sia stato del tutto spontaneo l’aborto che ha terminato la gravidanza che Diana portava come ultimo lascito dell’odiato Johnston, il cattivo dell’avventura “americana” dei precedenti libri. Non ci è ancora dato sapere quale sia a questo riguardo il parere medico del dottor Maturin. Però all’inizio di questo libro Stephen crede che Diana sia incinta, se tuttavia la cosa sembra destare non particolare emozione in lei (il modo con cui gioca a biliardo ce lo dice più di tanti discorsi), e poi quando Stephen è lontano in missione sua moglie lo informa “distrattamente” per lettera che si era sbagliata sulla gravidanza… Mah. Ripeto, non vorrei essere ingiusto io.

 Oltre a questo nel libro ci sono, sì, certe altre cose tipo sparatorie e battaglie navali e morti ammazzati e la complicatissima situazione geopolitica dell’Impero Ottomano nel Mar Ionio.
Ma interessano poi tanto?
In questi libri, l’avventura è lo sfondo, la vita vera è il primo piano.